Legge e giustizia: venerdì 26 aprile 2024

Pubblicato in : Giudici avvocati e processi

ANCHE NEL PROCESSO CIVILE ORDINARIO È VIETATA LA PRODUZIONE DI NUOVI DOCUMENTI IN GRADO DI APPELLO - In applicazione dell'art. 345 cod. proc. civ. (Cassazione Sezioni Unite Civili n. 8203 del 20 aprile 2005, Pres. Carbone, Rel. Vidiri).

Il Ministero dell'Interno, Comando provinciale dei Vigili del Fuoco di Roma, ha ottenuto nel 1996 dal Tribunale di Roma un decreto ingiuntivo, nei confronti del Teatro Parioli per il pagamento della somma di lire 202 milioni quale corrispettivo dell'attività di prevenzione incendi prestata dal 1992 al 1994, nei locali di tale teatro, da tre vigili del fuoco. Contro il decreto il Teatro Parioli ha proposto opposizione, sostenendo di avere sempre pagato quanto dovuto per il servizio di vigilanza e contestando che per tale servizio fossero stati impiegati tre vigili. Il Tribunale ha accolto l'opposizione, revocando il decreto. Il Ministero ha proposto appello producendo nuova documentazione diretta a provare l'impiego di tre vigili presso il Teatro Parioli. La difesa di quest'ultimo ha eccepito l'inammissibilità della produzione di nuovi documenti in base all'art. 345, terzo comma, cod. proc. civ. secondo cui, nel giudizio di appello, "non sono ammessi nuovi mezzi di prova, salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non avere potuto proporli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile". La Corte di Appello di Roma ha rigettato l'impugnazione in quanto ha ritenuto tardiva ed inammissibile la produzione di nuovi documenti, rilevando peraltro che questi non provavano l'entità delle prestazioni. Il Ministero dell'Interno ha proposto ricorso per cassazione sostenendo che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di Appello, il divieto di nuovi mezzi di prova, recato dall'art. 345, terzo comma, cod, proc. civ., non è riferibile ai documenti. Il ricorso è stato assegnato alle Sezioni Unite, essendosi determinato, nell'ambito delle sezioni semplici, un contrasto di giurisprudenza sull'ammissibilità di nuovi documenti in grado di appello; alcune decisioni hanno ritenuto che il divieto previsto dall'art. 345 cod. proc. civ. non si riferisca ai documenti, in quanto "prova costituita", ma soltanto alla "prova costituenda", come quella per testimoni.

Le Sezioni Unite Civili, con sentenza n. 8203 del 20 aprile 2005 (Pres. Carbone, Rel. Vidiri) hanno rigettato il ricorso del Ministero affermando che nel processo ordinario, come in quello del lavoro , il divieto di nuovi mezzi di prova in grado di appello deve intendersi riferito anche ai documenti, al fine di garantire la ragionevole durata del processo, prevista dall'art. 111 Cost. Rep.

Per trovare un punto di equilibrio tra esigenze di efficienza del processo ed il diritto di difesa delle parti in relazione al giudizio di cognizione ordinaria - ha osservato la Corte - il legislatore ha disciplinato le modalità di produzione dei documenti e la proposizione dei mezzi di prova, inserendo la fase della deduzioni e richieste istruttorie (art. 184 cod. proc. civ.) tra la fase di trattazione (fissazione del thema decidendum) e quella di assunzione delle prove costituende (fase istruttoria in senso stretto); ed ha poi fissato il momento in cui scatta per le parti la preclusione in tema di istanze istruttorie, facendola decorrere dall'ordinanza di ammissione delle prove, nel caso in cui non sia stato chiesto il termine ex art. 184, ovvero quando tale termine sia stato concesso, dallo spirare del termine in questione, per le richieste di nuovi mezzi di prova e la produzione dei documenti, e dallo spirare del secondo termine per l'indicazione della (eventuale) prova contraria (art. 184, comma primo e secondo, del codice di rito sostituito, con decorrenza dal 30 aprile 1995, dall'art. 18 della legge 26 novembre 1990 n. 353).

Il superamento della barriera preclusiva in cui al già citato art. 184 importa, poi - ha affermato la Corte - la decadenza dal potere di esibire i documenti, salvo che la loro produzione sia giustificata dallo sviluppo assunto dal processo o che la formazione sia successiva allo spirare dei suddetti termini; al di fuori di tali casi, il mancato rispetto dei termini stabiliti per le nuove deduzioni probatorie porta, per il carattere perentorio di essi, ad effetti che devono ritenersi di regola irreversibili, perché removibili solo attraverso lo strumento della remissione in termini.

In conformità a questi principi - ha aggiunto la Corte - deve essere interpretato l'art. 345, comma terzo, cod. proc. civ. tenendo conto che la legge n. 353 del 1990 ha aggiunto al preesistente divieto di domande nuove anche quello di nuove eccezioni e nuovi mezzi istruttori sicché, come è stato da tutti riconosciuto, il pervenire alla pressoché totale abolizione dello ius novorum ha fatto assumere all'appello il carattere della revisio prioris istantiae, per essere stati eliminati quegli elementi spuri che permettevano la configurazione del giudizio di gravame come una prosecuzione ed un completamento di quello di primo grado.

L'art. 345, comma terzo, cod. proc. civ. - ha affermato la Corte - va pertanto letto nel senso che tale disposizione fissa sul piano generale il principio dell'inammissibilità dei "nuovi mezzi di prova" (cioè di quei mezzi di prova la cui ammissione non è stata in precedenza richiesta), e quindi anche delle produzioni documentali, indicando nello stesso tempo i limiti (e, quindi, le deroghe) a questa regola, con il porre in via alternativa (e non concorrente) i requisiti che detti "nuovi mezzi di prova" devono presentare per potere trovare ingresso in sede di gravame.

Pubblichiamo il testo integrale della decisione nella Sezione Documenti.


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