Legge e giustizia: venerdì 26 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

IL DIRITTO ALLA TUTELA DELLA PROFESSIONALITÀ DEVE ESSERE RICONOSCIUTO ANCHE A CHI SVOLGE MANSIONI SEMPLICI E RIPETITIVE - In base all'art. 2103 cod. civ. (Cassazione Sezione Lavoro n. 18984 dell'11 dicembre 2003, Pres. Sciarelli, Rel. Curcuruto).

Paolo S., dipendente della società Safta con qualifica impiegatizia, ha svolto per cinque anni, sino all'aprile 1995, mansioni di segreteria e archivio consistenti nel fare fotocopie, riordinare documenti, battere a macchina le lettere, raccogliere, protocollare e archiviare documenti provenenti da altre ditte, registrare le ore di lavoro svolte da imprese esterne, effettuare riepiloghi, usare il computer per inserire dati e compilare moduli. Con l'entrata in vigore, nel marzo del 1994, del nuovo contratto collettivo del settore industria chimica, egli è stato collocato nella categoria E, posizione organizzativa 2, profilo impiegati. Nell'aprile del 1995 egli è stato privato delle mansioni in precedenza svolte e destinato al "set up di stampa" con il compito di provvedere ad attività collaterali di preparazione delle macchine che servono a tagliare le bobine di cellophane già prodotte, secondo la misura richiesta dai clienti; le nuove mansioni rientravano nella categoria E, posizione organizzativa 4, profilo operaio, del nuovo contratto collettivo. Egli si è rivolto al Pretore di Piacenza, sostenendo di avere subito un'illegittima dequalificazione e chiedendo che l'azienda fosse condannata a restituirgli le mansioni precedenti ovvero, in subordine, ad assegnargli mansioni equivalenti. Sia il Pretore che, in grado di appello, il Tribunale di Piacenza hanno ritenuto legittimo il cambiamento delle mansioni, escludendo la dequalificazione. Il Tribunale ha affermato che le precedenti mansioni, benché impiegatizie, avevano un carattere routinario, elementare e meramente esecutivo, in nulla dissimile da quello delle nuove; differenziarle da queste ultime, sul piano professionale, avrebbe comportato una considerazione privilegiata del lavoro impiegatizio rispetto a quello operaio, del tutto superata. Paolo ha proposto ricorso per cassazione, censurando la sentenza del Tribunale di Piacenza per violazione dell'art. 2103 cod. civ., che tutela la professionalità del lavoratore e per difetto di motivazione.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 18984 dell'11 dicembre 2003, Pres. Sciarelli, Rel. Curcuruto) ha accolto il ricorso, ravvisando, nella sentenza impugnata, carenza di esame del profilo soggettivo dell'equivalenza delle mansioni ossia della loro affinità professionale, intesa nel senso che le nuove devono armonizzarsi con le capacità professionali acquisite dall'interessato durante il rapporto lavorativo consentendo ulteriori affinamenti e sviluppi; questo criterio va sempre affiancato al profilo oggettivo ossia alla inclusione nella stessa area professionale e salariale delle mansioni iniziali e di quelle di destinazione. In sostanza - ha osservato la Corte - il giudice d'appello ha ritenuto che due mansioni del medesimo livello contrattuale si equivalgono quando esse siano egualmente semplici; questo assunto confonde però - ed in ciò sta la sua erroneità - la riconducibilità delle diverse mansioni ad un nucleo di professionalità comune o a nuclei diversi ma analoghi, nel che consiste l'essenza della loro equivalenza ai fini dell'art. 2103 c.c., con un predicato quale la semplicità o la elementarità che può esser comune ad attività o compiti molto diversi e professionalmente tutt'altro che affini; l'erroneo presupposto del ragionamento svolto dal giudice di appello ha poi determinato un'assoluta assenza di indagine sul modo in cui la professionalità, non importa se modesta, espressa dallo S. nelle mansioni che si sono già ricordate potesse venire conservata dalle nuove mansioni, all'apparenza assai lontane dalle prime. Conseguentemente - ha affermato la Corte - risulta anche del tutto pretermesso il profilo concernente le eventuali differenze nella possibilità di crescita professionale collegata alle une e alle altre; deve applicarsi, in materia, il principio per cui in materia di equivalenza delle mansioni oltre alla loro inclusione nella stessa area professionale e salariale occorre considerare la loro affinità professionale, intesa quale nucleo di professionalità comune o almeno analogo, tale da rendere possibile l'armonizzazione delle nuove mansioni con le capacità professionali acquisite dall'interessato durante il rapporto lavorativo e consentirne ulteriori affinamenti e sviluppi, non assumendo invece rilievo, di per sé, i comuni caratteri di elementarità o semplicità delle precedenti e delle nuove mansioni.


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