Il deputato Sergio Flamigni, nel suo libro "La tela del ragno - Il delitto Moro" e in dichiarazioni rese, nel 1991, davanti alla Commissione parlamentare d'indagine sul caso Moro, ha prospettato l'ipotesi di un collegamento, all'epoca della strage di Via Fani, tra il Ministero dell'Interno (all'epoca guidato da Francesco Cossiga) e la loggia P2. In seguito a ciò, nell'ottobre del 1991 Francesco Cossiga, durante una conferenza stampa tenuta come Presidente della Repubblica, ha attaccato Flamigni dichiarando fra l'altro:"Poveretto, dice un sacco di sciocchezze ... non per cattiva volontà, ma per poca intelligenza". Queste frasi sono state ampiamente riportate dalla stampa e dalle emittenti radiotelevisive. Nel novembre del 1991 Sergio Flamigni ha chiesto al Tribunale Civile di Roma di condannare Francesco Cossiga al risarcimento dei danni per le offese rivoltegli. Cossiga si è difeso invocando l'articolo 90 della Costituzione secondo cui "il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione". In via subordinata egli ha sostenuto di avere esercitato il diritto di critica nell'ambito di un acceso scontro politico ed ha chiesto la condanna di Flamigni per le affermazioni rese sul suo conto con riferimento al caso Moro. Il Tribunale di Roma ha escluso l'applicazione del principio di irresponsabilità affermato dall'art. 90 Cost. Rep. in quanto ha ritenuto che l'attacco personale, di natura diffamatoria, rivolto dal Cossiga a Flamigni non potesse essere ritenuto un atto rientrante nell'esercizio delle funzioni presidenziali e che comunque non potesse configurarsi, nel caso in esame, un corretto esercizio del diritto di critica. Pertanto il Tribunale ha condannato Cossiga al risarcimento del danno morale, quantificato in quaranta milioni di lire oltre alla pubblicazione della sentenza e alle spese di giudizio. Questa decisione è stata integralmente riformata dalla Corte d'Appello di Roma che ha dichiarato improponibile la domanda proposta da Flamigni in quanto, pur riconoscendo la portata diffamatoria delle dichiarazioni rese da Francesco Cossiga, ha ritenuto applicabile per esse l'immunità prevista dall'art. 90 della Costituzione per gli atti compiuti nell'esercizio delle funzioni presidenziali. Secondo la Corte d'Appello al Presidente della Repubblica deve riconoscersi il potere di esternare valutazioni ed orientamenti ritenuti a suo insindacabile giudizio indispensabili per l'esercizio della sua funzione di garante dei valori costituzionali. La Corte ha ritenuto che Cossiga, con la sua reazione diretta a demolire la credibilità dell'avversario, abbia inteso tutelare la Presidenza della Repubblica assicurandone la piena funzionalità. Contro questa decisione Flamigni ha proposto ricorso per cassazione denunciando l'erronea applicazione dell'art. 90 della Costituzione. Cossiga ha resistito proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato per l'omesso esame da parte della Corte d'Appello di Roma della sua tesi difensiva subordinata, secondo cui doveva comunque essergli riconosciuta l'esimente dell'esercizio del diritto di critica. La Suprema Corte (Sezione I Civile n. 8733 del 27 giugno 2000, Pres. Sommella, Rel. Segreto) ha accolto entrambi i ricorsi. In particolare la Corte ha osservato che la cosiddetta attività di "esternazione" costituisce solo uno strumento per l'esercizio della carica di Presidente della Repubblica ma non configura essa stessa una funzione presidenziale insindacabile. Nel caso in esame - ha affermato la Corte - si doveva distinguere tra l'interesse personale di Cossiga a difendersi dagli attacchi di Flamigni e l'esigenza di tutela della Presidenza della Repubblica. Anziché includere automaticamente le dichiarazioni di Cossiga nell'esercizio delle funzioni presidenziali, in quanto dirette a tutelare la Presidenza nei confronti del deputato Flamigni, la Corte d'Appello avrebbe dovuto accertare se l'azione svolta dal Flamigni per il suo libro sul caso Moro e con le dichiarazioni rese davanti alla Commissione Parlamentare concernesse la persona del senatore Cossiga ovvero il Presidente della Repubblica. Accogliendo il ricorso incidentale la Cassazione ha affermato che, ove si escluda che il Cossiga abbia agito come Presidente della Repubblica, dovrà esaminarsi se, come ogni cittadino, egli abbia diritto all'esimente costituita dall'esercizio del diritto di critica, che peraltro non si configura in caso di attacco denigratorio diretto alla persona. In definitiva, accogliendo entrambi i ricorsi, la Suprema Corte ha rinviato la causa ad altra Sezione della Corte d'Appello di Roma stabilendo per il giudice di rinvio i seguenti principi di diritto da applicare nella decisione: a) "Ai sensi dell'art. 90, c.1. Cost., l'immunità del Presidente della Repubblica (che attiene sia alla responsabilità penale che civile o amministrativa), copre solo gli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni (nelle quali rientrano, oltre quelle previste dall'art.89 Cost., anche quelle di cui all'art. 87 Cost., tra le quali la stessa rappresentanza dell'unità nazionale) e non quelli "extrafunzionali"; né la continuità del munus comporta che l'immunità riguardi ogni atto compiuto dalla persona che ha la titolarità dell'Organo, per quanto monocratico; b) tra le funzioni del Presidente della Repubblica, coperte dall'immunità, può annoverarsi anche l'"autodifesa" dell'Organo Costituzionale, ma solo allorché l'ordinamento non assegni detta difesa alle funzioni di altri Organi ovvero nei casi in cui oggettive circostanze concrete impongano l'immediatezza dell'autodifesa; c) l'autorità giudiziaria ha il potere di accertare se l'atto compiuto sia funzionale o extrafunzionale, salva la facoltà per il Presidente della Repubblica di sollevare il conflitto di attribuzione per menomazione; d) pur non essendo il Presidente della Repubblica vincolato ad esprimersi solo con messaggi formali (controfirmati a norma dell'art. 89 Cost.), il suo c.d. "potere di esternazione", che non è equiparabile alla libera manifestazione del pensiero di cui all'art. 21 Cost., non integra di per sé una funzione, per cui è necessario che l'esternazione sia strumentale o accessoria ad una funzione presidenziale, perché possa beneficiare dell'immunità; e) le ingiurie o le diffamazioni commesse nel corso di un'esternazione beneficiano dell'immunità solo se commesse "a causa" della funzione, e cioè come estrinsecazione modale della stessa, non essendo sufficiente la mera contestualità cronologica, che dà luogo solo ad atto arbitrario concomitante; f) il legittimo esercizio della critica politica, riconosciuto ad ogni cittadino, pur potendo sopportare toni aspri e di disapprovazione, non può trasmodare nell'attacco personale e nella pura contumelia, con lesione del diritto di altri all'integrità morale".
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