Legge e giustizia: venerdì 19 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

LA DECISIONE DEL GIUDICE DI PACE CHE HA CONDANNATO L'ENEL ALLA RESTITUZIONE DELLE "QUOTE PREZZO" INDEBITAMENTE RISCOSSE NON È RICORRIBILE DAVANTI ALLA SUPREMA CORTE PER VIOLAZIONE DEI PRINCIPI REGOLATORI DELLA MATERIA - Perché è stata pronunciata secondo equità (Cassazione Sezioni Unite Civili n. 719 del 15 ottobre 1999, Pres. Zucconi Galli Fonseca, Rel. Finocchiaro).

P.C. ed altri utenti hanno chiesto al Giudice di Pace di Roma di condannare l’Enel a restituire loro la somma di lire cinquecentomila indebitamente riscossa nel periodo dal gennaio del 1994 al dicembre 1995 a titolo di aumento della tariffa base (cosiddetta “quota prezzo”). Essi hanno sostenuto che l’Enel era stato autorizzato ad applicare tale soprapprezzo tecnico per recuperare 6.200 miliardi da destinare al suo Fondo di dotazione, ma, dopo avere realizzato, alla fine del 1993, il previsto recupero, aveva continuato a riscuotere la maggiorazione, non più giustificata. Le domande sono state accolte con decisione resa in base all’art. 113 cod. proc. civ., il cui nuovo testo, introdotto dalla legge n. 374 del 199, stabilisce che “il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede lire due milioni”.

L’Enel ha proposto, contro questa decisione, un ricorso in Cassazione, sostenendo, tra l’altro, che il Giudice di Pace aveva violato i principi fondamentali dell’ordinamento in materia di restituzione di pagamenti eseguiti indebitamente. Secondo l’Enel, in base a questi principi l’indebito si verifica solo quando manchi un titolo di pagamento, mentre in questo caso il sovrapprezzo era stato richiesto in base a una norma di legge e a provvedimenti CIP che avevano stabilito le tariffe. La causa è stata assegnata alle Sezioni Unite Civili, perché, sulla possibilità di impugnazione, davanti alla Suprema Corte, delle decisioni pronunciate dal Giudice di Pace secondo equità, si era in precedenza verificato un contrasto di giurisprudenza, dovuto alle modifiche apportate dal legislatore all’articolo 113 cod. proc. civ. Nel testo introdotto con la legge 30 luglio 1984 n. 399 questa norma stabiliva che “il conciliatore decide secondo equità osservando i principi regolatori della materia”. Il nuovo testo recato dalla legge n. 374 del 1991 stabilisce che “il Giudice di Pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede lire due milioni” ed ha pertanto soppresso il riferimento ai “principi regolatori della materia”. Questa modifica ha dato luogo al contrasto di giurisprudenza, perché secondo alcune decisioni, nonostante la modifica del testo dell’art. 113 cod. proc. civ. il Giudice di Pace doveva comunque ritenersi vincolato dai principi fondamentali dell’ordinamento e perciò la sua decisione era ricorribile in Cassazione per violazione di tali principi; secondo altre sentenze il vincolo doveva ritenersi eliminato.

Le Sezioni Unite, con sentenza n. 719 del 15 ottobre 1999 (Pres. Zucconi Galli Fonseca, Rel. Finocchiaro), hanno ritenuto esatto quest’ultimo orientamento ed hanno dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall’Enel, affermando che le decisioni del Giudice di Pace pronunciate secondo equità, non sono ricorribili per violazione dei principi regolatori della materia, ma solo per violazione delle norme processuali che disciplinano il contraddittorio, nonché delle norme costituzionali e di quelle comunitarie, quando siano di rango superiore a quelle ordinarie. Il contrasto di giurisprudenza sull’art. 113 cod. proc. civ. – hanno precisato le Sezioni Unite – deve essere composto sulla base delle seguenti conclusioni:

"A seguito della nuova formulazione dell'art. 113, comma 2, c.p.c., nella decisione di controversie di valore non superiore a lire due milioni, il Giudice di Pace non deve procedere alla previa individuazione della norma di diritto applicabile alla fattispecie, ma deve giudicare facendo immediata applicazione della equità c.d. formativa (o sostitutiva), non correttiva (o integrativa), fondata su un giudizio di tipo intuitivo e non sillogistico, con osservanza, ai sensi dell'art. 311 c.p.c., delle norme processuali, nonché di quelle in cui la regola del giudizio è contenuta in una norma di procedura che rinvia ad una norma sostanziale, senza obbligo di rispetto dei principi regolatori della materia e dei principi generali dell'ordinamento, ma osservando le norme costituzionali nonché quelle comunitarie, quando siano di rango superiore a quelle ordinarie.

Pertanto, il ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza costituisce impugnazione di sentenza di equità - abbia il giudice dichiarato di avere applicato una norma equitativa o una norma di legge perché rispondente ad equità o si sia limitato ad applicare una norma di legge - ed è ammissibile per violazione di norme processuali, nel senso esposto (art. 360, comma 1, n. 1, 2 e 4, c.p.c.), laddove la censura di violazione di legge, attinente alla decisione di merito, è consentita per violazione di norme costituzionali e di norme comunitarie, di rango superiore alla norma ordinaria - e tale interpretazione non contrasta con l'art. 24 cost. - mentre la pronunzia secondo equità non esclude poi la configurabilità di censure ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c. nei casi di inesistenza della motivazione, ovvero ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., allorché l'enunciazione del criterio di equità adottato sia inficiato da un vizio che, attenendo ad un punto decisivo della controversia, si risolva in un'ipotesi di mera apparenza o di radicale ed insanabile contraddittorietà della motivazione''.


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