In un'intervista pubblicata dal periodico L'Espresso nel giugno 1995 Giuliano Ferrara, criticando "l'avvitamento antigarantista della magistratura italiana" ha fatto riferimento agli "eccessi deliranti di Cordova".
In seguito a querela proposta dal magistrato Agostino Cordova, Procuratore della Repubblica di Napoli, Ferrara è stato processato per diffamazione insieme all'autore dell'intervista Antonio Padellaro e al direttore responsabile del settimanale Claudio Rinaldi. Questa decisione è stata impugnata davanti alla Suprema Corte sia da Ferrara, che ha sostenuto di avere correttamente esercitato il diritto di critica, sia dal Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Roma e da Cordova, i quali hanno sostenuto che Padellaro e Rinaldi, pubblicando le dichiarazioni di Ferrara si sono resi responsabili di concorso nel reato di diffamazione.
La Cassazione (Sezione V Penale n. 2283 del 25 gennaio 1999, Pres. Marvulli, Est. Nappi) ha rigettato il ricorso di Ferrara, in quanto ha ritenuto che egli abbia varcato il limite posto dalla legge all'esercizio del diritto di critica. La critica negativa dell'operato altrui - ha affermato la Corte - non è di per sè offensiva, quando sia socialmente rilevante, perchè non può considerarsi lesiva della reputazione altrui l'argomentata espressione di un dissenso rispetto a comportamenti di interesse pubblico. L'esigenza di ricorrere al diritto di critica come scriminante, anzichè come criterio per l'accertamento della stessa esistenza di un'offesa, si pone nei casi in cui l'espressione della critica comporti necessariamente anche valutazioni negative circa le qualità morali o intellettuali o psichiche del destinatario; in questi casi - ha osservato la Corte - l'inevitabilità del collegamento alla critica scrimina l'offesa (che sarebbe illecita), ma solo nei limiti in cui essa è indispensabile per l'esercizio del diritto costituzionalmente garantito. Sicchè rimangono egualmente punibili quelle espressioni che la giurisprudenza definisce "gratuite", nel senso di non necessarie all'esercizio del diritto, in quanto inutilmente volgari o umilianti o dileggianti.
La Corte ha invece accolto il ricorso del Procuratore Generale e di Agostino Cordova, affermando che la pubblicazione di dichiarazioni rese da persone interessate su fatti di pubblico interesse, pur se lesive della reputazione di altri soggetti, può essere lecita se risponde all'esigenza di ricostruire gli avvenimenti in base a fonti che appaiono attendibili. Quando l'esistenza di un fatto è controversa - ha affermato la Corte - non è censurabile il giornalista che riporti le contraddittorie dichiarazioni dei protagonisti e dei testimoni, neppure se le utilizzi per proporre una propria ricostruzione della vicenda; in questi casi, invero, il giornalista non è in grado di verificare ulteriormente l'attendibilità delle dichiarazioni riportate e l'esistenza stessa di quelle dichiarazioni assume rilevanza ai fini dell'esercizio del diritto di cronaca.
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