Gennaro V. ha lavorato come socio della Cooperativa La Sorgente svolgendo l'attività di autista prevista dallo statuto sociale. La cooperativa gli ha corrisposto i compensi in busta paga, ed ha comunicato a lui e all'INPS l'accantonamento annuale ai fini del trattamento di fine rapporto. con il mod. 01/M. Cessata l'attività Gennaro V. ha chiesto alla cooperativa il pagamento del t.f.r. in misura di lire 14.600.000. La cooperativa ha rifiutato di pagare, sostenendo che, in quanto socio lavoratore, il t.f.r. non gli era dovuto. Nel giudizio che ne è seguito sia il Tribunale che la Corte d'Appello di Napoli hanno escluso il diritto di Gennaro V. al trattamento di fine rapporto osservando che in difetto di prova di una volontà delle parti in senso contrario, l'attività lavorativa svolta dal socio, e avente ad oggetto prestazioni comprese tra quelle previste dal patto sociale e dirette al perseguimento dei fini istituzionali della società costituisce adempimento del contratto di società e non dà luogo alla costituzione di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti. A dimostrazione di una volontà delle parti in quest'ultimo senso - secondo la Corte di Appello - non era rilevante che la cooperativa avesse rilasciato i modelli 101 e prospetti paga attestanti l'applicazione di istituti propri della contrattazione collettiva, essendo tale circostanza coerente con il processo di graduale applicazione al socio cooperatore della tutela sostanziale tipica del lavoratore subordinato; neanche la comunicazione all'INPS dell'accantonamento annuale ai fini del t.f.r., effettuata dalla cooperativa con il mod. 01/M, valeva a far nascere il relativo credito in favore del socio-lavoratore, in mancanza della relativa causale. Presumibilmente - secondo la Corte di Napoli - la cooperativa era incorsa in errore nel ritenere di essere obbligata al pagamento del t.f.r., avendo applicato in favore di Gennaro V. altri istituti tipici del lavoro subordinato, né, in mancanza di qualsiasi ulteriore elemento di prova fornito dall'appellante, era possibile dilatare il valore giuridico di siffatto comportamento, fino ad attribuirgli il valore di manifestazione di volontà negoziale volta a far nascere in favore del socio il diritto ad una prestazione economica non dovuta per legge, né in forza del contratto sociale. Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione censurando la sentenza della Corte di Napoli per difetto di motivazione e violazione di legge. La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 11630 del 22 giugno 2004, Pres. Dell'Anno, Rel. Toffoli) ha accolto il ricorso. In realtà - ha osservato la Cassazione - con la sentenza impugnata non è posta in discussione la validità di discipline pattizie dirette a riconoscere anche al socio lavoratore di una cooperativa il diritto al trattamento di fine rapporto, avente inequivoca natura retributiva (cfr. Cass. 23 marzo 2001 n. 4261 e Cass. Sez. Un. 26 settembre 2002 n. 13988); la Corte di Napoli è peraltro incorsa in difetto di motivazione disconoscendo l'esistenza di idonei elementi probatori relativi alla volontà della Cooperativa di riconoscere al ricorrente il diritto al t.f.r. In particolare, la Cassazione ha ritenuto evidentemente illogica l'esclusione della rilevanza, quale prova di tale volontà, della indicazione, nelle comunicazioni annuali all'Inps, degli accantonamenti relativi al t.f.r. Al riguardo - ha rilevato la Corte - è opportuno ricordare che, secondo l'art. 2, comma 9, della legge 29 maggio 1982 n. 297, il datore di lavoro deve integrare le denunce previste dall'art. 4, primo comma, del d.l. 6 luglio 1978 n. 352, convertito con modificazioni, nella legge 4 agosto 1978 n. 467, con l'indicazione sia dei dati necessari ai fini dell'applicazione delle norme relative all'istituzione del fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto, sia dei dati relativi all'accantonamento per il t.f.r. effettuato nell'anno precedente ed "all'accantonamento complessivo risultante a credito del lavoratore"; d'altra parte, il comma quinto del citato art. 4 del d.l. n. 352/1978, precisa che il datore di lavoro è tenuto a consegnare al lavoratore copia delle denunce consegnate all'Inps e prevede sanzioni in caso di mancata consegna nei termini stabiliti o di esposizione di dati infedeli e incompleti. Non può dubitarsi - ha affermato la Cassazione - che tali denunce, stante anche la previsione della loro comunicazione al lavoratore, siano normalmente idonee a determinare un affidamento del medesimo circa l'esistenza e la misura del trattamento di fine rapporto, nel caso di rapporti in cui tale istituto non è previsto dalla legge ma ben può essere pattiziamente riconosciuto. D'altra parte - ha aggiunto la Corte - è parimenti illogica, oltre che affetta da errori giuridici, l'affermazione secondo cui la cooperativa verosimilmente è incorsa in errore nel ritenere di essere obbligata a corrispondere il t.f.r.; non solo, infatti, non sono presi in considerazione i principi sull'affidamento, ma anche, senza adeguata giustificazione (tale non potendosi ritenere di per sé neanche la mancata previsione del t.f.r. nel "contratto sociale"), è presunta l'esistenza di un errore invece che della volontà di riconoscere un determinato trattamento. La Cassazione ha rinviato la causa, per nuovo esame alla Corte di Appello di Salerno, enunciando il seguente principio di diritto: "nelle società cooperative l'inserimento nelle denunce annuali all'Inps, a norma dell'art. 2, nono comma, della legge 29 maggio 1982 n. 297, delle voci relative all'accantonamento annuale e all'accantonamento complessivo per il trattamento di fine rapporto relativamente a un socio lavoratore è idoneo a provare la volontà della società di riconoscere tale compenso e comunque a determinare l'affidamento in tal senso del medesimo lavoratore".
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