Legge e giustizia: sabato 27 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

IL CONTRATTO COLLETTIVO NON PUÒ PEGGIORARE, CON EFFETTO RETROATTIVO, LE MODALITÀ DI CALCOLO DEGLI ACCANTONAMENTI PER IL TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO - Le quote annuali devono essere determinate in base alla disciplina vigente all'epoca in cui si esegue l'accantonamento (Cassazione Sezione Lavoro n. 3079 del 2 marzo 2001, Pres. Trezza, Rel. Lupi).

Il contratto collettivo di lavoro dei metalmeccanici consentiva, nel periodo anteriore al 1994, l'inclusione dei compensi per lavoro straordinario nella retribuzione utile ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto. In occasione del rinnovo sottoscritto il 5 luglio 1994, questa disciplina contrattuale è stata modificata, in quanto le parti collettive hanno concordato di escludere i compensi per lavoro straordinario dalla base di calcolo del t.f.r.

Angelo G., dipendente della società ABB SAE, dopo la cessazione del rapporto di lavoro, avvenuta nel 1997, ha chiesto all'azienda di includere nel calcolo del t.f.r., per il periodo precedente al luglio 1994, il compenso da lui percepito per lavoro straordinario. L'azienda ha respinto la richiesta, sostenendo che il diritto a percepire il t.f.r. sorge quando il rapporto di lavoro cessa e che quindi ai fini del relativo calcolo si deve fare riferimento al contratto collettivo vigente al momento della cessazione del rapporto. Il lavoratore ha promosso un giudizio davanti al Pretore di Lecco chiedendo la condanna dell'azienda al pagamento di lire 753.056 per differenze di t.f.r. derivanti dalla mancata inclusione del compenso per lavoro straordinario nel calcolo della quota di t.f.r. relativa al periodo precedente al luglio 1994.

Il Pretore ha rigettato la domanda in quanto ha ritenuto applicabile soltanto il c.c.n.l. firmato nel luglio 1994, vigente al momento della cessazione del rapporto. Questa decisione è stata confermata in grado di appello dal Tribunale di Lecco, che ha ritenuto che, in materia di t.f.r., la contrattazione collettiva possa riformare in peggio la regolamentazione precedente. Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che in seguito alla riforma attuata dalla legge n. 267 del 1982 - secondo cui il trattamento di fine rapporto viene determinato con un accantonamento annuo di un'aliquota della retribuzione - non deve farsi riferimento solo al contratto collettivo vigente al momento della cessazione del rapporto, ma anche a quelli precedenti.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 3079 del 2 marzo 2001, Pres. Trezza, Rel. Lupi) ha accolto il ricorso osservando che con la legge del 1982 il legislatore ha collegato il trattamento di fine rapporto non più all'ultima retribuzione - come era previsto in precedenza - ma a quella dovuta per ciascun anno, di cui costituisce una quota percentuale accantonata; questo meccanismo a maturazione progressiva, espressamente voluto dal legislatore per assicurare certezza della misura del diritto, postula che le regole per determinare la misura dell'accantonamento diano quelle vigenti al momento in cui esso è effettuato.

L'interpretazione seguita dal Tribunale - ha affermato la Corte - è in contrasto con il meccanismo di accumulazione previsto dall'art. 2120 cod. civ. e, soprattutto, con la natura di retribuzione differita dell'istituto; contrasta inoltre con l'esigenza di certezza dell'entità del trattamento, per le imprese e per i lavoratori, che costituisce la ratio della norma. Infatti - ha osservato la Corte - poiché la contrattazione collettiva potrebbe raddoppiare o dimezzare la retribuzione utile per il t.f.r., se a tale contrattazione si riconoscesse, come fa il Tribunale, effetto retroattivo non vi sarebbe alcuna possibilità di prevederne o contabilizzarne l'ammontare, sarebbero vanificate le descritte finalità della riforma, diverrebbe rischiosa per le imprese l'anticipazione della indennità ed inutile l'accertamento giudiziale dell'accantonamento; deve pertanto escludersi che la contrattazione collettiva possa attribuire effetto retroattivo alla individuazione della retribuzione utile per il t.f.r., in quanto tale pattuizione sarebbe nulla perché si porrebbe in contrasto con i principi stabiliti da norma di legge inderogabile.

La Suprema Corte ha rinviato la causa, per nuovo esame, alla Corte d'Appello di Milano, stabilendo, per il giudice di rinvio, il seguente principio di diritto: "L'individuazione della retribuzione annua utile ai fini del calcolo del t.f.r. deve operarsi, a sensi del secondo comma dell'art. 2120 cod. civ., con riferimento alla normativa legale o contrattuale in vigore al momento degli accantonamenti".


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