Legge e giustizia: venerd́ 19 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

IL DISAGIO NELLE RELAZIONI SESSUALI, LA ROTTURA DEL VINCOLO FAMILIARE, LA CONSAPEVOLEZZA DELLA PROSSIMITA' DELLA MORTE, LA SOFFERENZA PER MANCANZA DI MEZZI ECONOMICI NELL'ATTESA DI UN RISARCIMENTO, IL FASTIDIO PER RUMORI ECCEDENTI LA NORMALE TOLLERABILITA' NON CONFIGURANO IL "DANNO ESISTENZIALE" MA SONO RISARCIBILI COME DANNI NON PATRIMONIALI - Da accertarsi anche in via presuntiva (Cassazione Sezioni Unite Civili nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 dell'11 novembre 2008, Pres. Carbone, Rel. Preden).

Con quattro sentenze depositate l'11 novembre 2008 la Suprema Corte (Sezioni Unite Civili nn. 26972, 26973, 26974 e 26975, Pres. Carbone, Rel. Preden) ha "codificato" il danno non patrimoniale risarcibile, confermando l'orientamento ampliativo di questa categoria espresso dalla Terza Sezione Civile nelle sentenze n. 8827 e n. 8828 del 2003 ed escludendo nel contempo la configurabilità del danno esistenziale come sottocategoria comprensiva di ogni pregiudizio, anche se "bagatellare", alla qualità della vita.

Queste decisioni hanno risposto ai quesiti sottoposti alle Sezioni Unite dalla Terza Sezione Civile con ordinanza n. 4712 del 25.2.2008. Esse sono riferite a casi di responsabilità rispettivamente per erroneo intervento chirurgico (sentenza n. 26972/08), per incidenti stradali e connessi obblighi dell'assicuratore (n. 26973/08 e n. 26974/08) e per immissioni rumorose nella proprietà del confinante (n. 26975/08).

Nella motivazione delle quattro sentenze v'è una parte uguale per tutte ove si motiva la decisione sulla "questione di particolare importanza" sollevata dalla Terza Sezione Civile con ordinanza n. 4712/08.

Ai fini della comprensione dell'orientamento espresso dalla Suprema Corte è opportuno esaminare le fattispecie cui si riferiscono le decisioni.

La sentenza n. 26972/08, di cui pubblichiamo il testo integrale nella sezione Documenti, concerne una vicenda iniziata nel maggio del 1989 quando Luigi A. è stato sottoposto ad intervento chirurgico per ernia inguinale sinistra. L'intervento ha prodotto la progressiva atrofizzazione del testicolo sinistro, che gli è stato poi asportato nel giugno del 1990 dopo inutili terapie antalgiche. Egli ha chiesto al Tribunale di Vicenza di condannare il chirurgo Franco S. e la U.L.S.S.  locale al risarcimento di tutti i danni subiti: biologico, estetico, alla vita di relazione, alla vita sessuale. In corso di causa l'assicuratore dei convenuti gli ha versato, nel 1995, 23 milioni di lire. Egli ha persistito nell'azione giudiziaria per ottenere il risarcimento dell'ulteriore danno. Il Tribunale, con sentenza pronunciata nel 1998, ha accertato l'esistenza di un danno biologico ed ha condannato i convenuti a versare la somma ulteriore di lire sei milioni a titolo di interessi maturati sulla somma di 23 milioni.

Luigi A. ha proposto appello censurando la sentenza del Tribunale per non avergli riconosciuto il diritto al risarcimento del danno esistenziale; egli ha chiesto, tra l'altro, l'ammissione di una prova testimoniale sul disagio da lui provato nel mostrare i propri genitali con conseguente limitazione dei rapporti sessuali.

La Corte di Venezia ha rigettato l'appello osservando che dalla consulenza tecnica era emerso che la perdita del testicolo non aveva inciso sulla capacità riproduttiva, rimasta integra ed aveva provocato soltanto un limitato danno permanente all'integrità fisica, apprezzato nella misura del 6%. La Corte ha ritenuto inammissibile la domanda di liquidazione del danno esistenziale in quanto formulata per la prima volta in grado di appello; conseguentemente non ha accolto nemmeno la richiesta di prova testimoniale. Luigi A. ha proposto ricorso per cassazione per vizi di motivazione e violazione di legge, sostenendo, tra l'altro, che la Corte di Venezia avrebbe dovuto accogliere la sua richiesta di risarcimento del danno esistenziale previo espletamento della prova testimoniale.

La Suprema Corte con la già ricordata sentenza n. 26972 dell'11 novembre 2008 ha accolto il ricorso osservando che la domanda risarcitoria, relativa alla limitazione dell'attività sessuale, non avrebbe dovuto essere ritenuta nuova dalla Corte di Venezia in quanto era stata sostanzialmente formulata nel giudizio di primo grado e pertanto la qualificazione in grado di appello del pregiudizio subito come danno esistenziale, anche se erronea, aveva una portata meramente nominalistica, tale da non precludere l'esame della richiesta; il pregiudizio della vita di relazione, anche nell'aspetto concernente i rapporti sessuali, allorché dipenda da una lesione dell'integrità psicofisica della persona - ha affermato la Corte - non può essere fatto valere come distinto titolo di danno, definito "esistenziale", in quanto costituisce uno dei possibili riflessi negativi della lesione dell'integrità fisica di cui il giudice deve tener conto nella liquidazione del danno biologico.

Al danno biologico - ha precisato la Cassazione - va infatti riconosciuta portata tendenzialmente omnicomprensiva, confermata dalla definizione normativa adottata dal d.lgs. n. 209/2005, recante il Codice delle assicurazioni private ("per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente dell'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di valutazione medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito"), suscettibile di essere adottata in via generale, anche in campi diversi da quelli propri delle sedes materie  in cui è stata dettata, avendo il legislatore recepito sul punto i risultati, ormai generalmente acquisiti e condivisi, di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. In esso sono quindi ricompresi i pregiudizi attinenti agli "aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato"; ed al danno esistenziale non può essere riconosciuta dignità di autonoma sottocategoria del danno non patrimoniale.

Nel caso in esame - ha osservato la Cassazione - la Corte territoriale ha impropriamente fatto leva sul nomen iuris assegnato dall'appellante al risarcimento del pregiudizio alla vita di relazione, peraltro già puntualmente prospettato in primo grado ove era stato anche correttamente inquadrato nell'ambito del danno biologico. Le Sezioni Unite hanno rinviato la causa per nuovo esame alla Corte d'Appello di Venezia in diversa composizione, precisando che essa non dovrà necessariamente procedere all'ammissione della prova testimoniale, non essendole precluso di ritenere vero - anche in base a semplice inferenza presuntiva - che la lesione in questione abbia prodotto le conseguenze che si mira a provare per via testimoniale e di procedere, dunque, all'eventuale personalizzazione del risarcimento (nella specie, del danno biologico); la quale non è mai preclusa dalla liquidazione sulla base del valore tabellare differenziato di punto.

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Con la sentenza n. 26973/08 la Suprema Corte ha, tra l'altro, affermato:

a) che il danno non patrimoniale per la rottura del vincolo familiare in seguito alla perdita di un congiunto non costituisce una categoria a sé stante ma va liquidato come componente del danno morale, la cui nozione tradizionale (patema d'animo transeunte) va estesa, in presenza di circostanze significative di una duratura sofferenza (età della vittima, grado di parentela, particolari condizioni della famiglia, convivenza, intensità del legame affettivo);

b) che la sofferenza psichica provata da una persona gravemente ferita nelle ore precedenti la morte, per la consapevolezza dell'imminenza del decesso, va risarcita come danno morale nella sua nuova più ampia eccezione; il risarcimento spetta, per diritto ereditario, ai successori.

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La sentenza n. 26974/08 afferma, tra l'altro, che va risarcito come componente del danno non patrimoniale da perdita di congiunto lo sconvolgimento dell'esistenza subito dai familiari, privi di mezzi, per il ritardo nel pagamento del risarcimento; anche se tale componente non costituisce categoria autonoma di danno, definibile come "danno esistenziale", di essa il giudice deve tener conto nella determinazione del riconoscimento del danno non patrimoniale.

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La sentenza n. 26975/08 afferma che il disagio causato, anche per la perdita di riposo, da rumori eccedenti la normale tollerabilità non può essere definito "danno esistenziale" come tale autonomamente risarcibile, ma può configurare danno biologico risarcibile, da accertarsi mediante prova testimoniale e consulenza tecnica.


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