Legge e giustizia: venerdì 26 aprile 2024

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ORDINE DI SERVIZIO DEL PRESIDENTE DEL TRIBUNALE DI ROMA PER LE CAUSE DI LAVORO: LE UDIENZE DI PRIMA COMPARIZIONE DEVONO ESSERE FISSATE NON OLTRE SEI MESI DALLA DATA DI DEPOSITO DEL RICORSO - Una grida manzoniana?

Il Presidente del Tribunale di Roma Scotti ha emesso, il 3 marzo, un ordine di servizio con il quale si dispone che "nella trattazione delle controversie di lavoro la data di prima udienza sia contenuta entro tempi relativamente brevi, in rapporto alla natura del procedimento e al carico di contenzioso gravante sul magistrato e comunque non oltre un semestre dalla iscrizione a ruolo".

Il provvedimento è motivato con riferimento alla prassi, adottata da alcuni magistrati, di fissare l'udienza per la prima comparizione a distanza di anni. Questa prassi, si osserva nella motivazione, "pur non essendo rapportabile a negligenza o scarsa laboriosità, è oggettivamente contraria agli interessi delle parti, perché vanifica qualunque possibilità transattiva, riduce notevolmente l'acquisizione di elementi probatori, specie se testimoniali, affievolendone l'attendibilità, espone al rischio di mutamenti delle situazioni soggettive e all'eventuale pregiudizio per l'esecuzione del provvedimento decisorio, crea sperequazioni di trattamento in rapporto a vicende processuali trattate da magistrati della medesima sezione che detta prassi non condividono, espone lo Stato a responsabilità per eventuali ricorsi innanzi alla Commissione e al Tribunale dei diritti dell'uomo."

Il codice di procedura civile stabilisce all'art. 415 che, nelle cause di lavoro, "tra il giorno del deposito del ricorso e l'udienza di discussione non devono decorrere più di 60 giorni".

L'iniziativa presidenziale ha il pregio di riconoscere che nella Capitale le disfunzioni del processo del lavoro sono arrivate al punto da far ritenere auspicabile e doveroso conseguire il risultato di triplicare il termine di 60 giorni che secondo la legge "deve" essere rispettato.

Ma la legge non si limita a stabilire quando deve essere fissata la prima udienza: essa dispone che i successivi rinvii devono essere evitati o contenuti al massimo entro 10 giorni (art. 420 c.p.c.). In proposito il provvedimento presidenziale nulla prevede, pur essendo diffusa a Roma anche la prassi di rinvii annuali.

Questo disinteresse fa ritenere che l'obiettivo perseguito sia sostanzialmente cosmetico, ossia limitato a mimetizzare il complessivo ritardo, eliminandone gli aspetti più eclatanti.

Altra lacuna è dato ravvisare nell'omessa spiegazione del perché i magistrati della Sezione, pur essendo laboriosi, siano indotti a fissare le prime udienze a distanza di anni. La ragione è stata individuata dal Consiglio Superiore della Magistratura nell'inadeguatezza dell'organico e nella mancata copertura degli insufficienti posti disponibili.

Oggi a fronte di un organico, per il primo grado, di 44 magistrati, ne sono presenti in servizio 29. Per questo il CSM, con deliberazione del 9 dicembre 1999, ha raccomandato ai vertici degli uffici giudiziari romani di destinare alla Sezione Lavoro un maggior numero di magistrati.

I Presidenti del Tribunale e della Corte d'Appello devono ora dar prova di volere in concreto dar seguito a questa raccomandazione. Se ciò non avverrà, il provvedimento del 3 marzo andrà collocato nella categoria delle gride manzoniane.

La strada maestra è quella segnata dalla legge, che, per il processo del lavoro, si occupa anche degli organici. Essa stabilisce che ogni anno il presidente della Corte d'Appello deve determinare il numero dei magistrati necessario per il rispetto dei tempi di trattazione delle cause. Ciò a Roma non è stato mai fatto. Si tratta di stabilire uno standard medio di produttività e, in base ad esso, calcolare quanti magistrati siano necessari per trattare, nel rispetto dei termini, le cause pendenti davanti agli uffici romani. Notoriamente, in Roma, il numero delle cause è molto più alto che in altri centri. Attualmente la pendenza è di oltre 2000 cause di lavoro per magistrato, mentre a Milano essa è di circa 250. Poiché i lavoratori romani non sono cittadini di serie B, occorrono provvedimenti più ampi ed efficaci di quello adottato pochi giorni fa dal presidente del Tribunale di Roma.


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