Legge e giustizia: giovedì 25 aprile 2024

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NOMINA DEL CONCILIATORE DA PARTE DEL GIUDICE, POSSIBILITÀ DI ARBITRATO, AZIONE SOMMARIA PER L'IMPUGNAZIONE DI LICENZIAMENTI, DELEGA LEGISLATIVA PER LA RIFORMA DEL CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO IN MATERIA PREVIDENZIALE, INTEGRAZIONE DEI CONSIGLI GIUDIZIARI - Sono alcune delle proposte avanzate dalla commissione per la revisione delle norme del processo del lavoro - Il testo integrale della relazione conclusiva presentata il 7 maggio 2001.

Ministero della Giustizia
Ministero del lavoro e della previdenza sociale


COMMISSIONE PER LO STUDIO E LA REVISIONE DELLA NORMATIVA PROCESSUALE DEL LAVORO

Presidente Raffaele Foglia

RELAZIONE GENERALE DEFINITIVA

Roma, 7 maggio 2001

Premessa

Sulla crisi del processo del lavoro, tra gli  aspetti più allarmanti della crisi della giustizia civile, e sulle sue ragioni di fondo, si dibatte, da anni, concordandosi sulla molteplicità di cause - da quelle socio-economiche, a quelle culturali, dall' accresciuto accesso alla giustizia, alle ragioni politico-normative, ai difetti strutturali del sistema giudiziario ecc.- , senza escludere fenomeni che documentano, talora, un "abuso" del processo del lavoro, come dimostrano recenti esperienze (si pensi all'esorbitante numero di controversie dei dipendenti delle ferrovie, e a quelle, nondimeno, a carattere alluvionale, concernenti le integrazioni al trattamento minimo delle pensioni e l'indebito previdenziale, per citarne solo alcune) che hanno ulteriormente messo a dura prova la gestione, già sofferente, di un processo che il legislatore del 1973 voleva particolarmente celere, e che, tra l'altro, non ha potuto fruire dei benefici connessi all'introduzione del giudice di pace e del "giudice unico".

Al contempo, il confronto con la situazione esistente in altri Paesi dell'Unione europea, e le severe censure mosse all'Italia dalla Corte di Strasburgo per l'eccessiva durata dei nostri processi, rendono ancor più evidenti - anche al di fuori del nostro Paese - le disfunzioni ed i ritardi del nostro sistema il quale si pone, ormai,  in aperta violazione del nuovo articolo  111 della Costituzione che ha costituzionalizzato il principio della ragionevole durata del processo.

Ulteriori motivi di sofferenza sopraggiungono da più parti, in particolare:

a) dall'attribuzione alla giurisdizione del giudice del lavoro delle controversie sul pubblico impiego;

b) dall'incremento delle controversie di massa  e  di quelle "seriali";

c) dall'insoddisfacente esperienza conciliativa e/o arbitrale quale strumento di deflazione dei carichi di lavoro giudiziario;

d) dai  persistenti vuoti di organico e dai ritardi nell'attribuzione di funzioni giudiziarie e di sedi.

La Commissione di studio, voluta dai Ministri del Lavoro e della Giustizia (D.M. 24 luglio 2000 ), e insediata il 5 ottobre 2000, è stata costituita proprio allo scopo di suggerire, previa individuazione delle ragioni della crisi attuale, le soluzioni più appropriate elaborando uno o più schemi di proposte normative.

L'intervento riformatore è stato dettato dalla constatazione che la lunghezza del rito del lavoro si pone con accenti di speciale gravità allorché la controversia ha ad oggetto aspetti essenziali del rapporto di lavoro, con particolare riferimento alle questioni in materia di trasferimento dei lavoratori e di licenziamento; dall'esigenza di riformare la normativa processuale del lavoro per adeguarla all'incremento delle controversie conseguente all'evoluzione dei rapporti sociali e alla attribuzione alla giurisdizione ordinaria delle cause relative al rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti; dalla necessità di stimolare l'efficacia deflattiva del tentativo obbligatorio di conciliazione e di far decollare i meccanismi arbitrali di risoluzione del contenzioso lavoristico alternativi alla giurisdizione statuale; dalla necessità di individuare meccanismi processuali di urgenza per la definizione delle controversie di lavoro in materia di trasferimenti e licenziamenti.

Un forte richiamo alla effettività delle tutele perviene  non solo dalle sentenze di condanna della Corte di Strasburgo (per violazione dell'articolo 6 della Convenzione Europea sui diritti dell'uomo) ma anche dall'ordinamento comunitario il quale, pur senza direttamente intervenire sui sistemi processuali nazionali, reclama -  sia attraverso le sue norme (a cominciare dagli articoli 10, e 67 del Trattato), sia attraverso la giurisprudenza sempre più incisiva della Corte di Giustizia - interventi adeguati e concretamente operativi, capaci di reale forza persuasiva o dissuasiva, per assicurare l'attuazione dei diritti armonizzati per tutti i cittadini dell'Unione europea.

Non si tratta di raccomandazioni di stile, ma di disposizioni dotate di forza precettiva immediata la cui inosservanza potrebbe essere sanzionata, attraverso una procedura di infrazione, come violazione degli obblighi di conformazione alle norme comunitarie.

Come noto, il processo del lavoro è luogo privilegiato di applicazione della normativa comunitaria nella quale la politica sociale ha conquistato - specie con gli ultimi Trattati di Amsterdam e con la Carta dei diritti fondamentali - una posizione di indubbia centralità. 

Sul piano dell'efficienza del sistema, il nostro processo del lavoro - pur ispirato a livelli di garanzia formale più avanzati - mostra ritardi e carenze non più tollerabili una volta che la nostra giurisdizione, chiamata dal Trattato di Amsterdam, a confrontarsi sui nuovi piani della cooperazione giudiziaria transfrontaliera, è inserita in un circuito di competenze in ambito comunitario, secondo le regole della Convenzione di Bruxelles, ulteriormente valorizzate dal recentissimo Regolamento del Consiglio n. 44/2001 (che sarà in vigore dal marzo 2002).

Del resto, con la diffusione delle imprese e servizi transnazionali, e la crescente mobilità dei lavoratori in territori in ambito comunitario, la domanda di giustizia, nel nostro Paese, promana, sempre più frequentemente, da nuovi utenti nei cui confronti la risposta giudiziaria rischia di compromettere le propensioni, anche economiche, verso il nostro Paese, a favore delle realtà esterne.

La Commissione ha individuato più linee di intervento sulle quali è pervenuta ad una serie di proposte di seguito indicate.

I. ARBITRATO E CONCILIAZIONE

Nel settore delle controversie di lavoro, conciliazione e arbitrato non hanno mai registrato quella diffusione ed adesione auspicabile fin dalla riforma introdotta dal legislatore del 1973,  al fine di alleggerire il carico di lavoro dei magistrati addetti alla trattazione delle controversie di lavoro  e, al contempo, di offrire, in un processo fortemente caratterizzato da una parte debole, strumenti efficaci e veloci di risoluzione delle controversie.  Siffatta aporia seguita all'intervento riformatore del legislatore del 1973, diventava vera e propria diffidenza ove gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie si misuravano con il contenzioso del lavoro pubblico, nei confronti del quale resisteva, tenacemente, la convinzione di una sorta di incompatibilità tra controversie di competenza del giudice amministrativo e  composizione negoziale come alternativa alla tutela giurisdizionale dei diritti del lavoratore.

La riforma introdotta con i decreti n.80 e n.387 del 1998, preordinata, in primis, a deflazionare e semplificare l'enorme contenzioso del lavoro, regolamentando  il circuito alternativo e parallelo a quello ordinario di giustizia, ha, invece, rilanciato gli istituti della conciliazione e dell'arbitrato, partendo proprio dal settore pubblico (novellando il codice di rito con le disposizioni recate dagli articoli 412-ter e 412-quater, disegnando, ex novo, il tentativo obbligatorio di conciliazione con le disposizioni recate dagli articoli 69 e 69-bis del decreto legislativo n. 29 del 1993), aggiungendo alla conciliazione, relegata a strumento occasionale e marginale dal legislatore del 1973, il predicato dell'obbligatorietà.

L'esperienza sin qui maturata nel settore pubblico induce a pervenire ad un complessivo giudizio di favore verso lo strumento conciliativo, consolidatosi  anche nel confronto con le esperienze comparatistiche, specie in ambito comunitario, in  cui le alternative dispute resolutions (ADR) costituiscono un'esperienza molto diffusa nella giustizia civile.    Può, invero, affermarsi, senza tema di smentita, che :

  • un numero percentualmente irrisorio di domande si è riversato dalla sede precontenziosa alla sede giudiziale;
  • raramente l'ente pubblico diserta la seduta così consentendo un utile approfondimento dei termini della controversia;
  • l'eventuale esperimento negativo della conciliazione va probabilmente riconnesso alla peculiarità della questione sostanziale via via controversa e alla complessità delle problematiche organizzative e gestionali sottese alle questioni controverse.

Tali dati confortanti, unitamente ad un'oggettiva riflessione sull'insuccesso del modello vigente per il lavoro privato - per la scarsa impegnatività dello strumento, l'assoluta carenza di incentivi positivi e negativi, per le parti in lite e per il ceto tecnico-forense, l'incontrollato aumento del carico di lavoro - hanno indotto la Commissione all'idea di realizzare  un meccanismo che  miri a fare della fase  conciliativa una fase precontenziosa, a giudizio  formalmente già iniziato.

Il meccanismo disegnato dalla novella conserva l'obbligatorietà del tentativo di conciliazione giacché, mutuando le parole del Giudice delle Leggi, esso tende a soddisfare l'interesse generale sotto un duplice profilo: evitando, da un lato, che l'aumento delle controversie attribuite al giudice ordinario in materia di lavoro provochi un sovraccarico dell'apparato giudiziario, ostacolandone il funzionamento; favorendo, dall'altro, la composizione preventiva delle lite e assicurando alle posizioni sostanziali un soddisfacimento più immediato rispetto a quello conseguibile attraverso il processo (v. Corte Cost. 276/2000).

Sulla base delle prime esperienze applicative del nuovo articolo 412 bis codice di rito  e alla luce delle più recenti indicazioni della Corte Costituzionale, è apparso opportuno esplicitare l'esclusione dell'obbligo di conciliazione, ratione materiae, per le controversie previdenziali (nelle quali gli spazi di disponibilità sono ristretti in considerazione del regime pubblicistico che le caratterizza), per  i procedimenti sommari o d'urgenza (per i quali la tutela del diritto azionato è tanto più efficace quanto più  è tempestivo l'intervento giudiziale), ivi comprese le controversie in materia di trasferimenti e licenziamenti che, alla stregua della ovella indicata dalla Commissione, sono assoggettabili ad una procedura sommaria tipica, per le cause relative ai rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni c.d. privatizzate (per le considerazioni innanzi esposte).

La proposta si fonda, quanto alla disciplina della conciliazione, sui seguenti principi-base:

  • la fase conciliativa è una fase precontenziosa a giudizio già iniziato (conciliazione endogiudiziale);
  • la difesa tecnica è coinvolta nella fase precontenziosa;
  • l'ingiustificata assenza del ricorrente o di entrambe le parti all'udienza fissata per la conciliazione comporta l'estinzione del processo, mentre l'assenza della parte convenuta può dar luogo all'emanazione di un'ordinanza provvisoria di pagamento totale o parziale delle somme domandate o a provvedimenti anticipatori della decisione di merito;
  • la conciliazione è tentata dal giudice o dal conciliatore appositamente designato tra quelli iscritti in apposito Albo;
  • se la conciliazione non riesce viene redatto verbale con l'indicazione succinta delle ipotesi di soluzione della controversia allo stato degli atti;
  • se la conciliazione è raggiunta, il relativo processo verbale acquista efficacia di titolo esecutivo con decreto del giudice;
  • in qualunque fase della conciliazione, ovvero in caso di esito negativo della conciliazione, le parti possono decidere di affidare allo stesso conciliatore, la decisione di risolvere in via arbitrale la controversie.

Con riferimento agli arbitrati il dibattito in seno alla commissione ha palesato un difficile approccio, condizionato da opzioni politico-sindacali di non facile superamento, pur essendo tutti i commissari accomunati dall'idea di connotare l'istituto in guisa tale da filtrare, in termini selettivi, il ricorso alla giustizia del lavoro al fine di consentire, a quest'ultima, di intervenire nelle controversie di maggiore rango con la dovuta professionalità e tempestività, e da costituire una reale attrattiva per la celerità e stabilità del ricorso all'arbitrato .

Per completezza va richiamato il suggerimento, informato peraltro alla recente giurisprudenza delle sezioni unite (Cass., Sez.Un. n. 527/2000), indirizzato verso un ampliamento del ricorso all'arbitrato rituale, contemperando la massima estensione possibile con i principi costituzionali che vietano l'obbligatorietà di tale mezzo di risoluzione delle controversie.   La proposta,  che non ha incontrato sufficiente consenso, si fonda, fra l'altro,  sull'abrogazione del divieto di compromettibilità ad arbitri delle controversie di cui all'art.409 codice di procedura civile e su  clausole compromissorie, trasfuse nel contratto collettivo  e richiamate  nel contratto individuale, che consentano la devoluzione ad arbitri anche quando abbiano ad oggetto diritti dei lavoratori derivanti da disposizioni inderogabili di legge o da contratti collettivi, sull'impugnabilità, in unico grado davanti alla Corte d'Appello, e solo per vizi procedimentali,

La soluzione, più moderata, adottata dalla commissione, contempla:

  • la possibilità di affidare il mandato in via arbitrale allo stesso conciliatore in ogni fase del tentativo di conciliazione;
  • la possibilità di ricorso all'arbitrato dopo il fallimento del tentativo di conciliazione;
  • la necessità che la richiesta di deferimento ad arbitri risulti da atto scritto contenente, a pena di nullità, il termine entro il quale l'arbitro dovrà pronunciarsi, ed i criteri per la liquidazione dei compensi spettanti all'arbitro;
  • l'obbligo per l'arbitro del rispetto delle norme inderogabili di legge e del contratto collettivo;
  • l'impugnabilità del lodo, per qualsiasi vizio, davanti alla Corte d‘Appello;
  • l'esecutività del lodo nonostante l'impugnazione;
  • il mantenimento della concorrente disciplina arbitrale eventualmente prevista da accordi o contratti collettivi.

La conservazione della concorrente  disciplina arbitrale, espressione dell'autonomia negoziale collettiva,  è volta a favorire un sistema integrato dell'arbitrato nelle controversie di lavoro che si avvalga dell'apporto di importanti  Accordi già perfezionati (ARAN, CONFAPI, CISPEL), o in itinere, taluni con disposizioni peculiari, qual è la soluzione adottata, fra gli altri, dall'accordo CONFAPI che consente di pervenire, nella medesima sede, ad un'interpretazione autentica sull'efficacia e validità di una clausola del contratto  collettivo nazionale, introducendo, così, un efficace strumento di prevenzione delle controversie seriali.    Peraltro le divergenze che, nei vari accordi, emergono in  ordine all'ambito di impugnabilità dei lodi vengono risolte, con l'articolato proposto, riconducendo ad unità il regime delle impugnazioni sicché anche per l'arbitrato previsto dalla contrattazione collettiva si applica il regime di impugnazione introdotto con la novella, id est  l'impugnabilità, per qualsiasi vizio, davanti alla Corte d'Appello.

Va, inoltre, rimarcato che l'autorevolezza del conciliatore deriverà dalla sua nomina, da parte del giudice, attingendo ad un Albo dei Conciliatori esperti in materie giuslavoristiche, tenuto dal Presidente del Tribunale. Quanto alla gratuità, o meno, dell'operato del conciliatore, è prevalsa l'idea della indennizzabilità, rinviando ad un decreto ministeriale ogni determinazione in ordine al quantum.

La novella, pertanto, non è senza oneri per lo Stato, essendo l'importo dell'indennità per il conciliatore fissato in lire 200.000, qualunque sia l'esito del tentativo di conciliazione, indennità elevata a lire 300.000, ove il tentativo  si concluda con la conciliazione, e ridotta a lire 150.000 ove il tentativo non possa essere espletato per mancata presentazione delle parti o del convenuto.

Art.1
(Modifica agli art. 410, 411, 412, 412 bis, 412 ter, 412 quater)
  1. Gli articoli 410, 411, 412, 412 bis, 412 ter, 412 quater sono sostituiti dai seguenti:
Art. 410
Tentativo obbligatorio di conciliazione.
  1. Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall'art. 409 è tenuto ad esperire il tentativo di conciliazione previsto dai commi 3 e seguenti.
  2. Sono escluse da tale obbligo le controversie riguardanti le seguenti materie:

    a) controversie previdenziali;
    b) controversie per le quali siano stabiliti dalla legge procedimenti sommari o da esperirsi in via d'urgenza;
    c) controversie relative ai rapporti di lavoro di cui all'art. 68 del D. Lgs. n. 29/1993.
  3. Il giudice, ricevuto il ricorso, ove non possa fissare la comparizione delle parti per condurre personalmente il tentativo di conciliazione o per la trattazione entro il termine previsto dall'art. 416, entro 60 giorni dalla data del deposito, con proprio decreto designa un conciliatore, liberamente scelto tra quelli contenuti nell'apposito Albo, con il compito di esperire entro il termine suddetto il tentativo di conciliazione della controversia.
  4. Il decreto dovrà essere emanato entro 15 giorni dalla data di presentazione del ricorso. Il decreto, con allegato il ricorso, fissa il giorno la data ed il luogo stabiliti per la comparizione delle parti. Il decreto ed il ricorso sono notificati al convenuto, a cura dell'attore, entro 10 giorni dalla pronuncia, salvo quanto disposto dall'articolo 417.
  5. Il convenuto dovrà costituirsi almeno 10 giorni prima della data fissata per il tentativo di conciliazione, dichiarando la residenza o eleggendo domicilio nel comune presso cui ha sede il giudice, e depositando nella cancelleria del giudice una memoria difensiva. La memoria deve contenere tutti gli elementi difensivi di cui all'art. 416 e comporta i medesimi effetti processuali.
  6. Qualora il giudice non abbia fissato l'udienza per il tentativo di conciliazione presso di sé, subito dopo la scadenza del termine per il deposito della memoria difensiva, l'intero fascicolo viene trasmesso al conciliatore.
  7. Qualora il convenuto proponga domanda in via riconvenzionale a norma del secondo comma dell'art. 416, con istanza contenuta nella stessa memoria, a pena di decadenza della riconvenzionale medesima, deve espressamente chiedere al giudice lo spostamento della data fissata per esperire il tentativo di conciliazione.
  8. Il decreto che sposta la data di comparizione, unitamente alla memoria difensiva, è notificato, a cura del convenuto, all'attore, entro 10 giorni dalla data in cui è stato pronunciato.
  9. Il tentativo di conciliazione di cui al precedente commi IV, ad istanza del ricorrente, non viene esperito nel caso che il ricorrente dimostri di aver effettuato senza esito, prima del giudizio, un tentativo di conciliazione nel rispetto delle modalità di cui ai commi III, IV, V dell'art. 412 quater.
Art. 411
Processo verbale di conciliazione.
  1. Il tentativo di conciliazione si svolge in un'unica seduta, salvo che il giudice od il conciliatore non ravvisino concrete possibilità di accordo: in tal caso potranno rinviare una sola volta la seduta entro un termine non superiore a 30 giorni dalla data iniziale.
  2. Il giudice o il conciliatore svolgono un ruolo attivo al fine di pervenire alla conciliazione e possono proporre, sulla base degli atti presentati, eventuali proposte di soluzione.
  3. Se la conciliazione riesce si forma processo verbale che dev'essere sottoscritto dal giudice o dal conciliatore, dalle parti e, ove presenti, dai loro difensori. L'autografia della sottoscrizione, o la loro impossibilità a sottoscrivere, è certificata dal giudice o dal conciliatore.
  4. Ove la conciliazione sia stato raggiunta davanti al conciliatore, questi trasmette il relativo verbale entro 5 giorni alla cancelleria del giudice.
  5. Il giudice, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto.
Art. 412
Verbale di mancata conciliazione.
  1. Se entrambi le parti, o la parte che ha presentato il ricorso, non compaiono al tentativo di conciliazione, il giudice od il conciliatore ne danno atto nel processo verbale ed il giudice dichiara estinto il processo direttamente o dopo aver ricevuto gli atti dal conciliatore, salvo il caso di motivo riconosciuto giustificato dal giudice o dal conciliatore che, in tal caso, fissano una nuova data per la comparizione entro il termine perentorio di 30 giorni.
  2. In caso di mancata comparizione, del convenuto, il giudice o il conciliatore ne danno atto nel processo verbale.
  3. In caso di mancata comparizione del convenuto, il giudice, ricevuti gli atti nei termini di cui ai successivi commi, su istanza di parte, può, con accertamento allo stato degli atti, in via provvisoria, emettere un'ordinanza che disponga il pagamento totale o parziale delle somme domandate e disporre con lo stesso ulteriori provvedimenti anticipatori della decisione di merito.
  4. Se la conciliazione non riesce si redige un verbale del tentativo di conciliazione. In esso le parti possono indicare la soluzione, anche parziale, sulla quale concordano, precisando, quando è possibile, l'ammontare del credito che spetta al lavoratore. In quest'ultimo caso, per la parte su cui si è concordato, il processo verbale acquista efficacia di titolo esecutivo secondo quanto stabilito dal V comma dell'art. 411.
  5. Nello stesso verbale il conciliatore espone gli estremi del tentativo, le eventuali proposte indirizzate alle parti per pervenire ad un accordo, e quant'altro ritenga utile portare alla conoscenza del giudice per il proseguo del procedimento. Il verbale del tentativo di conciliazione viene acquisito agli atti del processo.
  6. Il conciliatore, salva l'ipotesi di cui al successivo art. 412 bis, trasmette il verbale di mancata conciliazione al giudice entro 5 giorni. Il giudice, salvo che non debba dichiarare estinto il processo ai sensi del primo comma, emette il decreto di fissazione di udienza davanti a sé entro 15 giorni.
  7. Il provvedimento di fissazione dell'udienza è depositato nella cancelleria del giudice, dove le parti possono prenderne visione. Il decreto è notificato a cura dell'attore al convenuto non costituito, senza pregiudizio degli effetti processuali già verificatisi.
Art. 412 bis
Arbitrato facoltativo.
  1. In qualunque fase del tentativo di conciliazione, od al suo termine in caso di mancata riuscita, le parti possono affidare allo stesso conciliatore, il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia.
  2. Il compromesso dovrà risultare da atto scritto contenente, a pena di nullità, il termine per l'emanazione del lodo, nonché i criteri per la liquidazione dei compensi spettanti all'arbitro.
  3. L'arbitro decide sulla controversia nel rispetto delle norme inderogabili di legge e del contratto collettivo, sulla base dei documenti in suo possesso e acquisendo, ove necessario, altri mezzi istruttori. Si applica la disposizione dell'art. 429, comma terzo c.p.c.
  4. Il lodo acquista efficacia esecutiva con il deposito presso la cancelleria del giudice.
412 ter
Impugnazione del lodo arbitrale.
  1. Il lodo arbitrale può essere impugnato, per qualsiasi vizio, ivi compresa la violazione e la falsa applicazione di legge dei contratti e accordi collettivi, entro 30 giorni dalla sua notificazione alle parti, davanti alla Corte d'appello in funzione di giudice del lavoro.
  2. L'impugnazione non sospende l'esecutività del lodo.
412 quater
Altre modalità di conciliazione.
  1. La conciliazione, nelle materie di cui all'art. 409, può essere svolta presso le sedi previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative, nonché presso le Direzioni provinciali del lavoro.
  2. Gli accordi di conciliazione raggiunti in tali sedi, sottoscritti dalle parti interessate e dal conciliatore, acquistano efficacia di titolo esecutivo, ove depositati presso la cancelleria del Tribunale competente. Si applica il V comma dell'art. 411.
  3. Il tentativo di conciliazione effettuato ai sensi del I comma, ove non si pervenga ad una conciliazione, tiene luogo del tentativo di cui all'art. 410 e determina la procedibilità dell'azione giudiziaria ove sia stato esperito con le seguenti modalità:
    • sia stato esperito da un conciliatore iscritto all'albo di cui all'art. 412 sexies, su richiesta congiunta delle parti;
    • sia stato effettuato sulla base di memorie scritte dell'attore e del convenuto che illustrino le ragioni di fatto e di diritto della pretesa e della resistenza.
  4. Il verbale del tentativo di conciliazione dev'essere redatto e sottoscritto dal conciliatore, dalle parti e, ove presenti, dai loro difensori. In tale verbale il conciliatore espone gli estremi del tentativo, le eventuali proposte indirizzate alle parti per pervenire ad un accordo, e quant'altro ritenga utile portare a conoscenza del giudice per il procedimento. Ad esso dovranno essere allegate le memorie di cui al precedente comma III.
  5. Il verbale di mancata conciliazione è depositato presso la cancelleria del giudice competente unitamente al ricorso di cui agli art. 414. Il giudice, ove accerti che sono state rispettate le condizioni di cui al precedente III comma, e che la domanda corrisponde all'oggetto per il quale è stato esperito il tentativo di conciliazione, procede direttamente a fissare l'udienza di discussione ai sensi dell'art. 415.
  6. Il verbale di conciliazione è acquisito agli atti del procedimento e produce tutti gli ulteriori effetti del tentativo di conciliazione esperito ai sensi degli art. 410, 411, 412.
Art. 412 quinquies
Arbitrato in materia di lavoro previsto dalla contrattazione collettiva.
  1. Nell'ambito delle sedi di cui all'articolo precedente le parti possono deferire ad arbitri la controversia.
  2. Il lodo arbitrale è dichiarato esecutivo dal giudice cui sia trasmesso a cura delle strutture interessate, nei modi e nei tempi stabiliti dal V comma dell'art. 412 bis e dall'art. 412 ter, ove sia presente la richiesta scritta con la quale le parti dichiarano di richiedere una pronuncia arbitrale, l'indicazione dell'arbitro o del collegio arbitrale al quale viene richiesto il lodo, la delimitazione dell'oggetto sul quale viene richiesto il lodo, il termine entro il quale il lodo dovrà essere pronunciato.
  3. Ai lodi di cui al presente articolo si applicano le disposizioni di cui all'art. 412 ter.
Art. 2
Modifiche agli art. 415, 418, 420
  1. All'art. 415 è aggiunto il seguente comma: Per i procedimenti per i quali sia esperito il tentativo di conciliazione i termini di cui ai commi 2, 3,4,5,6 decorrono dalla data di trasmissione del verbale di mancata conciliazione.
  2. All'art. 418 è aggiunto il seguente comma: Per i procedimenti per i quali sia stata disposto il tentativo obbligatorio di conciliazione, eventuali domande in via riconvenzionale sono disposte tassativamente con le procedure di cui all'art. 410.
  3. Il primo comma dell'art. 420 è sostituito dal seguente: Nell'udienza fissata per la discussione della causa il giudice interroga liberamene le parti presenti. La mancata comparizione delle parti, senza giustificato motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini della decisione. Le parti possono, se ricorrono gravi motivi, modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate, previa autorizzazione del giudice.
  4. Il terzo comma dell'art. 420 è soppresso.
  5. Il quarto comma dell'art. 420 è così modificato: Quando il giudice ritiene la causa matura per la decisione, o se sorgono questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza o altre pregiudiziali la cui decisione può definire il giudizio, il giudice invita le parti alla discussione e pronuncia sentenza anche non definitiva dando lettura del dispositivo.
Art. 3
Modifica alle disposizione di attuazione.

All'art. ... delle disposizioni di attuazione è inserito il seguente articolo:

Art. ......
Albo dei conciliatori.
  1. Presso ogni Tribunale è istituito un Albo dei Conciliatori esperti in materie giuslavoristiche, tenuto dal Presidente della Sezione Lavoro del Tribunale stesso.
  2. All'elenco possono iscriversi professori universitari di materie giuslavoristiche, avvocati e commercialisti di comprovata esperienza nel campo del lavoro, consulenti del lavoro, sindacalisti, funzionari delle Direzioni provinciali e regionali del lavoro.
  3. La domanda d'iscrizione, con allegati i titoli che dimostrino il possesso delle necessarie competenze, deve essere presentata al Presidente del Tribunale, che vaglierà i titoli per l'ammissione.
  4. Gli iscritti all'Albo di cui al presente articolo svolgono, su nomina del giudice, la funzione di conciliatori delle controversie di lavoro, ai sensi dell'art. art. 410 c.p.c. Essi possono essere nominati in qualità di conciliatori nelle strutture di cui all'art. 412 quater.
  5. I giudici scelgono i conciliatori tenendo conto della loro esperienza in relazione al tipo di vertenza e con modalità tali da distribuire gli incarichi tra gli iscritti all'Albo.
  6. Il presidente della Sezione Lavoro del Tribunale vigila sul comportamento dei conciliatori, che deve essere improntato all'indipendenza ed all'imparzialità nella prestazione del servizio. Egli dispone, la cancellazione dall'Albo quando ravvisi che non sussistano più le condizioni per il mantenimento dell'iscrizione.
  7. Il tentativo di conciliazione dovrà essere svolto, per quanto possibile, negli stessi locali ove hanno sede gli uffici giudiziari.
  8. Per le conciliazioni effettuate ai sensi dell'art. 410 ai conciliatori spetta un'indennità definita con decreto del Ministero della Giustizia per ogni vertenza trattata, senza alcuna distinzione in relazione al valore della controversia. Nel caso in cui in sede di conciliazione non vengano stabiliti i criteri per la ripartizione dell'onere, esso è diviso in parti uguali tra le due parti.
  9. Per le conciliazioni raggiunte ai sensi dell'art. 412 quater il compenso è stabilito dalla strutture presso cui il conciliatore venga chiamato, fermo restando che in mancanza di un accordo per la ripartizione dell'onere, esso è diviso in parti uguali tra le parti.
Art. 4
Norme transitorie.
  1. Per gli anni 2001, 2002, 2003, gli oneri per il pagamento dell'indennità di cui all'art. 410 ai conciliatori nominati dal giudice ai sensi dell'art. 410 sono a carico dello Stato.
  2. L'importo dell'indennità è fissato in lire 200.000 per ogni tentativo di conciliazione esperito, indipendentemente dal suo esito. Nel caso che il tentativo si concluda con la conciliazione definitiva della controversia, l'indennità è elevata a lire 300.000. Nel caso che il tentativo non abbia luogo per la mancata presentazione di entrambi le parti o del convenuto l'indennità è di lire 150.000
  3. Le domande per l'iscrizione all'Albo di cui all'art. 412 quater, indirizzate al Presidente della Sezione Lavoro del Tribunale, possono essere depositate nella cancelleria o inviate a mezzo raccomandata, a partire dal primo giorno dell'entrata in vigore della presente legge.
  4. Il presidente della Sezione Lavoro del Tribunale, entro 60 giorni dall'entrata in vigore della presente legge, esaminate le domande, determina l'elenco degli iscritti all'Albo. L'albo è aggiornato con cadenza semestrale.
II. LICENZIAMENTI E TRASFERIMENTI

Il diritto alla conservazione del rapporto di lavoro è diritto fondamentale della persona ai sensi dell'articolo 2 della Costituzione, in quanto attinente alla conservazione del luogo, id est dell'inserimento nella formazione sociale, dove si svolge la sua personalità. Da ultimo la Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea, firmata a Nizza il 7 dicembre 2000, ha reso più visibile il valore fondamentale della tutela contro ogni licenziamento ingiustificato (articolo 30, Carta dei Diritti).

L'estrema deteriorabilità del bene protetto - il posto di lavoro - stante il carattere dinamico, e non statico, connaturato all'organizzazione del lavoro, ha rivelato, nel tempo, l'enorme difficoltà insita nell'attuazione di una tutela specifica, reintegratoria, a distanza di mesi o anni dal licenziamento, dall'estromissione dal luogo di lavoro.

Al pari degli altri settori della giustizia, per i quali importanti modifiche sono state recentemente introdotte, il contenzioso del lavoro attraversa, non da poco, una crisi determinata essenzialmente dal progressivo allungamento dei tempi di definizione dei processi, crisi ancor più evidente per la peculiarità del rito introdotto dal legislatore del 1973, informato a principi di oralità e celerità.

La domanda di giustizia in tale settore ha spesso determinato un eccessivo ricorso alla tutela atipica urgente.

L'urgenza del recupero di funzionalità del processo del lavoro suggerisce, pertanto, un intervento normativo con riferimento alle controversie che trattano i momenti più delicati e patologici del rapporto di lavoro. Il bilanciamento degli opposti interessi - del lavoratore alla conservazione del posto, del datore di lavoro all'organizzazione del lavoro-  consiglia, nella specie,  di ridisegnare la tutela reintegratoria contro il licenziamento ingiustificato nelle forme di un'azione tipica urgente a cognizione sommaria, sì da imprimere a siffatte azioni una durata ragionevole.

L'articolato propone:

  1. Piccoli aggiustamenti sostanziali funzionali ad un più spedito iter processuale;
  2. modifiche di natura procedurale;
  3. interventi di natura ordinamentale.

La disciplina proposta si applica a tutte le ipotesi di licenziamento, nell'ambito sia della tutela obbligatoria che reale, anche con riferimento alle ipotesi di previo accertamento giudiziale della natura subordinata del rapporto ovvero della legittimità del termine apposto al contratto. L'intervento normativo si estende, inoltre, con opportuni adattamenti, alle controversie in materia di trasferimenti di cui all'articolo 2103 del codice civile.

Nonostante il rilievo avanzato da alcuni autorevoli esponenti della Commissione concernente l'opportunità di escludere dal campo di applicazione della proposta normativa i datori di lavoro pubblico c.d. privatizzati, in considerazione della apprezzabile difficoltà di approntare, nei tempi rapidi imposti dalla procedura, una difesa efficace, il proposito di assecondare gli intenti legislativi volti alla tendenziale uniformità della disciplina del settore pubblico e di quello privato ha suggerito di non differenziare gli strumenti processuali.

La modifica della normativa sostanziale concerne esclusivamente la decadenza, nel quando e nel quomodo, dell'impugnativa del licenziamento: il  termine, innalzato a 120 giorni, diventa anche termine di decadenza dall'azione giudiziale.  Il medesimo termine decorre da qualsiasi altro atto o fatto  che manifesti l'inequivoca intenzione del datore di lavoro di porre fine al rapporto di lavoro.

Il procedimento si svolge con una cognizione libera da formalità, in contraddittorio delle parti, e si conclude con la conoscenza tendenzialmente completa delle questioni, di fatto e di diritto, controverse.

L'onere della prova, con riferimento al numero dei dipendenti occupati in azienda ed ai motivi che hanno determinato il provvedimento espulsivo, grava sul datore di lavoro che ha di fatto la conoscenza dei relativi dati.

La tipicità dell'azione prevede lo strumento del mutamento del rito, anche in considerazione della peculiare connotazione del termine di impugnativa del licenziamento: il giudice provvederà a disporre la regolarizzazione dell'atto introduttivo nelle forme di cui al comma 3 dell'articolo 4 quando la domanda sia stata proposta irritualmente (se proposta ai sensi degli articoli 414 e seguenti codice di rito dispone procedersi con forma sommaria, se proposta erroneamente con forma sommaria, dispone la regolarizzazione a norma degli stessi articoli).

Elemento qualificante dell'azione sommaria disegnata dal progetto di riforma è senza dubbio l'idoneità dell'ordinanza a divenire irrevocabile in mancanza di reclamo.

L'azione tipica introdotta è peculiare anche quanto al regime delle  impugnazioni:

a) l'ordinanza emessa dal Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, è reclamabile alla sezione lavoro della Corte d'Appello;

b) l'ordinanza emessa dalla Corte d'Appello, in sede di reclamo, è opponibile solo con ricorso, nelle forme di cui all'articolo 414 codice di rito, dinanzi alla stessa Corte d'Appello.

c) La sentenza della Corte d'Appello è ricorribile in Cassazione.

La coerenza sistematica potrà, inoltre, imporre alcune modifiche alla vigente disciplina ex articolo 18 legge n.300 del 1970, con riferimento allo speciale procedimento introdotto dal legislatore del 1970 per rafforzare la tutela del lavoratore dirigente di rappresentanze sindacali unitarie. 

A garanzia dell'attuazione effettiva del capo del provvedimento (ordinanza o sentenza) di condanna alla reintegra, è prevista una forte misura coercitiva di carattere pecuniario, individuata sul modello francese delle astreintes, connotata dalla irripetibilità delle somme (corrisposte o da corrispondere) in caso di successiva sentenza (di primo grado o d'appello) dichiarativa della legittimità del licenziamento.  Per evitare ingiustificati arricchimenti del lavoratore, in caso di successiva sentenza dichiarativa della legittimità del licenziamento, il lavoratore può trattenere solo una somma corrispondente alla retribuzione per il  periodo intercorso tra il provvedimento di condanna e la sentenza di riforma, mentre le ulteriori somme percepite o percipiende sono devolute ad un fondo speciale. La  riforma del provvedimento dichiarativo dell'illegittimità del  trasferimento comporta, invece, un obbligo di restituzione delle somme già percepite

Per attuare l'astreinte è data al lavoratore la procedura cautelare dell'art. 669 sexies e seguenti codice di procedura civile, con la quale richiedere al giudice, dell'ordinanza o della sentenza di reintegra, la liquidazione delle somme dovute per i giorni di ritardo.

La relativa ordinanza è immediatamente eseguibile e reclamabile o al Collegio del tribunale o al Collegio di appello (a seconda del provvedimento reclamato).

La caratteristica urgente e sommaria del procedimento porta alla eliminazione del tentativo di conciliazione e della relativa procedura extra giudiziale, essendo questa in contrasto con i tempi ristretti della novella.

Sul piano ordinamentale si prevede, per rafforzare la celerità dell'azione, che il giudice tratti con priorità tali cause, ipotizzandosi altresì, in subjecta materia, la tipizzazione dell'illecito disciplinare del magistrato, sub specie di  violazione dell'obbligo di trattazione prioritaria. Su tale previsione, peraltro, si è registrato il fermo dissenso di autorevoli esponenti della Commissione in ragione della unicità e singolarità della previsione e della collocazione ratione materiae.

Art. 1
  1. La disciplina di cui alla presente legge si applica:

    a) alle controversie aventi ad oggetto l'impugnativa di licenziamenti, anche qualora presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro, ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto;
    b) alle controversie in materia di trasferimenti di cui all'articolo 2103 codice civile.
Art. 2
  1. La domanda si propone con ricorso al tribunale in funzione di giudice del lavoro.
  2. Il giudice, convocate le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede, nel modo che ritiene più idoneo allo scopo urgente del procedimento, all'acquisizione ed alla valutazione degli elementi di prova relativi ai fatti allegati, e provvede con ordinanza all'accoglimento o al rigetto della domanda.
  3. Ove la domanda sia proposta ai sensi degli articoli 414 e seguenti del codice di procedura civile, il giudice, anche d'ufficio, dispone con ordinanza che la causa prosegua ai sensi del comma 2.
  4. Il giudice adito in via sommaria, ove rilevi che la causa dev'essere trattata secondo le forme ordinarie, dispone, con ordinanza, il mutamento di rito per la prosecuzione del processo ai sensi degli articoli 414 e seguenti codice di procedura civile.
  5. Nelle controversie in materia di licenziamento l'onere della prova relativa al numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro grava su quest'ultimo. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 5 della legge 15 luglio 1966, n. 604.
Art. 3
  1. L'ordinanza di cui al comma 2 dell'articolo 2 è reclamabile innanzi alla sezione lavoro della Corte d'appello entro il termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione alle parti dell'ordinanza stessa. La mancata proposizione del reclamo rende immutabile l'ordinanza.
  2. Al giudizio di reclamo si applica il comma 2 dell'articolo 2. L'ordinanza è opponibile, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione , innanzi alla Corte d'appello nelle forme di cui all'articolo 414 e seguenti del codice di procedura civile. La mancata proposizione dell'opposizione rende immutabile l'ordinanza.
Art. 4
  1. Il giudice, con l'ordinanza o la sentenza di condanna alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, determina la somma dovuta dal datore di lavoro per l'eventuale ritardo nell'esecuzione del provvedimento, entro il limite massimo di quattro retribuzioni globali di fatto giornaliere ed il limite minimo di due retribuzioni globali di fatto giornaliere per ogni giorno di ritardo, tenuto conto delle dimensioni dell'organizzazione produttiva.
  2. Il lavoratore può chiedere, con ricorso al giudice che ha ordinato la reintegrazione, la liquidazione della somma dovuta. L'onere della prova dell'effettiva reintegrazione grava sul datore di lavoro. Il giudice provvede nelle forme di cui al primo comma dell'articolo 669-sexies codice di procedura civile e decide con ordinanza con la quale liquida le spese del procedimento; il provvedimento è immediatamente esecutivo e contro lo stesso è ammesso reclamo a norma dell'articolo 669-terdecies codice di procedura civile.
  3. Le somme corrisposte o ancora da corrispondere al lavoratore ai sensi dei commi 1 e 2 sono irripetibili dal datore di lavoro in caso di riforma del provvedimento con cui è stata ordinata la reintegrazione. In tal caso, il lavoratore trattiene solo la somma corrispondente alla retribuzione per il periodo intercorso tra il provvedimento di condanna alla reintegrazione ed il provvedimento di riforma. Le ulteriori somme percepite o da percepire sono devolute al Fondo (xxx).
  4. In caso di riforma del provvedimento dichiarativo dell'illegittimità del trasferimento, il lavoratore è tenuto a restituire le somme già percepite ai sensi dei commi 1 e 2.
Art. 5
  1. L'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, è così modificato:

    a) nel primo comma dopo le parole "il giudice con" sono aggiunte le parole "l'ordinanza o";
    b) nel quarto comma dopo le parole "Il giudice con" sono aggiunte le parole "l'ordinanza o";
    c) nel quinto comma dopo la parola "deposito" sono aggiunte le parole "dell'ordinanza o" .
Art. 6
  1. Alle controversie instaurate ai sensi dell'articolo 1, comma 1, non si applica l'articolo 410 del codice di procedura civile.
  2. L'articolo 5 della legge 11 maggio 1990, n. 108 è abrogato.
Art. 7
  1. Il primo comma dell'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604 è così sostituito: "Il licenziamento dev'essere impugnato a pena di decadenza entro centoventi giorni dalla ricezione della sua comunicazione, ovvero dalla comunicazione dei motivi, ove non contestuali con ricorso depositato nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro"
  2. Il termine di cui al comma 1 decorre da ogni altro atto o fatto che manifesti l'inequivoca intenzione del datore di lavoro di porre fine al rapporto di lavoro.
Art. 8
  1. Le controversie, sommarie o ordinarie, relative ai licenziamenti devono essere trattate dal giudice con priorità con la solo eccezione dei procedimenti cautelari e di quelli previsti dall'articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300.
  2. L'inosservanza del comma 1, senza giustificato motivo, costituisce illecito disciplinare.
III. PROCESSO PREVIDENZIALE

Molteplici ragioni impongono di guardare alle controversie previdenziali con particolare preoccupazione, sì da richiedere terapie forti:

  1. perché esse costituiscono più della metà delle controversie di lavoro pendenti in sede giudiziaria (oltre 900.000 davanti ai vari gradi);
  2. perché presentano la più alta percentuale di cause seriali (75.000 solo in materia di interessi e rivalutazione; 40.000 in materia di indennità di disoccupazione per lavoratori agricoli, per citare alcuni dati recenti);
  3. perché i filtri costituiti dai procedimenti contenziosi amministrativi previsti dall'articolo 443 codice di rito, nonché dalle conciliazioni, dagli arbitrati e dalle collegiali mediche contemplate dalle disposizioni di attuazione (art. 147 disp. att. c.p.c.), sono letteralmente "saltati", essendosi ridotti, nella realtà, ad un mero ritardo nell'azione giudiziaria.

Tale risultato dipende da una serie di fattori, tra cui:

  • la  scarsa decisività degli accertamenti tecnico-sanitari;
  • l'assenza di ogni vincolatività sostanziale delle collegiali mediche;
  • l'estrema differenziazione dei procedimenti accertativi, valutativi e di  gestione tra gli enti competenti;
  • l'eccessiva segmentazione dei procedimenti amministrativi seguiti da ciascun ente;
  • l'insufficiente armonizzazione dei requisiti medico-sanitari e dei criteri di  riconoscimento e di valutazione delle menomazioni;
  • l'emersione di problematiche "nuove e complesse" quali quelle concernenti il danno biologico, la previdenza complementare, la cartolarizzazione dei crediti previdenziali;
  • l'ingiustificata generalizzazione del regime di gratuità del giudizio previdenziale anche per i percettori di redditi medio-alti, a fronte dell' esposizione degli enti previdenziali a spese giudiziali vertiginose;
  • la persistente vigenza di una normativa ancora disordinati e asistematica;
  • la prospettiva - ventilata da una parte dei componenti della Commissione quale conseguenza della privatizzazione del pubblico impiego - del trasferimento alla giurisdizione del giudice del lavoro delle controversie pensionistiche attualmente pendenti (oltre 300.000)  davanti alla Corte dei Conti.

In particolare, una categoria di controversie che, come emerso dalle specifiche  audizioni di esperti appositamente invitati in rappresentanza degli enti pubblici di previdenza e dell'Avvocatura dello Stato, presenta gravissime carenze e che, anche per l'incessante aumento delle pendenze, richiede interventi coraggiosi, è quella riguardante l'invalidità civile e le prestazioni pensionistiche già gestite dai Ministeri dell'Interno e del Tesoro, per le quali  è emersa una pressoché totale assenza di ogni fase contenziosa amministrativa.

Per operare efficacemente su questi terreni, la Commissione ha ritenuto indispensabile - almeno per quanto riguarda le controversie dipendenti da accertamenti medico-legali (costituenti più del 20% dell'insieme, su scala nazionale, o addirittura il 70/80% in alcune aree centro-meridionali) -  una forte valorizzazione e maggiore impegnatività della fase contenziosa amministrativa, possibilmente unificata, accentuandone i connotati di terzietà, di rispetto del contraddittorio, con possibilità di assistenza tecnico-legale.

In questa prospettiva sono stati ripresi spunti forniti dalla precedente Commissione del 1998, istituita dal Ministro del Lavoro (Treu),  la quale aveva suggerito, quale soluzione più radicale, (da accompagnare, peraltro ad una serie di interventi di contenimento dell'ulteriore ricorso per Cassazione), l'impugnabilità in unico grado delle decisioni rese in detta fase amministrativa, il che, senza sacrificare diritti fondamentali,  oltre a ridurre drasticamente i tempi e i costi del giudizio, avrebbe reso disponibili enormi risorse all'interno della giurisdizione, consentendole di operare in maniera più incisiva sul controllo di legalità. 

Su questo versante, non è stato possibile pervenire - all'interno della Commissione -  ad indicazioni unitarie, preferendosi affidare alle scelte che saranno adottate in sede politica due progetti (sostanzialmente) alternativi, i quali, pur ispirati dalla medesima finalità e dall'accettazione dei medesimi valori, privilegiano, l'uno, un intervento di tipo, per così dire, "strutturale" (introduzione di un procedimento obbligatorio precontenzioso, diretto alla formazione di un titolo esecutivo stragiudiziale, ed attribuzione della fase giudiziale alla competenza di giudice onorario), l'altro, un intervento di tipo prettamente correttivo-integrativo della disciplina esistente.

A) Prima soluzione:

Delega al Governo per la modifica del Capo II del Titolo IV del Libro II del codice di procedura civile (relativo alle controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatoria).

Art. 1

Il Governo è delegato ad emanare entro ....  mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi miranti a garantire una definizione efficiente e rapida delle controversie di previdenza ed assistenza obbligatoria e di quelle relative all'inosservanza degli obblighi di assistenza e previdenza derivanti da contratti e accordi collettivi, comprese le prestazioni previdenziali o assistenziali sia pubbliche che private, con l'osservanza dei seguenti principi e criteri direttivi:

a) all'art. 442 c.p.c., comma I dopo le parole "e di assistenza obbligatoria aggiungere le parole "sia pubblica che privata";

b) aggiungere l'art. 410 ter c.p.c., (tentativo obbligatorio di conciliazione), prevedendo l'istituzione presso le Sezioni Lavoro dei Tribunali delle Commissioni Precontenziose, d'intesa con gli Uffici Provinciali del Lavoro, e le Sezioni lavoro dei Tribunali, composte da un Presidente e due componenti (questi ultimi designati rispettivamente dall'ente sia pubblico che privato e dal Patronato dell'assicurato, mentre il Presidente viene nominato dal Direttore dell'Ufficio provinciale del lavoro) con il compito di definizione stragiudiziale della controversia;

c) stabilire per il procedimento precontenzioso obbligatorio:

  1. che l'introduzione del ricorso avanti le Commissioni precontenziose avvenga nel rispetto delle prescrizioni di cui agli artt. 414 e 416 c.p.c. e delle relative decadenze, con esposizione delle rispettive ragioni in fatto ed in diritto;
  2. che sia prevista la facoltà dell'assistenza tecnica dei legali degli Enti e dell'assicurato;
  3. che alla mancata costituzione del convenuto conseguano gli effetti di cui all'art. 232 c.p.c. ;
  4. che la Commissione, all'udienza fissata dal Presidente, disponga, ove occorra, mezzi istruttori, ivi compresa la consulenza tecnica;
  5. che la Commissione debba pervenire ad una determinazione entro un termine massimo, compatibile con la natura del precontenzioso;
  6. che le forme del procedimento siano libere;
  7. che la determinazione, formulata sul consenso delle parti, abbia efficacia vincolante per esse, e se positiva, abbia efficacia di titolo esecutivo stragiudiziale;
  8. che, in caso di mancato consenso, la Commissione formuli un accertamento allo stato degli atti, accertamento che diviene immutabile ed esecutivo se la causa non è iniziata davanti al giudice competente entro un termine predeterminato;
  9. che in ogni caso, il provvedimento debba essere motivato e contenere la soluzione prospettata, con esposizione delle posizioni delle parti;

d) stabilire che i compensi per i componenti delle Commissioni precontenziose siano attinti dai fondi già previsti nel bilancio degli Enti e per i legali con previsione espressa, nella legge finanziaria; stabilire una posta per il compenso dovuto ai legali dei Patronati secondo le tariffe professionali ridotte di un terzo, armonizzando la spesa con il contributo previsto per i Patronati secondo dalla recente disciplina contenuta nella legge 30 marzo 2001, n.152 ;

e) escludere ogni ipotesi di arbitrato nel contenzioso di cui all'art. 442 c.p.c.;

f) prevedere la vigilanza, da parte del Presidente della Sezione Lavoro del Tribunale, sulle Commissioni precontenziose e sull'attività di queste al fine di garantirne l'imparzialità, la composizione ed il rispetto delle modalità di svolgimento nonchè la professionalità dei componenti;

g) prevedere la costituzione delle Commissioni in ogni capoluogo di provincia, sede degli enti, fissandone la competenza territoriale;

h) modificare l'art. 147, I comma, disp.att., c.p.c. in conformità dei principi e criteri direttivi della presente legge delega;

i) modificare l'art. 444 c.p.c. e seguenti stabilendo che avverso le decisioni della Commissione Precontenziosa è competente in sede giurisdizionale il Giudice del Lavoro onorario in funzione di Giudice della Sicurezza sociale;

j) prevedere che l'estrazione del Giudice del Lavoro, onorario, in prima istanza, sia caratterizzato da un alto grado di specializzazione configurandosi come Giudice Onorario Aggregato (GOA), avendo come requisito, l'esercizio della professione forense continuativa e qualificata nel contenzioso del lavoro o della previdenza ex art. 442 c.p.c. per un periodo ragionevole di anni da prefissarsi;

k) in conseguenza di quanto previsto alle lettere i) e j), modificare l'articolo 1 r.d. 30 gennaio 1941 n. 12 nel senso che nella lettera a) sono aggiunte le parole "e dal giudice della sicurezza sociale"; nell'art. 4 comma 2 dopo le parole "i giudici di pace" sono introdotte le parole "i giudici della sicurezza sociale"; nell'articolo 43 r.d. n. 12 del 1941 lettera A) dopo le parole "giudice di pace" sono aggiunte le parole "e del giudice della sicurezza sociale"; nell'art. 50 bis c.p.c. al comma 1 sono aggiunte le parole: "nelle controversie di cui all'art. 442 c.p.c. in grado di appello";

l) prevedere che la sentenza del Giudice del lavoro onorario, in funzione del Giudice della sicurezza sociale, sia impugnabile davanti alla Sezione Lavoro della Corte di Appello;

m) determinare il regime delle incompatibilità conseguenti e l'inquadramento normativo ed economico per i già vigenti G.O.A., per il contenzioso civile, in quanto conciliabili con le funzioni previste dalla presente legge delega;

n) modificare il regime della gratuità universale per i precettori di redditi medio-alti, e riscrivere in conseguenza l'art. 152 disp. att. c.p.c.;

o) in ordine alle cause seriali, determinare criteri di individuazione quali indici della natura seriale della questione, laddove involgono questioni d'interpretazione di legge, avendo come possibile riferimento l'art. 68 bis d.lgs. 29/1993 (fra questi, potrebbe suggerirsi il caso della questione di diritto posta a fondamento del motivo della riassunzione della controversia davanti al giudice all'esito della fase precontenziosa);

p) per l' eliminazione dell'arretrato (condizione essenziale per l'operatività concreta degli interventi proposti), istituire sezioni stralcio della sezione lavoro del Tribunale, integrate con Giudici Onorari Aggregati, (come si è previsto per il Civile) sulla base delle pendenze esistenti soprattutto nelle grandi aree metropolitane. I G.O.A. addetti alle sezioni stralcio lavoro del Tribunale, a composizione collegiale, saranno designati sulla base del requisito della specializzazione tra gli avvocati che trattino con continuità o prevalentemente il contenzioso del lavoro e previdenziale e di controversia con la P.A., da almeno dieci anni. Varranno per costoro le previsioni sulle incompatibilità già previste per i G.O.A. ed i Giudici di Pace.

Art. 2

Il Governo è delegato nello stesso termine, nel quadro del riordino generale del contenzioso del lavoro della Pubblica Amministrazione ex d. lgs n.29 del 1993 ad emanare le norme necessarie per attrarre alla competenza ex art. 442 c.p.c. e conseguentemente alla fase precontenziosa, le controversie della Corte dei Conti, in materia di pubblico impiego, con deroga per il personale soggetto a riserva di legge.

Art. 3

Il Governo dovrà provvedere in pari tempo - al fine di rilanciare - il rito del lavoro, atteso il suo fondamento pubblicistico, ad istituire un Osservatorio, presso il Ministero della Giustizia e del Lavoro sull'applicazione, ed a prevedere una fase sperimentale, con strumenti legislativi che consentano anche di intervenire in corso d'opera sul piano integrativo e correttivo in coerenza con le esperienze di altre legislazioni comunitarie.

Art. 4

Nell'ambito dell'adozione del nuovo regime unitario del precontenzioso come fase obbligatoria, il Governo dovrà armonizzare la fase amministrativa, attualmente frammentaria e diversificata a seconda degli enti di competenza e del regime delle varie prestazioni previdenziali.

Art. 5

Gli schemi dei decreti legislativi saranno trasmessi al Senato della Repubblica ed alla Camera dei Deputati perché sia espresso dalle competenti Commissioni permanenti un motivato parere entro il termine di 30 giorni dalla data della trasmissione, decorso il quale i decreti sono emanati, anche in mancanza di parere.

Art. 6

Entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi il Governo può emanare disposizioni correttive nel rispetto dei criteri e principi direttivi suindicati.

Art. 7

All'attuazione della nuova disciplina per la fase precontenziosa , si dovrà provvedere con i bilanci degli Enti e con espressa previsione per la fase contenziosa di primo grado con relativa posta di bilancio nella legge finanziaria del 2002.

B) Seconda soluzione

Premessa indispensabile di tale proposta è l'adozione delle misure - condivise all'unanimità nella Commissione - concernenti la gestione delle cause "seriali" (su cui v. infra)

Essa è particolarmente mirata alle controversie dipendenti da accertamenti medico-legali, giacché per tutte le altre controversie previdenziali  la cui soluzione può coinvolgere aspetti tecnico-giuridici di notevole complessità, non si ravvisano ragioni che ne giustifichino una pregiudiziale differenziazione, sul piano della disciplina processuale, rispetto alle controversie di lavoro in genere.

Dette controversie - in quanto rappresentano una componente quantitativamente assai rilevante del contenzioso del lavoro (specie nelle aree geografiche dove si registrano le maggiori disfunzioni) al cui aggravio si intende apprestare rimedi, e, d'altra parte, sono risolvibili essenzialmente sulla base di criteri mutuabili dalla scienza medico-legale - meritano di essere sottoposte al vaglio giudiziale secondo modalità che sgravino il giudice del lavoro dai profili ordinari della trattazione degli aspetti medico-legali.

Pur restando rigorosamente all'interno del disegno della legge n. 533 del 1973, la proposta in esame parte dall'esigenza che il contenzioso amministrativo acquisisca: 1) maggiore affidabilità (specie nelle controversie previdenziali in riferimento), e 2) maggiore semplicità (affinché le relative regole e procedure non debbano, esse stesse, rappresentare occasione di vertenzialità).

Al perseguimento dei due suddetti obiettivi - potenziamento qualitativo dell'istruttoria dei ricorsi amministrativi (al fine della loro maggiore affidabilità e, dunque, della maggiore fruibilità in giudizio dei relativi esiti) e semplificazione degli stessi (al fine, come si è detto, della riduzione delle ragioni di vertenzialità, per così dire, endogena) - è finalizzata la seguente ipotesi di delega, nonché la modifica dell'art. 147 disposizioni di attuazione codice di procedura civile, nei termini che seguono:

Art.
Norma di delega

Il Governo è delegato ad emanare entro ... una o più norme di razionalizzazione della disciplina delle procedure contenziose amministrative in materia previdenziale in forma compatibile con il disposto dell'articolo 147 disposizioni di  attuazione del codice di procedura civile e sulla base dei seguenti principi:

a) armonizzazione di tutte le procedure esistenti,  e loro articolazione in unico grado;

b) uniformazione dei termini;

c) potenziamento qualitativo dell'istruttoria dei ricorsi amministrativi;

d) presenza negli organi decidenti di rappresentanti delle parti interessate;

e) istituzione di sedi contenziose esterne rispetto agli enti previdenziali interessati;

f) costituzione di organi collegiali composti in maniera da assicurare specifiche competenze professionali medico-legali;

g) potenziamento qualitativo dell'istruttoria dei ricorsi amministrativi;

h) garanzia del contraddittorio e assistenza tecnico-legale;

i) impugnabilità delle decisioni assunte in sede contenziosa, concernenti i requisiti medico-legali, davanti al Tribunale in unico grado di merito (su tale criterio è stato registrato qualche dissenso all'interno della Commissione);

Art.
  1. L'articolo 147 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile è così modificato:
    1. "Nelle controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie sono privi di qualsiasi efficacia vincolante, sostanziale e processuale, gli arbitrati rituali, gli arbitrati irrituali e le conciliazioni stragiudiziali intervenute anteriormente o posteriormente alla proposizione dell'azione giudiziaria.
    2. Nelle controversie di cui al comma precedente i ricorsi amministrativi hanno effetto sospensivo di ogni provvedimento che implichi l'annullamento del rapporto assicurativo.
    3. Nelle controversie di cui al primo comma, nelle quali il riconoscimento del diritto a pensioni, rendite, assegni o indennità comunque denominati, per legge dipenda dallo stato delle condizioni psico-fisiche del beneficiario della prestazione o del suo dante causa, gli accertamenti medico-legali, volti alla decisione dei relativi ricorsi amministrativi, possono essere demandati ad un collegio medico, composto da un sanitario dell'ente competente all'erogazione della prestazione richiesta, da un sanitario nominato dal ricorrente o dall'istituto di patronato che lo assiste, e da un terzo sanitario, con funzioni di presidente del collegio, nominato d'intesa tra gli altri due o, in mancanza, dal Presidente del Tribunale, e scelto tra i medici legali con almeno dieci anni di anzianità di laurea, iscritti nell'albo di cui all'articolo 146 disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, il quale redige una dettagliata relazione medico-legale; il parere del collegio medico non è vincolante, ma di essa si tiene conto in sede di giudizio."
IV. MISURE DI RAZIONALIZZAZIONE DEL PROCESSO DEL LAVORO IN GENERALE

(Sulle ipotesi di soluzione che seguono si è registrato un consenso unanime)

1.Cause seriali

Tale tipologia riguarda tanto le controversie del lavoro quanto  le controversie previdenziali. Si stima che qualsiasi iniziativa di reazione processuale, diretta a contenere il fenomeno delle cause seriali, non possa passare altro che attraverso specifiche iniziative del giudice, da un lato, e comportamenti collaborativi della difesa tecnica delle parti, dall'altro.

Naturalmente, sarebbe auspicabile la previa elaborazione legislativa di criteri identificativi di detta tipologia di cause, attraverso i quali accertare la natura seriale della questione, laddove involgono questioni di interpretazione di legge, avendo come possibile riferimento l'articolo 68 bis d. lgs. n.29 del 1993 (un criterio empirico potrebbe essere quello di una questione di diritto che sia stata posta a fondamento del motivo della riassunzione della controversia davanti al giudice all'esito della fase precontenziosa).

Al riguardo, tuttavia, vanno considerati, ex plurimis, la difficoltà di definizione della nozione stessa di causa seriale; il diverso proporsi del problema nelle controversie di lavoro e nelle controversie previdenziali; l'esigenza di non coinvolgere quanto già dalla legge espressamente disciplinato (accertamento pregiudiziale sui contratti collettivi di lavoro pubblico).   

Si reputa, pertanto, preferibile prospettare, allo stato, una soluzione minimale, che si muova all'interno dell'istituto della riunione dei procedimenti e si avvalga del modello unico di iscrizione a ruolo, elaborato dal Ministero della Giustizia d'intesa con il Consiglio Superiore della Magistratura, di cui alle circolari 22 dicembre 1999 e del 2 agosto 2000.

Tutto ciò, naturalmente, non esclude la possibilità del ricorso a meccanismi quali  quello previsto dall'articolo 68 bis del d.lgs. n. 29 del 1993 (da fare oggetto, peraltro, di apposita, attenta elaborazione).

Allo stato, si ipotizza, dunque, al fine suddetto, il seguente intervento integrativo alla vigente disciplina (modifica dell'art. 151 codice di procedura civile e introduzione degli artt. 151 bis e 151 ter disposizioni di attuazione del codice di procedura civile).

Art.
  1. L'articolo 151 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile è così modificato:
    1. "La riunione, ai sensi dell'articolo 274 del codice, dei procedimenti relativi a controversie in materia di lavoro e di previdenza e di assistenza connesse anche soltanto per identità delle questioni dalla cui risoluzione dipende, totalmente o parzialmente, la loro decisione deve essere sempre disposta dal giudice .
    2. Per il caso in cui detta riunione possa rendere troppo gravoso o comunque ritardare eccessivamente il processo, quanto stabilito dal comma 1 può essere derogato, purché ciò avvenga con provvedimento motivato, da adottarsi d'ufficio, ovvero a seguito di specifica richiesta della parte interessata.
    3. Le competenze e gli onorari saranno ridotti in considerazione dell'unitaria trattazione delle controversie riunite".
Art.
  1. Dopo l'articolo 151 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile è aggiunto il seguente :
"Art. 151 bis
  1.  
    1. Al fine di agevolare la riunione obbligatoria di cui all'articolo 151, la difesa del ricorrente è tenuta ad indicare in apposita casella del modello unico della nota di iscrizione a ruolo, se ha promosso nel corso dell'anno o in quello precedente, o gli risulta che siano attualmente pendenti davanti al medesimo Tribunale altre cause la cui soluzione dipenda totalmente o parzialmente dalle medesime questioni.
    2. L'inosservanza di quanto stabilito nel comma 1 comporta l'automatica perdita, a carico dell'inadempiente, del diritto alla liquidazione di spese e competenze processuali, di cui all'articolo 91, comma 1, c.p.c.."
Art.
  1. Dopo l'articolo 151 bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile è aggiunto il seguente :
              "Art. 151 ter
  1.  
    1. Il giudice adito, nel caso in cui acquisisca conoscenza che presso altro giudice del medesimo Tribunale pendono una o più controversie, la cui decisione dipenda, totalmente o parzialmente, da questioni identiche, rimette immediatamente gli atti al Presidente della Sezione lavoro o, in mancanza di questa, al Presidente del Tribunale per i provvedimenti di competenza.
    2. Il Presidente del Tribunale, accertata la pendenza presso giudici diversi di cause la cui soluzione dipenda, totalmente o parzialmente, da questioni identiche, rimette tutte le suddette cause davanti ad un unico giudice, eventualmente tramite sorteggio; il giudice è tenuto a provvedere in merito, ai sensi dell'articolo 151 disp. att. c.p.c..
    3. La mancata osservanza, senza adeguata giustificazione, di quanto disposto dai precedenti commi, nonché dall'articolo 151, che precede, costituisce comportamento di rilevanza disciplinare."

2.  Ricorso in materia di previdenza e assistenza obbligatorie

L'art.414 c.p.c., nel testo vigente non consente - specie in casi di omonimia - l'esatta identificazione del ricorrente né quale destinatario delle prestazioni, né, tanto meno, quale soggetto nei confronti del quale operare le ritenute fiscali.   Si è pertanto condiviso il suggerimento - formulato dall' Ufficio legale dell' Inps - di aggiungere all'articolo 442 codice di procedura, il seguente (terzo) comma:

"3. L'atto introduttivo del giudizio promosso nei confronti di Enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie, fermo il disposto degli artt. 163, terzo comma, n. 2, 414, primo comma n. 2 e 480, secondo comma, c.p.c., deve contenere l'indicazione del codice fiscale, della data di nascita, nonché, della residenza anagrafica del ricorrente."

3.  Ius novorum nella fase di gravame.

Un effetto deflattivo del contenzioso previdenziale, in genere, ed, in particolare, una razionalizzazione dei giudizi in grado di appello (e in sede di rinvio dalla Cassazione), che abbiano ad oggetto questioni risolvibili con criteri medico legali, appaiono perseguibili  adottando il seguente

Art.
  1. L'articolo 149 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile è così modificato:

"1.- Nelle controversie di cui all'articolo 442 c.p.c. il giudice deve valutare anche l'aggravamento della malattia, nonché tutte le infermità comunque incidenti sullo stato delle condizioni psicofisiche dell'assicurato, o del suo dante causa, che si siano verificate nel corso tanto del procedimento amministrativo che del giudizio di primo grado ed ivi ritualmente dedotte".

4. Comunicazione delle decisioni in materia di previdenza e assistenza obbligatorie agli enti previdenziali

Al fine di consentire agli Istituti previdenziali di avere tempestiva conoscenza dei provvedimenti giurisdizionali e così, di assicurare un sollecito adeguamento in sede amministrativa a quanto in essi statuito  (il che appare particolarmente utile per l'Inps in considerazione delle nuove competenze attribuite a tale Istituto in materia di invalidità civile) nonché di evitare - attraverso una tempestiva conoscenza di quei provvedimenti - azioni esecutive in danno dei medesimi Istituti, si è ritenuto opportuno introdurre una disposizione di natura organizzativa  (analoga a quella già prevista dall'articolo 14 della legge 3 aprile 1979, n. 103 per l'Avvocatura dello Stato)  del seguente tenore:

Art. 149 bis disp.att. c.p.c.

In tutti i giudizi e procedimenti regolati dagli artt. 442 e segg. c.p.c. nei quali siano parte, anche non costituita, Enti o Istituti gestori forme di Previdenza ed Assistenza obbligatorie organizzati su base territoriale, all'atto della pubblicazione di ogni sentenza od a seguito della pronuncia di ogni ordinanza, dev'essere depositata - a cura del cancelliere o segretario dirigente della cancelleria o segreteria dell'organo giurisdizionale presso cui la sentenza è pubblicata o l'ordinanza è depositata - una copia autenticata in carta libera a disposizione dei predetti Enti o Istituti.

5 - Spese processuali.

I notevoli mutamenti, rispetto al periodo al quale risale la riforma del processo del lavoro, che hanno interessato l' "utenza" del processo stesso (oltre a più generali esigenze di contenimento delle spesa pubblica), hanno reso ormai da tempo inattuale ed ingiustificata l'indiscriminata esenzione dei lavoratori dall'onere del pagamento delle spese di soccombenza (salvo il caso - peraltro, di rado ravvisato nella pratica giudiziale - di lite manifestamente infondata e temeraria).

Si propone, pertanto, la seguente modifica dell'art. 152 disp. att. c.p.c.:

Art.
  1. L'articolo 152 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile è così modificato:

"1.- La parte soccombente nel giudizio concernente prestazioni previdenziali o assistenziali, che sia titolare di un reddito inferiore a n...volte l'importo dell'assegno sociale, non  è assoggettata al pagamento delle spese di giudizio, a meno che la pretesa non sia manifestamente infondata e temeraria."

6 - Competenza territoriale, esecuzione esattoriale, cartolarizzazione.

In relazione all'introduzione dell'esecuzione esattoriale, come strumento di esazione dei crediti per contributi previdenziali, e della cartolarizzazione di questi ultimi, il giudizio di opposizione contro il ruolo ex art. 28, comma 6, d.lgs. n. 46 del 1999, per effetto di alcune incongruenze normative e di obiettive incertezze interpretative, può, allo stato, determinare un inutile aggravio di contenzioso o strumentali duplicazioni di ricorsi.

Parte dei suaccennati inconvenienti riguardano l'individuazione del giudice competente, e potrebbero essere ovviati aggiungendo un quarto comma all'articolo 444 codice di rito, del seguente tenore:

"4.- Giudice competente per il giudizio di opposizione contro il ruolo, ai sensi dell'articolo 25, del decreto legislativo n. 46 del 1999, è il Tribunale del luogo in cui ha sede l'ufficio dell'ente previdenziale che ha proceduto all'iscrizione al ruolo, anche se tale sede non coincide con il domicilio fiscale del soggetto obbligato".

7 - Interessi e rivalutazione

La recente sentenza della Corte costituzionale 2 novembre 2000, n. 459, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'articolo 22, comma 36 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, nella parte in cui modifica (in pejus) il regime di rivalutazione dei crediti retributivi introdotto dall'articolo 429 ultimo comma del codice di procedura civile, ha riaperto l'annoso dibattito circa la legittimità di una estensione del medesimo regime ai crediti di natura previdenziale o assistenziale,  certamente meritevoli di una pari tutela specie in relazione alla più sfavorevole situazione economica in cui versano i percettori di prestazioni previdenziali o assistenziali obbligatorie.

E' apparso, quindi, opportuno, anche per prevenire l'insorgenza di numerose questioni di legittimità costituzionale, ripristinare la totale assimilazione dei crediti, siano essi retributivi (pubblici e privati) siano essi previdenziali o assistenziali, all'identico regime prefigurato dall'art. 429 u.c. del codice di rito, secondo gli esiti cui era già pervenuta la giurisprudenza - sia costituzionale che di legittimità - alla fine di un lunghissimo e tormentato dibattito iniziato dal 1973 sino a tutto il 2000.

Altrettanto opportuna è apparsa la trascrizione, in apposita norma, dell'orientamento "intermedio" espresso da ultimo dalle Sezioni Unite della Cassazione (sent.29 gennaio 2001, n. 38) in ordine alla cumulabilità degli interessi legali con la rivalutazione monetaria:       

Art.

Sono abrogati l'articolo 16 comma 6 della legge 30 dicembre 1991, n. 412, nonché l'articolo 22, comma 36, secondo capoverso, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, da "L'articolo 16, comma 6 ..." fino a "data di entrata in vigore della presente legge".

Art.

L'art. 150 delle disposizioni di attuazione è così modificato:

"Ai fini del calcolo di cui all'art. 429 c.p.c. ultimo comma del Codice il Giudice applicherà l'indice delle variazioni dei prezzi al consumo per operai e impiegati calcolato dall'ISTAT, nonché gli interessi legali calcolati sul capitolato via via rivalutato"

8. Procedimento monitorio

La Commissione ha preso in esame interventi in proposito, partendo da tre ordini di considerazioni.

  • In primo luogo l'esigenza di equiparare il trattamento processuale dei lavoratori subordinati, autonomi manuali, autonomi intellettuali per i quali non esiste una tariffa legalmente approvata a quello per i quali questa tariffa esiste.
  • In secondo luogo il rilievo, frutto non solo di una banale intuizione, ma anche dall'esperienza comparata, che allargare il campo di applicazione del procedimento per decreto significa introdurre una notevolissima razionalizzazione nell'amministrazione della giustizia civile. La grande efficienza di questa amministrazione in Germania e in Austria deriva anche dalla circostanza che la stragrande maggioranza delle domande di tutela giurisdizionale per crediti pecuniari (in Austria addirittura anche quelli derivanti da fatto illecito!) sono filtrati da un procedimento monitorio puro.
  • In terzo luogo il rilievo empirico che una percentuale molto rilevante dei procedimenti di lavoro - specie in alcuni campi come l'edilizia - sono procedimenti in contumacia, procedimenti i quali, data la disciplina di derivazione francese per cui l'attore deve provare la propria pretesa per vincere la causa, comportano quasi sempre un inutile dispendio di attività. (Una ricerca svolta alcuni anni or sono alla pretura di Torino con finanziamento CNR aveva rilevato il 34% dei procedimenti di lavoro svolti nella contumacia del convenuto). E' appena il caso di rilevare che la notevole percentuale di procedimenti in contumacia si ribalterebbe, con l'innovazione proposta, nella certezza che, per quanto riguarda quei procedimenti, non vi sarebbe opposizione. E basterebbe già questo dato di fatto, per concludere che l'innovazione darebbe luogo ad un guadagno netto di attività giurisdizionale. Senza contare che la chiamata in campo delle associazioni sindacali e professionali per il controllo dei conteggi condurrebbe ad una prima scrematura delle pretese e, in generale, con grande probabilità, anzi, con ragionevole certezza, ad una percentuale di opposizioni non superiore a quella, bassa, che si registra per i decreti ingiuntivi secondo la disciplina vigente.

Un inconveniente della soluzione proposta potrebbe essere ravvisato nella circostanza che essa può comportare una diminuzione dei redditi professionali degli avvocati dei lavoratori. Ma a questa diminuzione corrisponderebbe una grande semplificazione nel lavoro degli studi, che potrebbero meglio concentrarsi sulle cause in cui viene proposta l'opposizione e su quelle più delicate e complesse che devono seguire la via del processo in contraddittorio (licenziamenti, accertamenti dell'esistenza del rapporto, mansioni, qualifiche, interpretazione dei contratti collettivi ecc.)

Sono state esaminate tre soluzioni possibili, di seguito riportate, delle quali soltanto la prima di esse soddisfa completamente, a parere unanime della Commissione, le esigenze appena illustrate.   La seconda è una soluzione di compromesso, la terza si limita a codificare un orientamento giurisprudenziale abbastanza diffuso.

Prima soluzione (forte): rendere  praticamente puro (e quindi svincolato da una vera e propria prova scritta, alla medesima stregua della vigente disciplina per i crediti per le prestazioni di lavoro intellettuale disciplinate dai numeri 2 e 3 dell'articolo 633 codice di procedura ) il procedimento avente ad oggetto crediti in denaro traenti origine da uno dei rapporti indicati dall'articolo 409 c.p.c. ovvero da rapporti di lavoro autonomo.

Seconda soluzione (intermedia): rendere quasi puro, (richiedendo al ricorrente di offrire indizi idonei a far presumere esistenti i fatti costitutivi del proprio diritto), il procedimento avente ad oggetto i crediti di denaro indicati alla lettera precedente.

Terza soluzione (debole)  rendere possibile la pronuncia del decreto anche quando - ferma la necessità della prova scritta per i fatti costitutivi - la quantificazione della somma dovuta richieda la consultazione di tabelle retributive e/o il compimento di calcoli di non immediata fruibilità da parte del giudice.

La Commissione, a larga maggioranza, ha optato per la "proposta forte" con la precisazione che in tal caso il decreto ingiuntivo non possa essere reso esecutivo ai sensi dell'art. 642 c.p.c.

Tale proposta può essere così formulata:

Art.
  1. Al primo comma dell'articolo 633 c.p.c. dopo il numero 3 è aggiunto il seguente:

    "4. Se il credito riguarda il corrispettivo in denaro per prestazioni di lavoro autonomo, ovvero alle dipendenze di soggetti privati o pubblici".

  2. All'articolo 636 dopo il primo comma è aggiunto il seguente:

    " Nel caso previsto dal numero 4 dell'articolo  633 la domanda deve essere accompagnata dal conteggio delle prestazioni e corredata del parere del competente sindacato o associazione professionale".

9. INTERVENTI ORDINAMENTALI

Nella unanime convinzione della indispensabilità di  interventi che riguardino anche gli aspetti organizzativi ed ordinamentali, dai quali può dipendere in larga misura il successo della riforma - come del resto avvertì il legislatore del 1973 - la Commissione ha ritenuto di formulare alcune  ulteriori proposte concernenti le "Disposizioni sul regime transitorio e sulle strutture giudiziarie" che vanno dall'articolo 17 all'articolo 30 della legge n.533 del 1973, norme solo parzialmente superate dall'introduzione del Giudice unico e la soppressione delle Preture, senza essere state sostituite, sostanzialmente, da previsioni di natura ordinamentale e strutturale, fatta eccezione per gli artt. 38 e 39 del d.l.  n. 51 del 1998.

In particolare  si propone:

a) quanto all'Assegnazione dei Magistrati agli Uffici Giudiziari ex art. 21 della L. 533, di inserire la seguente previsione:

Art.

I commi primo e secondo dell'articolo 21 della legge 11 agosto 1973, n. 533 sono così sostituiti:

"Entro il 31 marzo ed entro la stessa data di ogni anno successivo, i Presidenti delle Corti di Appello invieranno al C.S.M. ed al Ministro della Giustizia i dati statistici, relativi alle controversie disciplinate dalla presente legge, comprendenti in particolare l'indicazione, per ciascun ufficio del distretto, del numero dei procedimenti sopravvenuti entro lo stesso anno.

Alla attribuzione dei posti in organico si dovrà provvedere sulla base delle richieste motivate dei Consigli Giudiziari integrati dai rappresentanti dei Sindacati e delle Associazioni Forensi, anche a garanzia dell'osservanza dei termini perentori del titolo IV del libro II del c.p.c.".

b) Quanto alla copertura degli organici, si propone di  modificare l'articolo  38 del d.lgs. 51/98, concepito per la prima fase dell'applicazione dell'istituzione del Giudice Unico, per regolare la composizione degli organici nelle Corti di Appello. Queste, a distanza di un anno, stanno andando a regime e si impone in conseguenza una soluzione che fronteggi il flusso delle impugnazioni senza pregiudicare gli organici delle sezioni lavoro dei Tribunali come è nelle previsioni. (Esempio a Roma sino a tutto il 2000 solo quattro Giudici fronteggiavano 7000 appelli. Nel 2001 se ne prevedono 10.000 anche se nel frattempo i Giudici sono stati elevati a sette).

Con l'aumento di organico disposto dalla recente legge, che ha ridotto a 300 le unità  destinate al processo del lavoro (il disegno di legge ne prevedeva 400), l'utilizzazione aggiuntiva dovrebbe avvenire soprattutto nelle aree metropolitane, ove è più alto il  carico delle sopravvenienze e dell'arretrato delle cause di lavoro. 

c) Sulla specializzazione dei Giudici del lavoro, in attesa della istituenda Scuola Superiore della Magistratura e dell'Avvocatura, reinserire la seguente previsione così modificata:  

"Il Ministro della Giustizia, d'intesa con il Consiglio Superiore della Magistratura, organizzerà ogni anno più corsi di preparazione per magistrati che intendono acquisire la specializzazione nella trattazione delle controversie individuali di lavoro e previdenziali e nelle controversie del pubblico impiego che potranno essere organizzati in collaborazione con istituti e scuole di corsi di perfezionamento presso le Università degli Studi. La partecipazione è obbligatoria per magistrati assegnati alle sezioni lavoro, almeno ogni biennio. Ad essi possono partecipare in ogni caso quei magistrati che ne facciano richiesta.

La partecipazione ai corsi costituisce titolo preferenziale nei concorsi per la  copertura dei posti in organico e per il conferimento degli incarichi direttivi e semi-direttivi".    

a) Sui trasferimenti: prevedere che nel caso di trasferimento di magistrati del lavoro la copertura del posto in organico dovrà essere garantita sino alla materiale presa di possesso dell'ufficio".

Il rilancio della 533 ha come condizione indispensabile che sia accompagnata dalla approvazione di nuove piante organiche che adeguino i flussi del contenzioso agli organici necessari a governarlo nel rispetto delle caratteristiche del rito, dell'osservanza dei termini e della concentrazione, al di là delle soluzioni che verranno date in sede di precontenzioso o di diverso organo preposto al contenzioso previdenziale, in primo grado, come di ogni altra soluzione processuale.

**

Nel corso delle ultime sedute la Commissione ha avuto notizia dell'approvazione della legge 29 marzo 2001, n. 134 di riforma del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti, con la quale è stato abrogato l'articolo 10 della legge n.533 del 1973, abolendo, in tal modo, in larga misura il principio della gratuità del giudizio del lavoro. 

Sul merito di tale innovazione - sulla quale la Commissione non ha avuto  modo di esprimersi - si allega alla presente Relazione una nota di commento presentata da alcuni componenti nel corso dell'ultima seduta del 24 aprile.

Allegato 1
Nota presentata nel corso della seduta del 24 aprile 2001

L'articolo 23 della legge 29 marzo 2001, n.134 recante: "Modifiche alla legge 30 luglio 1990, n. 217 recante istituzione del patrocinio a spese dello Stato  per i non abbienti'' (nata dal testo dell'On. Pecorella), suscita un gravissimo e fondato allarme.

Dall'esame della norma si evince che questa nuova disciplina del patrocinio, a spese dello Stato, per i non abbienti, sostitutiva della legge del 1990, il cui esito è stato fallimentare, abroga, ad un tempo, l'art. 10 della legge 533/73.

Come è noto l'articolo 10,  norma cardine del processo del lavoro, stabiliva (stabilisce) la "Gratuità del giudizio" nei seguenti termini :

L'articolo unico della legge 2 aprile 1958, n.319, è sostituito dal seguente : "Gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi alle cause per controversie individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego, gli atti relativi ai provvedimenti di conciliazione dinanzi agli uffici del lavoro e della massima o previsti da contratti o accordi collettivi di lavoro nonché alle cause per controversie di previdenza e assistenza obbligatorie sono esenti, senza limite di valore o di competenza, dall'imposta di bollo, di registro e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura.

Sono allo stesso modo esenti gli atti e i documenti relativi alla esecuzione sia immobiliare che mobiliare delle sentenze ed ordinanze emesse negli stessi giudizi, nonché quelli riferentisi a recupero dei crediti per prestazioni di lavoro nelle procedure di fallimento, di concordato preventivo   e di liquidazione coatta amministrativa. Sono abolite relativamente ai ricorsi amministrativi riferentisi ai rapporti di pubblico impiego le tasse di cui all'art. 7 della legge 21 dicembre 1950, n. 1018. Le spese relative ai giudizi sono anticipate dagli uffici giudiziari e poste a carico dell'erario.

Le disposizioni di cui al primo comma si applicano alle procedure di cui agli articoli 618 bis, 825 e 826 del codice di procedura civile".

Questo regime che ha governato dal 1958 ad oggi tutte le controversie di lavoro previdenziali e del pubblico impiego, nonché le esecuzioni mobiliari e immobiliari, costituisce una norma fiscale quadro ed una condizione decisiva della legislazione di sostegno per questo contenzioso.

L'articolo 23 della citata legge, in sintonia con la nuova disciplina, da un canto, estende alla previsione che va dall'articolo 11 all'articolo 16 della legge 533/73 la più favorevole disciplina del patrocinio dei non abbienti, abrogandone le più restrittive e dall'altro abroga, contraddittoriamente, la gratuità degli atti giudiziari.

Trattasi di due istituti diversi: altro è la gratuità , come regime universale delle spese del giudizio, questo a tutela del fondamento sociale di questo contenzioso, altro è il regime del patrocinio che dovrebbe assicurare, per i non abbienti, a seguito di una procedura, l'assistenza legale gratuita, dove non sussista l'assistenza regolamentata degli uffici legali, dei sindacati e dei patronati.

L'abrogazione in questione appare criticabile,   perché sembra andare in direzione opposta allo spirito e alla volontà dello stesso legislatore (o frutto di un disegno del presentatore originario).

Infatti l'abrogazione ricondurrebbe l'intero contenzioso del lavoro nell'ambito dell'oneroso e costosissimo processo civile privando i lavoratori di un regime che consente di adire le vie giudiziarie da oltre mezzo secolo e che avrebbe conseguenze disastrose deprimendo e scoraggiando la tutela dei diritti. In questa situazione, se è pur vero che la nuova disciplina abrogativa delle vecchie norme, ed anche dell'art. 10 della legge 533/73, andrà in vigore a decorrere dal 15 luglio 2002.

Apprezzabile, ma non persuasiva, è la tesi di chi sostiene che, in ogni caso la L. 23 dicembre 1999 n. 388 sull' "Amministrazione del patrimonio o contabilità generale dello Stato" all'articolo 9 ,n.8. relativo al ''Contributo unificato per le spese degli atti giudiziari", laddove stabilisce che "Non sono soggetti al contributo di cui al presente articolo i procedimenti sia esenti, senza limiti di competenza e valore", rimane vigente e come tale garantirebbe la gratuità perché successiva alla L. 533/73.

Una tesi tutta da verificare che, in ogni caso, aprirebbe un problema interpretativo con defatiganti implicazioni attuative.

Da quanto esposto discende la necessità di una iniziativa unitaria per una legge correttiva o interpretativa, o in via transitoria di una eventuale circolare del Ministero delle Finanze, se del caso, di concerto con il Ministero della Giustizia e del Lavoro, per ribadire la gratuità di questi atti giudiziari già regolata dalla legge 23 dicembre 1999 n. 388 all'art.9 n.8, tenuto conto che altri rimedi allo stato non appaiono praticabili, quali un decreto legge, poiché la norma di cui all'art. 23 e dell'intera legge, entrerà in vigore dal 1 luglio 2002.

Va infine detto che, le norme della gratuità del patrocinio, per i non abbienti, ove cadesse la gratuità, non garantirebbero certo i lavoratori, stante le complessità delle procedure, ancorché migliorate, sia per l'esperienza negativa che l'istituto ha sempre prodotto nel nostro paese, sia per il permanere dei costi rilevanti degli atti giudiziari che graverebbero sugli assistiti.

INDICE

 

 

Premessa pag.  1
I. Arbitrato e conciliazione pag.  4
II. Licenziamenti e trasferimenti pag. 15
III. Processo previdenziale pag. 21
IV. Misure di razionalizzazione del processo del lavoro pag. 28
   lavoro in generale             pag. 28
   1. Cause seriali pag. 28
   2. Ricorso in materia di previdenza e assistenza obbligatorie pag. 31
   3. Ius novorum nella fase di gravame pag. 31
   4. Comunicazione delle decisioni in materia di previdenza e assistenza obbligatorie agli enti previdenziali pag. 32
   5. Spese processuali pag. 32
   6. Competenza territoriale, esecuzione esattoriale, cartolarizzazione pag. 33
   7. Interessi e rivalutazione pag. 33
   8. Procedimento monitorio pag. 34
   9. Interventi ordinamentali pag. 37
Allegato 1 pag. 40

 

SCHEDA SUI LAVORI DELLA COMMISSIONE PER LO STUDIO E LA REVISIONE DELLA NORMATIVA PROCESSUALE DEL LAVORO.

La Commissione è stata istituita con decreto 24 luglio 2000 e insediata il 5 ottobre 2000, con termine fino al 31 dicembre 2000, in seguito prorogato al 15 maggio 2001, con decreto 10 aprile 2001, con la seguente composizione:

 

Cons. Raffaele FOGLIA Consigliere di Cassazione
Avv. Piergiovanni ALLEVA Avvocato in Bologna
Dott. Giuseppe BRONZINI Consigliere Sezione lavoro Corte Appello Roma;
Prof. Sergio CHIARLONI Ordinario di diritto processuale civile nell'Università di Torino;
Prof. Maurizio CINELLI Ordinario di diritto dei lavoro nell'Università di Perugia;
Avv. Franco COCCIA Avvocato in Roma;
Dott. Laura CURCIO Giudice Sezione lavoro Tribunale Milano;
Dott. Filippo CURCURUTO Magistrato - Direttore dell'Ufficio III della Organizzazione Giudiziaria - Ministero della Giustizia;
Avv. Domenico D'AMATI Avvocato in Roma;
Prof. Raffaele DE LUCA TAMAJO Ordinario di diritto del lavoro nell'Università di Napoli;
Prof. Riccardo DEL PUNTA Ordinario di diritto del lavoro nell'Università di Firenze;
Dott. Stefanomaria EVANGELISTA Consigliere di Cassazione;
Avv. Alberto GUARISO Avvocato in Milano
Dott. Giampaolo LECCISI Magistrato - Vice Capo dell'Ufficio Legislativo - Ministero della Giustizia
Prof. Gianni LOJ Ordinario di diritto del lavoro nell'Università di Cagliari;
Prof. Mattia PERSIANI Ordinario di diritto del lavoro nell'Università La Sapienza di Roma;
Prof. Andrea PROTO PISANI Ordinario di diritto processuale civile nell'Università di Firenze;
Avv. Nino RAFFONE Avvocato in Torino;
Prof. Massimo ROCCELLA Ordinario di diritto del lavoro nell'Università di Torino;
Dott. Carlo SORGI Giudice Tribunale Forlì;

Con lo stesso decreto è stato nominato un comitato di coordinamento scientifico, cosi composto:

 

Dott.ssa Elena BOGHETICH Magistrato addetto alla Direzione Generale dell'Organizzazione Giudiziaria;
Dott.ssa Rossana MANCINO    Magistrato addetto all'Ufficio Legislativo;
Dott.ssa Teresa MASSA Magistrato addetto all'Ufficio Legislativo.

Per una maggiore funzionalità la Commissione, dopo le prime riunioni dedicate alla discussione delle linee generali, si è articolata in tre gruppi di lavoro:

Gruppo I: trasferimenti, licenziamenti e procedimenti d'urgenza

Coordinatore prof. Andrea Proto Pisani

Gruppo II: conciliazione e arbitrato

      Coordinatore prof. Giovanni Alleva

Gruppo III: riforma della legge 533/73, con particolare riferimento alle controversie previdenziali

Coordinatori proff. Sergio Chiarloni e Maurizio Cinelli

Ciascun gruppo di lavoro ha predisposto una relazione di base ed uno schema di articolato discussi in sede plenaria e progressivamente corretti secondo le indicazioni emerse nella discussione generale.

La relazione generale definitiva è stata curata dal Presidente, Cons. Raffaele Foglia, in collaborazione con le dottoresse Elena Boghetich e Rossana Mancino.


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