Legge e giustizia: giovedì 18 aprile 2024

Pubblicato in : Giudici avvocati e processi

ANCHE PER I CREDITI DI LAVORO MATURATI DOPO IL 31 DICEMBRE 1994 SONO DOVUTI, IN CASO DI RITARDATO PAGAMENTO, SIA LA RIVALUTAZIONE MONETARIA CHE GLI INTERESSI LEGALI - Il divieto di cumulo, stabilito con la legge 23 dicembre 1994 n. 724 è contrario alla Costituzione (Corte Costituzionale n. 459 del 2 novembre 2000, Pres. Mirabelli, Red. Marini).

C.T., ex dipendente della Fiat Auto S.p.A., avendo percepito con ritardo il trattamento di fine rapporto, ha chiesto al Pretore di Torino di condannare l'azienda al pagamento sia degli interessi legali che dell'importo risultante dalla rivalutazione monetaria del suo credito. Egli ha fatto riferimento all'art. 429 cod. proc. civ. che prevede, per i crediti di lavoro, la rivalutazione e, in aggiunta, gli interessi.

L'azienda si è difesa sostenendo che, poiché il rapporto di lavoro era cessato dopo il 31 dicembre 1994 e quindi il credito della lavoratrice era sorto dopo tale data, doveva applicarsi l'art. 22, comma 36, della legge 23 dicembre 1994, che esclude il cumulo degli interessi legali e della rivalutazione monetaria per i crediti di lavoro sorti dopo il 31 dicembre 1994; questa norma consente di ottenere, in alternativa, o la rivalutazione o gli interessi.

Il Pretore di Torino, con ordinanza del 21 maggio 1999, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della norma invocata dall'azienda, richiamando la costante giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui questa disposizione si applica non solo ai crediti verso gli istituti previdenziali, ma anche a quelli verso i datori di lavoro.

Secondo il Pretore di Torino l'esclusione del cumulo per i crediti di lavoro sorti dopo il 31 dicembre 1994 appariva in contrasto con gli artt. 3 (principio di eguaglianza e ragionevolezza) e 36 (diritto all'equa retribuzione) della Costituzione. Analoga questione è stata sollevata dal Tribunale di Trani.

La Corte Costituzionale (sentenza n. 459 del 2 novembre 2000, Pres. Mirabelli, Red. Marini), ha ritenuto fondata la questione ed ha conseguentemente dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'art. 22, comma 36, della legge 23 dicembre 1994 n. 724 (misure di razionalizzazione della finanza pubblica) limitatamente alle parole "e privati"".

Nella motivazione, di cui pubblichiamo il testo integrale nella sezione Documenti, la Corte ha rilevato che, mentre il divieto di cumulo fra rivalutazione ed interessi per i crediti previdenziali può ritenersi giustificato dalle necessità di contenimento della spesa pubblica, un'analoga esigenza non è ravvisabile per i crediti derivanti da rapporti di diritto privato. La Corte ha pertanto ritenuto applicabile il principio, affermato in precedenti sue decisioni, secondo cui deve essere tutelato il valore reale delle prestazioni dovute al lavoratore subordinato.

La materia concernente le conseguenze del ritardato adempimento dei crediti di lavoro - ha affermato la Corte - non può in alcun modo ritenersi estranea alla garanzia costituzionale della giusta retribuzione, essendo indubbio che l'idoneità della retribuzione ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa si ponga in funzione non solo del suo ammontare ma anche della puntualità della sua corresponsione, del pari essenziale, come è evidente, al soddisfacimento delle quotidiane esigenze di vita del lavoratore e dei suoi familiari; aspetto quest'ultimo che porta necessariamente a diversificare i crediti di lavoro da quelli comuni e che, perciò stesso, richiede per i primi una tutela differenziata da quella accordata ai secondi.

Pubblichiamo in testo integrale della motivazione della decisione nella sezione Documenti.


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