Nel dicembre del 1989 i giornalisti della RAI hanno eseguito la ripresa di immagini di un processo civile di separazione in corso tra S.G. e M.D. ed in particolare dell'udienza di comparizione delle parti davanti al giudice. La ripresa era destinata alla realizzazione di un servizio da trasmettere in differita. S.G. ha ottenuto, in base all'art. 700 cod. proc. civ., dal Pretore di Roma, un decreto con il quale si vietava in via d'urgenza alla RAI di trasmettere il servizio. Per la convalida del provvedimento il magistrato ha fissato l'udienza del 5 gennaio 1989, nel corso della quale i difensori delle parti hanno discusso la causa, trattando i temi del diritto alla riservatezza e del diritto di cronaca. Quindi il Pretore ha revocato il decreto e ha autorizzato al RAI a trasmettere il servizio realizzato nel dicembre del 1989, imponendole di adottare gli opportuni accorgimenti tecnici per garantire l'anonimato delle parti. L'azienda per non ha più dato corso alla trasmissione. Da questa vicenda processuale ne è derivata un'altra, perché la RAI, con l'autorizzazione del Pretore, ha ripreso le immagini dell'udienza del 5 gennaio 1989, svoltasi senza l'intervento personale delle parti. Alla ripresa è seguita la trasmissione del servizio, nei cui titoli di testa sono stati collocati i nomi dei coniugi protagonisti del giudizio di separazione e del loro figlio minore.
Per questa trasmissione S.G. ha citato la RAI davanti al Tribunale di Roma, chiedendone al condanna al risarcimento del danno. Il Tribunale non ha ravvisato una lesione della reputazione, mentre ha ritenuto sussistente la violazione del diritto alla riservatezza, perché la RAI, pur essendo il servizio dedicato esclusivamente agli interventi degli avvocati e del giudice, aveva inserito nei titoli di testa i nomi delle parti senza l'autorizzazione del Pretore, che aveva solo consentito le riprese. La Suprema Corte (Sezione Terza Civile, n. 5658 del 9 giugno 1998, Pres. Duva, Rel. Segreto) ha accolto il ricorso di S.G. in quanto ha ritenuto che la Corte d'Appello di Roma sia incorsa in errore nel bilanciamento fra diritto di cronaca e diritto alla riservatezza, fondati entrambi sull'art. 2 della Costituzione, che tutela il valore assoluto delle persona umana. In sintesi la Cassazione ha affermato che: 1) il diritto alla riservatezza ha un'estensione maggiore di quella del diritto alla reputazione, ben potendosi configurare ipotesi di fatti di vita intima che, pur non influendo sulla reputazione, devono restare riservati; pertanto è possibile che una notizia non lesiva della reputazione configuri violazione del diritto alla riservatezza; 2) l'esercizio del diritto di cronaca su fatti di interesse socialmente rilevante, nel rispetto della verità, costituisce causa di giustificazione anche per la violazione del diritto alla riservatezza; 3) deve però essere rispettato il principio di proporzionalità tra la causa di giustificazione e la lesione recata, nel senso che quest'ultima non deve avere una portata eccedente l'esigenza dell'informazione. In questo caso, ha osservato la Cassazione, la Corte d'Appello non avrebbe dovuto limitarsi a constatare la rilevanza sociale dell'argomento trattato nel servizio, ma avrebbe dovuto anche valutare se l'indicazione dei nomi dei protagonisti fosse necessaria per il legittimo ed effettivo esercizio del diritto di cronaca giornalistica. Inoltre, il fatto che il Pretore, per le riprese relative all'udienza del 5 gennaio 1989, non abbia espressamente prescritto l'anonimato - ha osservato la Cassazione - non significa che egli abbia autorizzato la pubblicizzazione dei nomi dei protagonisti della vicenda, tanto più che in quella udienza erano presenti i soli avvocati. Il testo integrale della decisione della Suprema Corte è nella sezione "Documenti".
|