Legge e giustizia: mercoledì 24 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

L'ALLONTANAMENTO COLLETTIVO DALL'AZIENDA PER PROTESTA CONTRO UNA MODIFICA DELL'ORARIO DI LAVORO PUÒ CONFIGURARE ESERCIZIO DEL DIRITTO DI SCIOPERO - Anche in mancanza di preventiva proclamazione da parte dell'organizzazione sindacale (Cassazione Sezione Lavoro n. 23552 del 17 dicembre 2004, Pres. Ianniruberto, Rel. Stile).

La s.r.l. Ideal Camin, titolare di un'azienda con sei dipendenti, ha comunicato al personale, la mattina del 10 giugno 1996, una modifica dell'orario di lavoro. L'operaio Giovanni C. si è allontanato dall'azienda, dopo aver convinto altri due dipendenti a seguirlo, dichiarando di scioperare per protesta contro tale modifica, ritenuta illegittima. Poco dopo, nella stessa mattinata, la CGIL di Savona ha confermato all'azienda lo sciopero. La società ha sospeso cautelativamente dal lavoro Giovanni C. e successivamente lo ha licenziato con l'addebito di grave insubordinazione. Il lavoratore ha chiesto al Pretore di Savona di dichiarare il licenziamento nullo perché diretto a reprimere l'esercizio del diritto di sciopero. L'azienda si è difesa sostenendo che, allontanandosi dal lavoro, Giovanni C. si era ingiustamente ribellato al legittimo esercizio del suo potere di modificare l'orario e che la comunicazione di sciopero da parte della CGIL era avvenuta in un momento successivo.

Il Tribunale di Savona, subentrato al Pretore, ha dichiarato nullo il licenziamento, perché attuato in violazione dell'art. 15 St. Lav., a cagione della partecipazione del lavoratore a uno sciopero; ha quindi applicato l'art. 18 St. Lav., ordinando la reintegrazione di Giovanni C. nel posto di lavoro e condannando l'azienda al risarcimento del danno in misura pari alla retribuzione maturata nel periodo successivo al licenziamento. Questa decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Genova, che ha tra l'altro escluso l'esistenza di un potere pienamente discrezionale del datore di lavoro di determinare o di variare unilateralmente la collocazione temporale della prestazione lavorativa, essendo necessario a tal fine un accordo con le organizzazioni sindacali ovvero con i dipendenti. La s.r.l. Ideal Camin ha proposto ricorso per cassazione censurando la sentenza della Corte di Genova per violazione dell'art. 41 Cost. che tutela la libertà organizzativa dell'imprenditore.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 23552 del 17 dicembre 2004, Pres. Ianniruberto, Rel. Stile) ha rigettato il ricorso affermando che, pur dovendosi ritenere che rientri nei poteri imprenditoriali la variazione dell'orario di lavoro, nel caso in esame il licenziamento era illegittimo perché lesivo del diritto di sciopero. In materia di orario di lavoro - ha affermato la Corte - i limiti allo "jus variandi" dell'imprenditore esistenti nei contratti di lavoro part time (nei quali la programmabilità del tempo libero assume carattere essenziale che giustifica l'immodificabilità dell'orario da parte datoriale) non sono estensibili al contratto di lavoro a tempo pieno, nel quale un'eguale tutela del tempo libero del lavoratore si tradurrebbe nella negazione del diritto dell'imprenditore di organizzare l'attività lavorativa, diritto che può subire limiti solo in dipendenza di accordi che lo vincolino o lo condizionino a particolare procedure. Pertanto, sotto questo profilo - ha osservato la Corte - appare fondata la critica formulata dalla società ricorrente alla decisione impugnata, laddove si afferma che non sussiste un potere pienamente discrezionale del datore di lavoro di determinare o di variare unilateralmente la collocazione temporale della prestazione lavorativa, sebbene non sussista in linea generale un diritto soggettivo del dipendente alla stabilità dell'orario di lavoro, che può essere legittimamente variata previo accordo sindacale o con i lavoratori addetti all'attività d'impresa. Sennonché - ha rilevato la Corte - la tesi del Giudice d'appello sul punto finisce con l'avere un ruolo del tutto marginale nell'iter  argomentativo posto a base della decisione, con conseguente irrilevanza della fondatezza o meno della critica ad essa mossa; ed invero, preliminare, nell'ordine logico, non è la questione della discrezionalità totale o limitata dell'imprenditore nella determinazione dell'orario di lavoro, bensì quella articolatasi nel dilemma se il comportamento di Giovanni C. sia da considerarsi oppur no espressione del diritto di sciopero. In proposito la Corte ha richiamato la sua costante giurisprudenza secondo cui il diritto di sciopero, che l'art. 40 cost. attribuisce direttamente ai lavoratori, non incontra - stante la mancata attuazione della disciplina legislativa prevista da detta norma - limiti diversi da quelli propri della ratio storico-sociale che lo giustifica e dell'intangibilità di altri diritti o interessi costituzionalmente garantiti; pertanto, sotto il primo profilo, non si ha sciopero se non in presenza di un'astensione dal lavoro decisa ed attuata collettivamente per la tutela di interessi collettivi - anche di natura non salariale ed anche di carattere politico generale, purché incidenti sui rapporti di lavoro - e, sotto il secondo profilo, ne sono vietate le forme di attuazione che assumono modalità delittuose, in quanto lesive, in particolare, dell'incolumità o della libertà delle persone, o di diritti di proprietà o della capacità produttiva delle aziende. Sono, invece, privi di rilievo - ha affermato la Corte - l'apprezzamento obiettivo che possa farsi della fondatezza, della ragionevolezza e dell'importanza delle pretese perseguite, nonché la mancanza sia di proclamazione formale sia di preavviso al datore di lavoro sia di tentativi di conciliazione sia d'interventi dei sindacati, mentre il fatto che lo sciopero arrechi danno al datore di lavoro, impedendo o riducendo la produzione dell'azienda, è connaturale alla funzione di autotutela coattiva propria dello sciopero stesso. Nel caso in esame - ha concluso la Cassazione - la Corte d'Appello ha pertanto correttamente ravvisato l'esercizio del diritto di sciopero.


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