Legge e giustizia: giovedì 18 aprile 2024

Pubblicato in : Famiglia

L'ADESIONE A UNA SETTA RELIGIOSA E LA PARTECIPAZIONE ALLE SUE PRATICHE DI CULTO COLLETTIVO NON GIUSTIFICANO L'INADEMPIMENTO ALL'OBBLIGO DI COABITAZIONE CON IL CONIUGE - La libertà religiosa va esercitata con modalità compatibili con i doveri derivanti dal matrimonio (Cassazione Sezione Prima Civile n. 15241 del 6 agosto 2004, Pres. Saggio, Rel. Giuliani).

Giuseppe C. ha posto termine alla convivenza con la moglie dopo aver aderito ad una setta religiosa le cui pratiche di culto collettivo non consentivano la prosecuzione della vita coniugale. Il Tribunale di Padova, cui la moglie si è rivolta, ha pronunciato la separazione personale dei coniugi, addebitandola a responsabilità del marito. In seguito ad impugnazione la Corte di Appello di Venezia ha ritenuto che non sussistessero valide ragioni per addebitare la separazione al marito in quanto il medesimo, nella scelta di appartenenza ad una confessione religiosa e nella conseguente rinuncia alla convivenza aveva esercitato un diritto garantito dall'art. 19 della Costituzione: "Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume". La moglie ha proposto ricorso per cassazione censurando la sentenza della Corte di Appello per erronea applicazione dell'art. 19 Cost. e per violazione degli artt. 143 e 147 del codice civile che prevedono tra l'altro, per i coniugi, l'obbligo di coabitare nonché di provvedere all'educazione dei figli.

La Suprema Corte (Sezione Prima Civile n. 15241 del 6 agosto 2004, Pres. Saggio, Rel. Giuliani) ha accolto il ricorso, in quanto ha ritenuto che l'esercizio dei diritti garantiti dall'art. 19 della Costituzione non debba superare i limiti di compatibilità con i doveri di coniuge e di genitore: "Il comportamento di un coniuge, consistente nel mutamento di fede religiosa e nella partecipazione alle pratiche collettive del nuovo culto - ha affermato la Corte - si connette all'esercizio dei diritti garantiti dall'art. 19 della Costituzione e, nonostante la sua inevitabile incidenza sull'armonia della coppia, non può essere considerato come ragione di addebito della separazione se ed in quanto non superi i limiti di compatibilità con i concorrenti doveri di coniuge e di genitore fissati dagli artt. 143 e 147 cod. civ. e non determini, quindi, con la violazione di tali doveri (come appunto quello della coabitazione di cui al secondo comma del richiamato art. 143), una situazione di improseguibilità della convivenza o di grave pregiudizio per la prole".


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