Legge e giustizia: sabato 20 aprile 2024

Pubblicato in : Informazione e comunicazione

L'USO DELLA PAROLA "BUFFONE" NELL'AMBITO DI UN ATTACCO POLITICO A UN UOMO DI GOVERNO PUŅ RIENTRARE NELL'ESERCIZIO DEL DIRITTO DI CRITICA - In quanto diretto a censurare comportamenti elusivi della legge (Cassazione Sezione Quinta Penale n. 19509 del 7 giugno 2006, Pres. Calabrese, Rel. Amato).

Piero Ricca, giornalista "free lance" è stato condannato dal Giudice di Pace di Milano alla pena della multa per avere offeso, nel giugno del 2003, l'onore e il decoro di Silvio Berlusconi, all'epoca Presidente del Consiglio dei Ministri, gridandogli, nei corridoi del Palazzo di Giustizia di Milano: "Fatti processare, buffone! Rispetta la legge, rispetta la democrazia o farai la fine di Ceausescu e di don Rodrigo".

Il giudice non ha riconosciuto all'imputato l'esimente, da lui invocata, dell'esercizio del diritto di critica, sia perché ha ritenuto essere stato violato il limite della continenza, sia per il contesto in cui l'episodio si è verificato. Piero Ricca ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che l'esimente invocata avrebbe dovuto essergli riconosciuta in considerazione del particolare momento in cui l'episodio era accaduto, in quanto nel maggio del 2003 Silvio Berlusconi, al centro del dibattito politico sul noto conflitto di interessi che lo riguardava, era imputato nel processo Sme a Milano, nell'ambito del quale ricorreva a tattiche dilatorie e inoltre promuoveva leggi "ad personam" (la "Cirami", la legge sulle rogatorie internazionali, quella sul falso in bilancio). Nel ricorso il giornalista ha anche richiamato la decisione sul caso Oberschick pronunciata il 1 luglio  1997 dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, che ha ritenuto che la parola "idiota" rivolta da un giornalista a un noto politico molto in vista in un articolo improntato a critica poteva essere considerata polemica, ma non costituiva gratuito attacco personale.

La Suprema Corte (Quinta Sezione Penale n. 19509 del 7 giugno 2006, Pres. Calabrese, Rel. Amato) ha accolto il ricorso. Il diritto di critica - ha affermato la Corte - può manifestarsi anche in maniera estemporanea, non essendo necessario che si esprima nelle sedi, ritenute più appropriate, istituzionali o mediatiche, ove si svolgono dibattiti fra i rappresentanti della politica ed i commentatori; diversamente, verrebbe indebitamente limitato, se non conculcato, il diritto di manifestazione del pensiero che spetta al comune cittadino; irrilevante, dunque, è la circostanza che nella specie la censura sia stata esternata nei corridoi di un palazzo di giustizia, che appare anzi particolarmente idoneo, come sede privilegiata, a suscitare riflessioni sul tema della legalità e del rispetto della legge. Che si tratti di una critica - ha osservato la Corte - lo si desume in maniera non dubbia dal fatto che l'imputato ha fatto seguire all'epiteto incriminato espressioni che suonano come forte riprovazione della condotta tenuta dal querelante come "homo publicus"; del carattere di critica politica dell'esternazione è conferma ulteriore l'evocazione del dittatore romeno Ceausescu e del personaggio manzoniano simbolo di sopraffazione ed arbitrio (don Rodrigo). E' noto - ha rilevato la Corte - che il diritto di critica si concreta nella espressione di un giudizio o di un'opinione che, come tale, non può essere rigorosamente obiettiva; ove il giudice pervenga, attraverso l'esame globale del contesto espositivo, a qualificare quest'ultimo come prevalentemente valutativo, i limiti dell'esimente sono costituiti dalla rilevanza sociale dell'argomento e dalla correttezza di espressione. Il diritto di critica - ha precisato la Corte - riveste necessariamente connotazioni soggettive ed opinabili quando si svolge in ambito politico, in cui risulta preminente l'interesse generale al libero svolgimento della vita democratica; ne deriva che, una volta riconosciuto il ricorrere della polemica politica ed esclusa la sussistenza di ostilità e malanimo personale, è necessario valutare la condotta dell'imputato alla luce della scriminante del diritto di critica di cui all'art. 51 c.p. Il giudice di pace - ha osservato la Corte - ha estrapolato dalle frasi pronunciate dal Ricca il solo termine oggettivamente offensivo, negando l'esercizio del diritto di critica ed omettendo di contestualizzare, come dovuto, l'esternazione; al contrario, si adombrano nel caso di specie gli estremi dell'esimente in questione, della quale resta da accertare se sia stato rispettato il limite della continenza (o correttezza formale). La sentenza impugnata - ha concluso la Corte - va, pertanto, annullata con rinvio al giudice di pace di Milano, che motiverà congruamente in punto di continenza.


© 2007 www.legge-e-giustizia.it