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Legge e giustizia: venerd́ 29 marzo 2024
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RIENTRANO NELLA GIURISDIZIONE DEL GIUDICE ORDINARIO LE CONTROVERSIE DI LAVORO PROMOSSE NEI CONFRONTI DI GRUPPI PARLAMENTARI - Non sussiste l'autodichia (Cassazione Sezioni Unite Civili n. 27863 del 24 novembre 2008, Pres. Carbone, Rel. Balletti).
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Giuseppina T. ha lavorato per circa 12 anni, dal gennaio 1982 all'aprile 1994, svolgendo mansioni impiegatizie, presso la Camera dei Deputati, come addetta dapprima al gruppo parlamentare radicale e successivamente al gruppo parlamentare federalista europeo. Ella ha chiesto al Tribunale di Roma di accertare che aveva lavorato in condizioni di subordinazione, senza regolare inquadramento, e di condannare i rappresentanti dei due gruppi al pagamento delle differenze di retribuzione con riferimento al trattamento previsto, per l'impiegato di concetto, dal contratto collettivo per i dipendenti delle aziende commerciali. Il Tribunale ha rigettato la domanda. Questa decisione è stata confermata, con sentenza del luglio 2004, dalla Corte d'Appello di Roma. La lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte di Roma per vizi di motivazione e violazione di legge. I gruppi parlamentari hanno resistito sollevando l'eccezione di fatto di giurisdizione del giudice ordinario. Essi hanno sostenuto che, essendo organi costituzionali, nei loro confronti doveva applicarsi il principio della c.d. "autodichia" in base al quale la giurisdizione sulle controversie promosse dai dipendenti spettava agli organi stessi. Il ricorso è stato assegnato alla Sezione Lavoro, che lo ha rimesso alle Sezioni Unite, rilevando che si poneva una questione di giurisdizione.
La Sezioni Unite Civili con sentenza n. 27863 del 24 novembre 2008 (Pres. Carbone, Rel. Balletti) hanno affermato la giurisdizione del giudice ordinario. La tutela giurisdizionale - ha affermato la Corte - costituisce principio fondamentale dell'ordinamento, atteso che la Costituzione (art. 24, anche in relazione agli artt. 3 e 113) assicura a "tutti" la tutela giurisdizionale dei propri diritti ed interessi legittimi, per cui le limitazioni a siffatta regola generale debbono essere espressamente previste e (per resistere al vaglio di costituzionalità) sorrette da adeguata giustificazione, non potendo certo fondatamente sostenersi che, nell'ambito di una Costituzione scritta, un principio implicito o una norma inespressa si ponga di per sé in contrasto con un principio fondamentale esplicito. Eccezioni al principio dell'indefettibilità della tutela giurisdizionale dinanzi ai giudici comuni - ha affermato la Corte - sono previste dalla legge in casi specifici, tra i quali rientrano le controversie sul rapporto di impiego dei dipendenti della Camera dei Deputati e del Senato; analoga situazione non è, peraltro, ravvisabile per le controversie concernenti il rapporto di impiego del personale dipendente da organi per i quali non esiste una norma regolamentare avente un fondamento costituzionale indiretto.
Nel nostro ordinamento - ha osservato la Corte - i gruppi parlamentari, espressamente previsti dalla Costituzione (art. 72, terzo comma), sono disciplinati per la Camera dei Deputati, dagli artt. 14, 15 e 15-bis del relativo regolamento che, per quanto concerne la giurisdizione sui rapporti di lavoro dei dipendenti dei gruppi parlamentari, non contiene una normativa analoga a quella di cui all'art. 12, terzo comma lettera d) e f), reg. su cui si fonda, espressamente l'autodichia per le controversie dei "dipendenti della Camera". Di conseguenza - ha affermato la Corte - non può estendersi alle controversie dei dipendenti dei gruppi parlamentari la "giurisdizione domestica" prevista per i dipendenti della Camera in quanto, riguardo ai gruppi parlamentari ed alle relative controversie, non esiste nell'ordinamento una norma avente fondamento costituzionale sia pure indiretto che autorizzi la deroga al principio della indefettibilità della tutela giurisdizionale davanti ai giudici comuni. In ogni caso - ha aggiunto la Corte - vale precisare che, nel quadro costituzionale vigente, debbono essere distinti due piani di attività dei gruppi parlamentari: uno squisitamente parlamentare, in relazione al quale i gruppi costituiscono gli strumenti necessari per lo svolgimento delle funzioni proprie del parlamento, come previsto e disciplinato dalle norme della Costituzione, dalle consuetudini costituzionali, dai regolamenti interni dei gruppi medesimi; l'altro, più strettamente politico, che concerne il rapporto del singolo gruppo con il partito politico di riferimento, ed in ordine al quale i gruppi parlamentari sono da assimilare ai partiti politici, cui va riconosciuta la qualità soggetti privati, con conseguente esclusione del divieto di interferenza da altri poteri, e in particolare dall'autorità giudiziaria; per cui non è configurabile un'estensione dell'ambito dell'autodichia parlamentare a tutte quelle attività del gruppo parlamentare che, fuoriuscendo dal campo applicativo del diritto parlamentare, non siano immediatamente collegabili con specifiche forme di esercizio di funzioni parlamentari.
Le Sezioni Unite hanno restituito la causa alla Sezione Lavoro per la decisione sugli altri motivi di ricorso.
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