Legge e giustizia: marted́ 23 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

ANCHE NEL CASO DI CHIUSURA DI UNITÀ PRODUTTIVA, LA COMUNICAZIONE AZIENDALE DI APERTURA DELLA PROCEDURA PER IL LICENZIAMENTO COLLETTIVO DEL PERSONALE DEVE INDICARE IL NUMERO E I PROFILI PROFESSIONALI DEI LAVORATORI ECCEDENTI - In base all'art. 4 della legge n. 223 del 1991 (Cassazione Sezione Lavoro n. 12940 del 16 giugno 2005, Pres. Senese, Rel. Di Cerbo).

Nel settembre del 1998 la s.p.a. La Rinascente ha chiuso il supermercato Cash & Carry di Casoria licenziando tutto il relativo personale, dopo avere seguito la procedura prevista dalla legge n. 223 del 1991 per i licenziamenti collettivi. Due dei lavoratori licenziati, Elio C. e Giuseppina B. hanno impugnato il provvedimento aziendale davanti al Giudice del Lavoro di Napoli, sostenendo che l'ex datrice di lavoro, nella comunicazione di apertura della procedura di riduzione del personale, non aveva dato alle organizzazioni sindacali le informazioni previste dall'art. 4 L. n. 223 del 1991, in quanto si era limitata a comunicare "la situazione di eccedenza derivante dalla effettiva cessazione dell'attività commerciale dell'unità produttiva con la conseguente impossibilità di fare ricorso a qualsivoglia strumento alternativo per gestire le eccedenze evidenziate".

I lavoratori hanno inoltre rilevato che l'azienda non avrebbe dovuto licenziare tutto il personale addetto all'impianto di Casoria, bensì operare la scelta dei lavoratori in esubero nell'ambito della intera sua organizzazione nazionale. Essi hanno chiesto l'annullamento del licenziamento, la reintegrazione nel posto di lavoro ed il risarcimento del danno in base all'art. 18 St. Lav. Il Tribunale di Napoli ha accolto la domanda, ma la sua decisione è stata integralmente riformata dalla locale Corte d'Appello che ha ritenuto legittimo il licenziamento. La Corte non ha ravvisato lacune nelle informazioni date dall'azienda alle organizzazioni sindacali ed ha affermato che la limitazione del provvedimento al personale dell'impianto di Casoria era giustificata dall'autonomia dell'unità produttiva, che costituiva un ramo autonomo d'azienda, con un proprio conto economico e con gestione amministrativa autonoma del personale. I lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte d'Appello per vizi di motivazione e violazione di legge. In particolare essi hanno rilevato che la Corte aveva omesso di motivare la sua decisione per quanto concerne la completezza e la correttezza delle informazioni date dall'azienda alle organizzazioni sindacali.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 12940 del 16 giugno 2005, Pres. Senese, Rel. Di Cerbo) ha accolto il ricorso. A norma del terzo comma dell'art. 4 della legge n. 223 del 1991 - ha affermato la Corte - la comunicazione scritta preventiva (di cui al secondo comma), che l'impresa che intende procedere a licenziamenti per riduzione di personale deve inviare alle rappresentanze sindacali aziendali nonché alle rispettive associazioni di categoria, deve contenere, in particolare, l'indicazione: dei motivi che determinano la situazione di eccedenza; dei motivi tecnici, organizzativi o produttivi, per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare, in tutto o in parte, la dichiarazione di mobilità; del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente, nonché del personale abitualmente impiegato; dei tempi di attuazione del programma di mobilità; delle eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano occupazionale. La ratio di tale norma è stata individuata dalla giurisprudenza di legittimità nel garantire all'interlocutore sindacale la possibilità di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione di personale, valutando anche la possibilità di misure alternative al programma di esubero; ciò in coerenza con la filosofia complessiva della legge n. 223 del 1991 che, nel prevedere agli artt. 4 e 5 la puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha innovato rispetto al precedente assetto normativo sostituendo al controllo giurisdizionale ex post sulla legittimità del licenziamento, previsto da quest'ultimo, un controllo dell'iniziativa imprenditoriale, concernente il ridimensionamento dell'impresa, devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali che, a tal fine, sono destinatarie di incisivi poteri in tema di informazione e di consultazione. In tale contesto - ha osservato la Corte - i residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più, quindi, gli specifici motivi della riduzione del personale (a differenza di quanto accade per il giustificato motivo oggettivo) ma unicamente la correttezza procedurale dell'operazione.

Nella fattispecie in esame - ha affermato la Cassazione - è di tutta evidenza che la comunicazione inviata dall'azienda ai sensi della norma sopra citata non contiene le indicazioni ivi previste. Essa infatti, nel limitarsi ad affermare che "la situazione di eccedenza deriva dalla definitiva cessazione dell'attività commerciale dell'unità produttiva in oggetto  con la conseguente impossibilità di fare ricorso a qualsivoglia strumento alternativo per gestire le eccedenze evidenziate", è priva di quell'insieme di informazioni che la legge ritiene idonee a porre le organizzazioni sindacali in grado di esercitare i compiti di controllo dell'iniziativa datoriale loro devoluto dalla legge. Ed infatti la comunicazione de qua è priva, fra l'altro, di indicazioni circa il numero, la collocazione aziendale ed i profili professionali del personale ritenuto eccedente nonché di quello abitualmente impiegato. Non può in proposito dubitarsi del fatto che - ha osservato la Corte - le suddette indicazioni sono necessarie anche nell'ipotesi in cui si alleghi la chiusura di un'intera unità produttiva atteso che la legge non pone alcuna eccezione in tema di contenuto della comunicazione con riferimento alla suddetta ipotesi e considerato altresì che, un'eventuale eccezione non troverebbe alcuna giustificazione sistematica in quanto la ratio legis impone la conoscenza, da parte della controparte sindacale, della situazione aziendale nella sua interezza perché solo in tal modo essa è posta in grado di esercitare il mandato conferitole dal legislatore. L'inadeguatezza delle informazioni di cui al terzo comma dell'art. 4 della legge in esame determina l'inefficacia dei licenziamenti per irregolarità della procedura, a norma dell'art. 4, comma dodicesimo, della stessa legge.

La Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata, rinviando la causa, per nuovo esame, alla Corte d'Appello di Napoli, in diversa composizione.


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