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Legge e giustizia: giovedì 28 marzo 2024
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IN CASO DI SEPARAZIONE IL CONIUGE SPROVVISTO DI REDDITO HA DIRITTO ALL'ASSEGNO DI MANTENIMENTO ANCHE SE SIA IN GRADO DI SVOLGERE UN'IDONEA ATTIVITÀ LAVORATIVA - Il mancato sfruttamento dell'attitudine al lavoro non equivale ad un reddito attuale (Cassazione Sezione Prima Civile n. 12121 del 2 luglio 2004, Pres. Losavio, Rel. Magno).
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Il Tribunale di Milano, con sentenza pronunciata nel giugno del 2000, ha dichiarato la separazione personale dei coniugi Susanna G. e Michele S., con addebito al marito, ma ha respinto la domanda, avanzata dalla moglie, diretta ad ottenere un assegno di mantenimento. Questa decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Milano che ha ritenuto giustificato il diniego dell'assegno, in considerazione del fatto che la donna, ancora giovane e laureata in lingue poteva impegnarsi utilmente nel reperimento di idonea attività lavorativa. Susanna G. ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte di Appello per difetto di motivazione e violazione di legge, in quanto, essendo risultato che ella era priva di qualsiasi reddito e che la responsabilità esclusiva in ordine alla separazione andava addebitata al marito, doveva esserle riconosciuto il diritto all'assegno di mantenimento.
La Suprema Corte (Sezione Prima Civile n. 12121 del 2 luglio 2004, Pres. Losavio, Rel. Magno) ha accolto il ricorso. In effetti, l'attitudine al lavoro proficuo, come potenziale capacità di guadagno - ha osservato la Cassazione - appartiene certamente al novero degli elementi valutabili dal giudice della separazione per definire la misura dell'assegno, dovendo egli considerare, a tal fine, non soltanto i redditi in denaro, ma anche ogni utilità o capacità propria dei coniugi, suscettibile di valutazione economica; ma il mancato sfruttamento della supposta attitudine al lavoro non equivale ad un reddito attuale né, di per sé ed in modo univoco, lascia presumere la volontaria ripulsa di propizie occasioni di reddito.
L'inattività lavorativa, infatti - ha rilevato la Corte - non necessariamente è indice di scarsa diligenza nella ricerca di un lavoro, finché non sia provato, ai fini della decisione sull'assegno, il rifiuto di una concreta opportunità di occupazione: solo in tal caso lo stato di disoccupazione potrebbe essere interpretato, secondo le circostanze, come rifiuto o non avvertita necessità di un reddito; il che condurrebbe ad escludere il diritto di ricevere dal coniuge, a titolo di mantenimento, le somme che il richiedente avrebbe potuto ottenere quale retribuzione per l'attività lavorativa rifiutata o dismessa senza giusto motivo.
Quindi - ha concluso la Corte - la teorica possibilità del coniuge privo di reddito di reperire un'occupazione non elide il dovere di solidarietà ed il conseguente obbligo di condivisione dei beni e di sostegno verso il coniuge più debole, mediante la corresponsione di un assegno di mantenimento (ricorrendone gli altri presupposti di legge), nella misura indicata dalle circostanze; tanto più se la condizione di "casalinga" della moglie esisteva già prima della separazione, giacché dopo di essa, a differenza di quanto accade dopo il divorzio, permangono tendenzialmente, e sono tutelati per quanto possibile, gli effetti del matrimonio ed il regime di vita precedente alla rottura della convivenza coniugale.
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