Antonio C. ed altri addetti all'ufficio di corrispondenza di New York della Rai, con mansioni di telecineoperatori e tecnici del suono, assunti tra il 1967 e il 1989, inquadrati come dipendenti della Rai Corporation, società americana controllata al 100% dalla Rai, hanno chiesto al Pretore di Roma, con ricorsi depositati nel 1993, di accertare che essi dovevano ritenersi dipendenti della Rai in base alla legge n. 1369/60, che vietava l'interposizione illecita nei rapporti di lavoro e di condannare l'azienda italiana a pagare i contributi INPS. Essi hanno proposto la loro azione contemporaneamente nei confronti delle due società, nonché dell'INPS, sostenendo, tra l'altro, di essere stati utilizzati direttamente dai giornalisti italiani dipendenti della RAI che conducevano l'ufficio di corrispondenza. Le due aziende si sono costituite in giudizio sostenendo, tra l'altro, il difetto di giurisdizione del giudice italiano. Il Pretore ha affermato la sua giurisdizione ed ha ritenuto applicabile, ai fini dell'identificazione del datore di lavoro, la legge n. 1369/60, ma ha escluso che si sia verificata un'interposizione ed ha pertanto rigettato le domande. Questa decisione è stata confermata, in grado di appello, con diversa motivazione, dal Tribunale di Roma, che ha ritenuto non contrattuale l'obbligazione dedotta in giudizio in quanto nascente ex lege dall'illegittima interposizione ed ha affermato l'applicabilità dell'art. 25 2° comma delle preleggi (nel testo vigente prima della riforma attuata con la legge n. 218/95), secondo cui nel caso di obbligazioni non nascenti da contratto si applica la legge del luogo e quindi, nel caso, quella americana. I lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione, che la Suprema Corte, Sezione Lavoro ha rigettato con la sentenza n. 26976 del 2005, ove ha affermato:
La Corte cioè - pur affermando la natura contrattuale delle obbligazioni derivanti dal rapporto tra i ricorrenti, cittadini italiani, e la Rai Spa, azienda italiana - ha escluso l'applicabilità dell'art. 25, comma I, disp. Prel. Cod. civ., secondo cui "le obbligazioni che nascono da contratto sono regolate dalla legge nazionale dei contraenti, se è comune". A tale esclusione la Corte è pervenuta in quanto ha ritenuto applicabile la Convenzione di Roma del 19.6.1980, resa esecutiva con L. 18.12.1984 n. 975. Contro questa decisione i lavoratori hanno proposto ricorso per revocazione in base all'art. 391 bis cod. proc. civ., secondo cui anche una sentenza della Suprema Corte può essere revocata se è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Essi hanno fatto presente che alla Corte doveva essere sfuggito, il fatto, del tutto pacifico, che i loro rapporti di lavoro erano sorti prima dell'entrata in vigore della Convenzione di Roma, avvenuta il 1 aprile 1991. Il Procuratore Generale ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per revocazione sostenendo che la sentenza n. 26976/2005 doveva ritenersi viziata da errore di diritto e non di fatto. La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 13547 del 26 maggio 2008, Pres. De Luca, Rel. Mammone) ha revocato la sentenza impugnata, affermando che essa è stata l'effetto di un errore di fatto ovvero della mancata percezione delle date di inizio dei rapporti di lavoro, antecedenti l'entrata in vigore della Convenzione di Roma. Disattendendo la tesi del P.G., la Corte ha affermato che, in mancanza di elementi in contrario, deve presumersi che nel momento in cui prende in considerazione la norma di legge, il giudice ne consideri il suo contenuto immediatamente precettivo, verificando non solo il testo della disposizione, ma anche la sua vigenza od il suo campo di applicazione. La Corte peraltro ha riesaminato il ricorso per cassazione rigettato dalla sentenza n. 26976/2005 e lo ha nuovamente rigettato con diversa motivazione.
|