Sarina G., dopo aver lavorato per circa trenta anni alle dipendenze dell'Enel, ha sottoscritto, in occasione della cessazione del rapporto, una dichiarazione con la quale ha dato atto di avere ricevuto il trattamento di fine rapporto "calcolato secondo i dettami della legge n. 297/82 e al ccnl per i dipendenti Enel" e comprendente tre importi: uno "quale indennità di anzianità maturata a tutto il 31/5/82"; un altro "quale indennità di fine rapporto" e il terzo "quale importo delle mensilità aggiuntive di cui all'art. 43 ccnl"; nella dichiarazione si precisava che la somma complessiva ricevuta costituiva "trattamento globale di fine lavoro, anche di miglior favore, con particolare riguardo alle voci componenti il t.f.r.". Successivamente la lavoratrice ha chiesto al Tribunale di Bari di condannare l'Enel al pagamento di differenze derivanti dalla mancata inclusione, nel calcolo del trattamento di fine rapporto, dei compensi per lavoro straordinario prestato nel periodo 1980-1982. L'Enel si è difeso sostenendo, tra l'altro, che la quietanza sottoscritta dalla lavoratrice all'atto delle cessazione del rapporto comportava la rinuncia a pretendere qualsiasi ulteriore somma a titolo di t.f.r. e che essa doveva ritenersi valida, in quanto la lavoratrice non aveva rispettato il termine semestrale di decadenza previsto dall'art. 2113 c.c. per l'impugnazione. Il Tribunale ha accolto la domanda, in quanto ha ritenuto che la lavoratrice non avesse specificamente rinunciato al diritto poi fatto valere e che al lavoro straordinario svolto periodicamente tra il 1980 e il 1982 ed obbligatorio per contratto doveva riconoscersi carattere di continuità, atteso che nella realtà aziendale dell'Enel le esigenze organizzative richiedenti lo straordinario erano per certo prevedibili e programmabili a causa del tipo di attività svolta dall'ente e del prodotto fruito dall'utenza. L'Enel ha proposto ricorso per cassazione censurando la sentenza della Corte di Appello di Bari per avere escluso l'esistenza di una valida rinuncia e per non avere adeguatamente motivato l'accertamento della continuità della prestazione di lavoro straordinario. La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 10172 del 26 maggio 2004, Pres. Mercurio, Rel. Coletti) ha rigettato la censura relativa alla portata della quietanza sottoscritta dalla lavoratrice, mentre ha accolto quella concernente la motivazione in ordine alla continuità dello straordinario. Essa ha richiamato la sua costante giurisprudenza secondo cui la quietanza a saldo sottoscritta dal lavoratore, che contenga una dichiarazione di rinuncia a maggiori somme, riferita, in termini generici, ad una serie di titoli di pretese in astratto ipotizzabili in relazione alla prestazione di lavoro subordinato e alla conclusione del relativo rapporto, può assumere il valore di rinuncia o di transazione, che il lavoratore ha l'onere d'impugnare nel termine di cui all'art. 2113 c.c., alla condizione che risulti accertato, sulla base dell'interpretazione del documento o per il concorso di altre specifiche circostanze desumibili aliunde, che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati od obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui medesimi; infatti, enunciazioni di tal genere sono assimilabili alle clausole di stile e non sono sufficienti di per sé a comprovare l'effettiva sussistenza di una volontà dispositiva dell'interessato. Nella specie è pacifico - ha osservato la Corte - che l'atto di quietanza in questione non contenesse alcun riferimento al compenso per lavoro straordinario computabile ai fini dell'indennità di anzianità dovuta al lavoratore, ma recasse solo un generico riferimento all'indennità di anzianità maturata al 31 maggio 1982, del tutto inidoneo a radicare nel lavoratore la consapevolezza di dimettere la pretesa (poi azionata) al computo suddetto; né alla quietanza medesima poteva riconoscersi specificità per il fatto che essa elencasse, oltre all'indennità di anzianità, anche le somme imputate rispettivamente a trattamento di fine rapporto ed a mensilità aggiuntive di cui all'art. 43 ccnl, trattandosi null'altro che di voci aggiuntive e distinte da quella in contestazione e non già di specificazione di quest'ultima. Parimenti - ha aggiunto la Corte - non rileva la circostanza che nella quietanza il lavoratore abbia dato atto che il "trattamento globale di fine lavoro" era di miglior favore con particolare riguardo alle varie componenti del t.f.r., trattandosi all'evidenza di una mera dichiarazione di scienza in ordine al (ritenuto) carattere satisfattivo del computo effettuato dalla società e non già di un atto abdicativo. Pertanto - ha affermato la Cassazione - correttamente la Corte di Appello, pur considerando sotto altro profilo il tema del possibile trattamento di miglior favore in ragione del riconoscimento delle "mensilità aggiuntive", non l'ha valutato sotto il profilo della sua (insussistente) idoneità ad incidere sulla qualificazione dell'atto di quietanza del lavoratore. Accogliendo il ricorso dell'Enel relativo al computo del t.f.r. la Suprema Corte ha rilevato che l'affermazione, da parte del giudice di appello, della continuità del lavoro straordinario reso per un certo tempo, anche se con taluni intervalli più o meno lunghi di lavoro normale, ma al di fuori di esigenze aziendali imprevedibili o fortuite, può definirsi apodittica, atteso che una valutazione in tal senso postula un motivato confronto fra molteplici dati - relativi all'organizzazione dell'azienda, alle caratteristiche dell'attività svolta dai singoli lavoratori, alla qualità e funzione delle prestazioni qualificate come straordinari - che evidenzi l'esistenza di un rapporto tra richieste di intervento oltre l'orario normale e prevedibilità degli eventi che le determinano. In altri termini - ha osservato la Corte - il carattere continuativo delle prestazioni straordinarie non può essere affermato - come invece fa la sentenza impugnata, che nulla riferisce in merito alle risultanze probatorie, alle ore di straordinario risultanti nei singoli mesi, ai picchi in alto e in basso, alle quantità stabilmente rapportabili ad un denominatore minimo comune - sulla sola base di una reiterazione di quelle prestazioni, non indagata minimamente nelle concrete modalità, e sulla ritenuta irrilevanza degli intervalli di lavoro normale (che invece potrebbero occupare spazi di tempo tali da evidenziarne l'eccezionalità o saltuarietà più totale), occorrendo, per contro, dimostrare, con il supporto di elementi probatori significativi, che il ricorso allo straordinario è da porre in relazione con normali esigenze dell'azienda, programmate e ricorrenti nel tempo. La causa è stata rinviata, per un nuovo esame in ordine alla computabilità del compenso straordinario nel t.f.r., alla Corte di Appello di Lecce.
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