Legge e giustizia: venerd́ 19 aprile 2024

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CANCELLATO DAL CODICE PENALE IL REATO DI VILIPENDIO DELLA RELIGIONE CATTOLICA - Per contrasto con i principi di eguaglianza e di libertà religiosa (Corte Costituzionale n. 508 del 20 novembre 2000, Pres. Mirabelli, Red. Zagrelbesky).

A.G. è stato sottoposto a processo penale con imputazione del reato previsto dall'art. 402 cod. pen., secondo cui "chiunque pubblicamente vilipende la religione dello Stato è punito con la reclusione fino a un anno". Il processo, dopo alterne vicende, è arrivato alla Suprema Corte di Cassazione, che con ordinanza del 5.11.1998, ha sollevato la questione di costituzionalità dell'art. 402 cod. pen. in riferimento agli artt. 3 (principio di eguaglianza) e 8 (libertà di religione) della Costituzione.

La Cassazione ha osservato che l'art. 402 cod. pen., si riferisce alla "religione dello Stato", una nozione (ripresa dallo Statuto Albertino e dal Trattato Lateranense del 1929) che, oltre ad essere incompatibile con il principio supremo di laicità dello Stato, è stata comunque superata dalle modifiche concordatarie del 1984 secondo cui "si considera non più in vigore il principio originariamente richiamato dai Patti lateranensi della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano".

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 508 del 20 novembre 2000 (Pres. Mirabelli, Red. Zagrelbesky), ha ritenuto fondata la questione sollevata dalla Cassazione e pertanto ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 402 del codice penale.

La norma impugnata, risalente al 1930, insieme a tutte le altre che prevedono una protezione particolare a favore della religione cattolica - ha osservato la Corte - si spiega con il rilievo che, nelle concezioni politiche dell'epoca, era riconosciuto al cattolicesimo quale fattore di unità morale della nazione. Oggi, in forza dei principi fondamentali di uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di religione (art. 3 Cost.) e di uguale libertà davanti alla legge di tutte le confessioni religiose (art. 8 Cost.) - ha affermato la Corte - l'atteggiamento dello Stato non può che essere di equidistanza e imparzialità nei confronti delle religioni, senza che assumano rilevanza alcuna il dato quantitativo dell'adesione più o meno diffusa all'una o all'altra e la maggiore o minore ampiezza delle reazioni sociali che possono seguire alla violazione dei diritti di una determinata confessione religiosa. Si impone infatti - ha rilevato la Corte - la pari protezione della coscienza di ciascuna persona, che si riconosce in una fede, quale che sia la confessione di appartenenza.

In sede di controllo di costituzionalità di norme penali - ha osservato la Corte - non è possibile ampliarne la portata e quindi estendere ad altre religioni la protezione prevista per quella cattolica; pertanto l'unica pronuncia possibile è quella che conduce all'eliminazione della norma contrastante con la Costituzione.


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