Legge e giustizia: venerdì 26 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

IL FATTO CHE UN'ASSISTENTE DI VOLO ABBIA USATO PAROLE OLTRAGGIOSE NEI CONFRONTI DI ALCUNI PASSEGGERI PUÒ ESSERE RITENUTO INSUFFICIENTE A GIUSTIFICARNE IL LICENZIAMENTO - In considerazione di tutte le circostanze dell'episodio (Cassazione Sezione Lavoro n. 3527 del 10 marzo 2003, Pres. Ciciretti, Rel. De Renzis).

Luisa V., dipendente della S.p.A. Alitalia con mansioni di assistente di volo, è stata sottoposta a procedimento disciplinare e licenziata con l'addebito di avere pronunciato, mentre era in servizio, frasi oltraggiose nei confronti di alcuni passeggeri. Ella ha impugnato il licenziamento davanti al Pretore di Roma, facendo presente, tra l'altro, di avere reagito al comportamento irrispettoso dei passeggeri che, durante lo sbarco, persistevano nell'attraversare il vano cucina invece di utilizzare il percorso loro indicato. Il Pretore ha rigettato la domanda in quando ha ritenuto che la lavoratrice si sia resa responsabile di una grave inadempienza.

In grado di appello il Tribunale di Roma ha invece dichiarato illegittimo il licenziamento, perché ha ritenuto eccessiva la sanzione applicata alla lavoratrice, in considerazione delle circostanze in cui si era verificato l'episodio e del comportamento tenuto dai passeggeri. Il Tribunale, basandosi sulle deposizioni di alcuni testi, ha rilevato che la frase in contestazione non era stata rivolta nei confronti di uno specifico passeggero, sicché non aveva assunto i connotati di un'offesa gratuita rivolta alla clientela Alitalia, quanto piuttosto quelli di uno sfogo maturato nell'ambito di uno sbarco che la lavoratrice non riusciva a gestire in maniera regolare ed ordinata, anche per la sua stanchezza conseguente all'effettuazione di tre voli nella stessa giornata sulla tratta Roma-Milano; il Tribunale ha tratto elementi a favore della lavoratrice dal suo precedente comportamento improntato a gentilezza ed educazione verso i passeggeri. L'azienda ha proposto ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata, tra l'altro, per non avere tenuto in considerazione che uno dei testimoni escussi aveva dato dei fatti una versione diversa da quella riferita dagli altri.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 3527 del 10 marzo 2003, Pres. Ciciretti, Rel. De Renzis) ha rigettato il ricorso in quanto ha ritenuto che il Tribunale abbia correttamente motivato la sua decisione. Essa ha ricordato il suo costante indirizzo giurisprudenziale secondo cui la valutazione delle risultanze della prova testimoniale e il giudizio sull'attendibilità dei testi - come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione - involgono apprezzamenti di fatto riservati al Giudice di merito.


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