Legge e giustizia: venerdì 19 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, In flash

LA PROCEDURA PREVISTA PER LA RIDUZIONE DI PERSONALE DEVE ESSERE RISPETTATA ANCHE IN CASO DI LICENZIAMENTO COLLETTIVO PER CESSAZIONE DI ATTIVITÀ DELL'IMPRESA FALLITA - In base alla legge n. 223 del 1991 (Cassazione Sezione Lavoro n. 8047 del 27 aprile 2004, Pres. Mileo, Rel. Cuoco).

In caso di cessazione dell'attività di un'azienda a seguito di dichiarazione di fallimento del titolare, il licenziamento dei dipendenti è soggetto alla disciplina della legge 23 luglio 1991 n. 223. L'obbligo del curatore di tutelare gli interessi del fallimento non esclude il suo obbligo di osservare le procedure previste dalla legge.

I dipendenti dell'impresa fallita licenziati senza il rispetto della procedura prevista dalla legge n. 223/91 hanno interesse ad impugnare il licenziamento. Infatti, dopo il fallimento, l'azienda, nella sua unitarietà, sopravvive, e, nel suo ambito, anche il rapporto di lavoro (art. 2119 cod. civ.); sopravvivenza che, non condizionata al materiale esercizio dell'attività imprenditoriale, sussiste anche nell'ipotesi in cui, a seguito della cessazione dell'attività aziendale, sia (pur contingentemente) impossibile la materiale reintegrazione nel posto di lavoro. Questa perdurante vigenza del rapporto, pur in uno stato di quiescenza, rende ipotizzabile la futura ripresa dell'attività lavorativa, per iniziativa del curatore o con successivo provvedimento del tribunale fallimentare (il quale per l'art. 90 della legge fallimentare può autorizzare l'esercizio provvisorio anche dopo il decreto di esecutività dello stato passivo: Cass. 21 novembre 1998 n. 11787) o con la cessazione dell'azienda o con la ripresa dell'attività lavorativa da parte dello stesso datore a seguito di concordato. E pertanto, anche nell'ipotesi in cui, in esito ad una procedura concorsuale, si ritenga impossibile la continuazione aziendale, la permanenza del rapporto di lavoro, con l'indicata potenzialità, conferisce giuridico interesse non solo alla domanda di reintegrazione nel posto di lavoro (per questo interesse in tale ipotesi, Cass. 15 maggio 2002 n. 7075), bensì all'applicazione della procedura prevista dalla legge in esame, in modo che, nella prospettata impossibilità della continuazione (che peraltro conserva immanente contingenza), sia fornito alla ragione imprenditoriale (pur nella sua riconosciuta autonomia decisionale: "ha facoltà"), con esterni contributi e controlli, ogni elemento in ordine all'oggettiva esistenza di alternative alla soppressione.


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