Legge e giustizia: giovedì 25 aprile 2024

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IL CONSIGLIO DELL'ORDINE DEI GIORNALISTI NON DEVE VALUTARE LA QUALITA' DEGLI ARTICOLI PRESENTATI DALL'ASPIRANTE PUBBLICISTA PER OTTENERE L'ISCRIZIONE ALL'ALBO - La legge professionale non consente interventi censori (Cassazione Sezione Terza Civile n. 360 del 14 gennaio 2002, Pres. Fiduccia, Rel. Amatucci).

In base alla legge professionale dei giornalisti (n. 69 del 1963) sono pubblicisti coloro che svolgono attività giornalistica non occasionale e retribuita, anche se esercitano altre professioni o impieghi. Per ottenere l'iscrizione nell'elenco dei pubblicisti, l'interessato deve presentare i giornali contenenti gli articoli da lui scritti e i certificati dei direttori delle pubblicazioni che comprovino l'attività pubblicistica regolarmente retribuita da almeno due anni.

Iolanda G. ha presentato all'Ordine dei Giornalisti della Calabria una domanda di iscrizione nell'elenco dei pubblicisti, allegandovi articoli pubblicati sui periodici "La Sila" e "L'inserto di Calabria", comprendenti una rubrica intitolata "Il legale risponde". L'Ordine Regionale ha respinto la domanda e la sua decisione è stata confermata dal Consiglio Nazionale. L'aspirante pubblicista ha proposto ricorso davanti al Tribunale di Catanzaro, che invece ha ritenuto sussistenti i requisiti per l'iscrizione nell'elenco dei pubblicisti. Contro questa decisione il Consiglio Nazionale dell'Ordine ha proposto ricorso davanti alla Corte d'Appello di Catanzaro, che ha accolto l'impugnazione, escludendo il diritto di Iolanda G. alla richiesta iscrizione.

La Corte d'Appello ha motivato la sua decisione affermando, tra l'altro, che gli articoli prodotti dall'aspirante pubblicista erano privi di carattere giornalistico, perché "si limitavano a fornire notizie senza alcun apporto soggettivo o inventivo". Iolanda G. ha proposto ricorso per cassazione sostenendo, tra l'altro, che la Corte d'Appello aveva disapplicato la legge professionale.

La Suprema Corte (Sezione Terza Civile n. 360 del 14 gennaio 2002, Pres. Fiduccia, Rel. Amatucci) ha accolto il ricorso affermando che, in sede di esame della domanda di iscrizione all'elenco dei pubblicisti, il Consiglio dell'Ordine non ha il potere di compiere valutazioni di merito sulla qualità degli articoli prodotti dal richiedente. La Cassazione ha richiamato in proposito la sentenza della Corte Costituzionale n. 11 del 1968, che ha ritenuto conforme alla costituzione la funzione dell'Ordine dei Giornalisti, in quanto istituzione preposta alla tutela della dignità e autonomia professionale, escludendo che esso possa svolgere interventi di natura censoria in sede di valutazione delle domande di iscrizione: ciò in quanto "la certificazione dei direttori e l'esibizione degli scritti sono elementi richiesti solo al fine di consentire se l'attività sia stata esercitata né occasionalmente né gratuitamente e per il tempo richiesto dalla legge, e non allo scopo di imporre o di permettere una valutazione di merito capace di risolversi in una forma di larvata censura ideologica".

La Corte d'Appello - ha affermato la Cassazione - è incorsa nell'errore di ritenere che la natura giornalistica dell'attività espletata dall'aspirante pubblicista possa dipendere dal livello qualitativo dello scritto e che questo sia sotto tale profilo sindacabile dal Consiglio dell'Ordine ai fini dell'iscrizione nell'elenco dei pubblicisti; per contro l'iscrizione nell'elenco dei pubblicisti dell'albo dei giornalisti non ha affatto la funzione di garantire il buon livello qualitativo della stampa, ma invece quella di salvaguardare il rispetto della personalità e della libertà dei giornalisti "nei confronti del contrapposto potere economico dei datori di lavoro", consentendo all'Ordine di vigilare "sulla rigorosa osservanza di quella dignità professionale che si traduce, anzitutto e soprattutto, nel non abdicare mai alla libertà di informazione e di critica e nel non cedere a sollecitazioni che possano comprometterla", come è stato affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 11 del 1968. In definitiva - ha affermato la Corte - l'ordine deve limitarsi a verificare se sussistano i presupposti dell'atto dovuto, senza alcuna discrezionalità in ordine all'apprezzamento degli interessi ed alla scelta della soluzione da adottare.


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