Legge e giustizia: mercoledì 08 maggio 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

L'INADEMPIMENTO DEL LAVORATORE, PER GIUSTIFICARE IL LICENZIAMENTO, DEV'ESSERE "NOTEVOLE" - In base alla legge n. 604 del 1966 (Cassazione Sezione Lavoro n. 25743 del 10 dicembre 2007, Pres. Mercurio, Rel. Nobile).

Giovanni M., operaio alle dipendenze della spa FIM Prefabbricati, è stato sottoposto a procedimento disciplinare e licenziato con l'addebito di essere stato "trovato in possesso, senza che ve ne fosse alcuna giustificazione, di 12 mascherine antipolvere di proprietà aziendale e fornite in numero di una a ciascun operaio che ne ha necessità a causa del lavoro che svolge".

Egli ha chiesto al Tribunale di Arezzo di annullare il licenziamento sostenendo che egli non aveva inteso appropriarsi delle mascherine, rinvenute nel suo armadietto, ma soltanto averle a disposizione per le esigenze di protezione durante il lavoro. Il Tribunale ha rigettato la domanda in quanto ha ritenuto che il lavoratore, facendo "man bassa" dei mezzi di protezione, aveva fatto venir meno la possibilità di utilizzazione delle mascherine da parte degli altri dipendenti e si era reso responsabile di una condotta provocatoria o irresponsabile, tale da lasciare presumere analoghi comportamenti futuri. Questa decisione è stata riformata dalla Corte d'Appello di Firenze, che ha annullato il licenziamento ordinando la reintegrazione di Giovanni M. nel posto di lavoro e condannando l'azienda al risarcimento del danno.

La Corte, valutato il fatto in base non solo alla nozione legale di giustificato motivo soggettivo ma anche alle ipotesi previste dal CCNL di categoria, dopo aver escluso che vi fosse stata una "vera e propria sottrazione di beni aziendali", ha ritenuto che si era trattato piuttosto di "una scorretta utilizzazione dei mezzi di protezione" cui era "certamente conseguito un disservizio" e ha giudicato l'episodio "di portata modesta, sicuramente meno grave di altri ricondotti alla fattispecie sanzionatoria conservativa da parte del contratto collettivo". L'azienda ha proposto ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata per vizi di motivazione e violazione di legge.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 25743 del 10 dicembre 2007, Pres. Mercurio, Rel. Nobile) ha rigettato il ricorso, osservando che l'inadempimento del lavoratore per poter giustificare il licenziamento deve essere, a termini della legge n. 604 del 1966 (art. 3) "notevole" e pertanto adeguatamente motivato. La sentenza impugnata - ha osservato la Cassazione - non incorrendo in errori di diritto, con motivazione congrua e priva di vizi logici, dopo aver ricostruito specificamente i fatti in base alle risultanze della prova testimoniale, li ha valutati nella loro completezza, sul piano oggettivo e soggettivo, alla luce degli elementi concreti emersi; in particolare la Corte di Appello, richiamata la necessità,  prevista dalla legge di un "notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro", ha premesso che "non ogni inadempimento, dunque, comporta la risoluzione del rapporto, tutto dipendendo dalla gravità del fatto e dalla sua proiettabilità sul rapporto fiduciario"; ciò posto la Corte, rilevando che le mascherine erano custodite all'interno dell'azienda ed erano state riposte nell'armadietto personale, ha escluso che si fosse trattato di una "vera e propria sottrazione di beni aziendali" (che del resto non avrebbe avuto alcun senso "stante la mancanza di valore di tali beni"), affermando che il comportamento di Giovanni M. si era "risolto in una scorretta utilizzazione dei mezzi di protezione cui era certamente conseguito un disservizio a lui imputabile".

La sentenza impugnata - ha rilevato la Cassazione - ha poi esaminato anche il profilo soggettivo, e sulla base degli scarsi elementi concreti emersi, ha ritenuto che, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, non era "possibile ipotizzare le ragioni di tale comportamento ed in particolare adombrare il dubbio" che si fosse "trattato di un atteggiamento intenzionale finalizzato a privare gli altri dipendenti dei mezzi di protezione"; alla luce, quindi, di varie previsioni del contratto collettivo di comportamenti puniti con sanzione conservativa, ritenuti senz'altro più gravi di quanto non fosse stato quello "certamente bizzarro (e per certi aspetti inspiegabile)" posto in essere da Giovanni M., la Corte ha valutato l'episodio di "portata modesta" e certamente non "ablativo della fiducia nel futuro lavorativo del dipendente". Pertanto - ha concluso la Cassazione - la decisione della Corte di Firenze deve ritenersi adeguatamente motivata.


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