Legge e giustizia: sabato 20 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

ANCHE LE ORGANIZZAZIONI SINDACALI FIRMATARIE DI "CONTRATTI GESTIONALI" APPLICATI NELL'UNITÀ PRODUTTIVA HANNO DIRITTO ALLA COSTITUZIONE DI RAPPRESENTANZE SINDACALI - In base all'art. 19 St. Lav., nel testo risultante dal referendum (Cassazione Sezione Lavoro n. 19271 del 24 settembre 2004, Pres. Sciarelli, Rel. Cataldi).

 La Federazione Lavoratori Metalmeccanici Uniti di Milano, aderente alla Confederazione Unitaria di Base, ha costituito, alla fine del 1995, presso uno stabilimento milanese della Sirti S.p.A., una rappresentanza sindacale aziendale di cui ha chiesto alla società il riconoscimento in base all'art. 19 St. Lav. (nel testo modificato in D.P.R. 28 luglio 1995 n. 319, in seguito al risultato del referendum abrogativo indetto nell'aprile del 1995) "rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell'ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati all'unità produttiva". La Sirti S.p.A. ha sostenuto che la FLMU non era firmataria di alcun contratto collettivo applicato nello stabilimento milanese.

La Flmu ha promosso, davanti al Pretore di Milano un procedimento per repressione di comportamento antisindacale in base all'art. 28 St. Lav. affermando l'applicabilità dell'art. 19 St. Lav. in quanto essa aveva sottoscritto con l'azienda, il 14 luglio 1995, un accordo che regolamentava la procedura di ricorso alla cassa integrazione per 24 mesi, in base alla legge n. 223 del 1991. Il Pretore, dopo aver rigettato il ricorso nella fase cautelare, ha accolto l'opposizione proposta dalla Flmu e la sua decisione è stata confermata, in grado di appello, dal Tribunale di Milano. La S.p.A. Sirti ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che l'accordo sottoscritto dalla Flmu nell'ambito di una procedura per collocamento di lavoratori in cigs non può ritenersi contratto collettivo agli effetti dell'art. 19 St. Lav.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 19271 del 24 settembre 2004, Pres. Sciarelli, Rel. Cataldi) ha rigettato il ricorso. La definizione di contratto collettivo di lavoro - ha affermato la Corte - non è riferibile unicamente agli accordi con funzione normativa, che hanno cioè lo scopo di determinare i contenuti dei futuri rapporti individuali di lavoro, in quanto ogni contratto collettivo contiene una serie di clausole non riconducibili a tale funzione, ad esempio le clausole che prescrivono ai datori di lavoro di fornire informazioni alle organizzazioni sindacali: la caratteristica comune di queste clausole va individuata nel fatto che esse instaurano rapporti obbligatori che non hanno effetti diretti sui futuri contratti di lavoro, ma producono effetti giuridici esclusivamente nei confronti dei sindacati stipulanti o dei datori stipulanti che risultano obbligati a tenere comportamenti pattiziamente definiti. Sempre più spesso inoltre - ha osservato la Corte - i contratti collettivi e gli accordi sindacali costituiscono lo strumento di gestione delle crisi aziendali, con i  quali le soluzioni dei problemi che tale crisi pone per i lavoratori occupati nell'azienda vengono preventivamente contrattate con il sindacato: si tratta dei cosiddetti contratti gestionali riguardanti la mobilità, le procedure di cassa integrazione guadagni o i contratti di solidarietà; non c'è dubbio che tali accordi, pur riguardando un solo istituto, disciplinino un momento importante dei rapporti di lavoro (come richiesto da Corte Cost. 244/96), contenendo regole generali per il datore di lavoro che predeterminano il contenuto di alcuni istituti che incidono nell'attuazione dei singoli rapporti di lavoro (criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, collocamento in cassa integrazione, sospensioni e criteri di rotazione dei lavoratori sospesi). Anche se le regole previste in un accordo gestionale sono dirette a delimitare l'ambito del potere del datore di lavoro - ha affermato la Corte - esse si risolvono in fonte di diritti per i singoli lavoratori che di quegli accordi possono pretendere l'attuazione; in una procedura per riduzione di personale, le regole stabilite in un accordo sindacale, determinando il diritto all'applicazione dei criteri di scelta, si risolvono in diritto alla conservazione del posto. Comprendere tali contratti tra i "contratti collettivi applicati nell'unità produttiva" - ha concluso la Cassazione - corrisponde quindi non solo alla lettera della norma, trattandosi di contratti collettivi che disciplinano aspetti importanti del rapporto di lavoro, ma anche alla sua ratio, tenuto conto che il contenuto obbligatorio di tali contratti assume una notevole importanza economica e vincolante per il datore di lavoro e costituisce quindi espressione di quella capacità negoziale delle organizzazioni sindacali firmatarie che è il presupposto per il riconoscimento del loro diritto a costituire rappresentanze sindacali aziendali.


© 2007 www.legge-e-giustizia.it