Legge e giustizia: marted́ 23 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

DEVE ESSERE ANNULLATO IL LICENZIAMENTO INTIMATO PER MANCATA ESECUZIONE, DA PARTE DEL LAVORATORE, DI UN TRASFERIMENTO ILLEGITTIMO - In base all'art. 1460 cod. civ. (Cassazione Sezione Lavoro n. 26920 del 10 novembre 2008, Pres. Senese, Rel. Stile).

Nel gennaio del 1998 la s.p.a. Rusconi Pubblicità ha comunicato al dipendente Alfio G. il trasferimento dagli uffici di Roma alla filiale milanese, con motivazione riferita alla necessità di coprire in Milano un posto in precedenza affidato al dipendente C. Alfio G. ha chiesto al Tribunale di Roma di sospendere, in via d'urgenza, con ordinanza ex art. 700 c.p.c., l'efficacia del provvedimento, sostenendo che esso doveva ritenersi illegittimo, in base all'art. 2103 cod. civ., perché non giustificato da effettive esigenze organizzative. Il Tribunale non ha accolto la richiesta. Alfio G. non ha proposto reclamo contro questa decisione, ma non si è trasferito a Milano, invocando l'art. 1460 cod. civ. secondo cui è consentito rifiutare l'adempimento a chi sia a sua volta inadempiente. L'azienda lo ha licenziato, nel settembre del 1998, per non avere dato esecuzione alla disposizione impartitagli. Il lavoratore ha chiesto al Tribunale di Roma di accertare l'illegittimità del trasferimento e conseguentemente di annullare il licenziamento, sostenendo che egli aveva correttamente esercitato il diritto di rifiutare l'esecuzione di un provvedimento illegittimo. Egli ha chiesto anche la condanna dell'azienda al risarcimento del danno (in misura pari alla retribuzione relativa al periodo successivo al licenziamento) e al pagamento dell'indennità di quindici mensilità sostitutiva della reintegrazione, in base all'art. 18 St. Lav. Il Tribunale di Roma, con sentenza del gennaio 2001, ha rigettato la domanda. Questa decisione è stata riformata, in grado di appello, dalla Corte di Roma, che con sentenza del novembre 2004, ha dichiarato illegittimo il trasferimento, ha annullato il licenziamento ed ha condannato l'azienda a pagare al lavoratore l'indennità di 15 mensilità prevista dall'art. 18 St. Lav. in luogo della reintegrazione, ma ha escluso il diritto dell'appellante al risarcimento del danno. La Corte ha negato l'esistenza di effettive ragioni organizzative per il trasferimento osservando, tra l'altro, che il posto asseritamente da coprire nella filiale di Milano risultava essere stato in precedenza soppresso. L'azienda ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte di Roma per vizi di motivazione e violazione di legge; essa ha, fra l'altro, sostenuto che la sentenza impugnata non aveva correttamente accertato le ragioni del trasferimento e che comunque, dopo il rigetto della richiesta, in via d'urgenza, di sospensione dell'efficacia del provvedimento, il lavoratore avrebbe dovuto dare esecuzione alla disposizione ricevuta. Alfio G. ha proposto ricorso incidentale censurando la decisione della Corte di Roma per non avere condannato l'azienda anche al risarcimento del danno causato dal licenziamento illegittimo.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 26920 del 10 novembre 2008, Pres. Senese, Rel. Stile) ha rigettato il ricorso dell'azienda e accolto quello del lavoratore. La Corte di Roma - ha osservato la Cassazione - ha adeguatamente motivato l'accertamento della mancanza di effettive ragioni giustificatrici del trasferimento e conseguentemente ha correttamente applicato l'art. 1460 cod. civ. affermando la legittimità del rifiuto apposto dal lavoratore all'esecuzione di tale provvedimento. Deve ritenersi irrilevante - ha affermato la Suprema Corte - il rigetto della richiesta di sospensione, in via d'urgenza, dell'efficacia del trasferimento, dal momento che in materia conta la decisione definitiva.

Il provvedimento del datore di lavoro di trasferimento di sede di un lavoratore che non sia adeguatamente giustificato, a norma dell'art. 2103 cod. civ. - ha affermato la Corte - è affetto da nullità ed integra un inadempimento parziale del contratto di lavoro, con la conseguenza che la mancata ottemperanza allo stesso provvedimento da parte del lavoratore trova giustificazione sia quale attuazione di una eccezione di inadempimento (art. 1460 cod. civ.), sia sulla base del rilievo che gli atti nulli non producono effetti; non si può invece ritenere che sussista una presunzione di legittimità dei provvedimenti aziendali, che imponga l'ottemperanza agli stessi fino a un contrario accertamento in giudizio.

Per quanto concerne il ricorso incidentale proposto dal lavoratore, la Suprema Corte ha ricordato che il diritto del lavoratore di optare per l'indennità integrativa deriva dalla stessa illegittimità del licenziamento e contemporaneamente dal diritto alla reintegrazione (Cass. 16 ottobre 1998 n.10283, 8 aprile 2000 n. 4472 e 12 giugno 2000 n. 8015) e che, quindi, il lavoratore può limitarsi inizialmente a chiedere in giudizio tale indennità in sostituzione della domanda di reintegrazione (sentenze n.10283/1998 e 8015/2000), così come può esercitare la stessa scelta nel corso del giudizio, fermo restando il diritto al risarcimento del danno ex art. 18, quarto comma St. Lav. (sentenza n. 4472/2000). La possibilità di esercizio dell'opzione  nel corso del giudizio - ha rilevato la Corte - non è in effetti contestata dall'attuale ricorrente, la quale però sostiene che questo esercizio implica la rinuncia alla reintegrazione fin dall'inizio, con conseguente perdita del diritto al risarcimento del danno per le retribuzioni perse; questa tesi non può essere condivisa, perché proprio la disposizione di legge chiarisce che l'esercizio dell'opzione non fa venire meno il diritto al risarcimento dei danni verificatisi fino al momento in cui l'interessato, optando per l'indennità sostitutiva, ha rinunciato alla reintegrazione.


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