Legge e giustizia: venerd́ 26 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

IL GENERICO RIFERIMENTO AL RISCHIO DI OBSOLESCENZA DELLE MANSIONI, CON CONSEGUENTE NECESSITA' DI RIQUALIFICAZIONE, NON E' SUFFICIENTE A GIUSTIFICARE IL COLLOCAMENTO IN CIGS - In mancanza di specifici criteri di scelta (Cassazione Sezione Lavoro n. 15694 del 3 luglio 2009, Pres. Sciarelli, Rel. Zappia).

Nel gennaio del 1991 fra le organizzazioni sindacali Fim, Fiom, Uilm e la s.p.a. Alenia Marconi System è stato concluso un accordo che, al fine di favorire il processo di ricambio professionale, prevedeva la possibilità di attivare processi mirati di formazione in cigs con finalità di riqualificazione e reinserimento per 192 dipendenti, asseritamente più esposti a rischi di obsolescenza derivanti da processi di cambiamento in corso. Una dei dipendenti collocati in cigs, Maria M. ha chiesto al Tribunale di Napoli di dichiarare l'illegittimità della sua sospensione dal lavoro e di condannare l'azienda al risarcimento del danno. Ella ha fatto presente che non aveva alcuna necessità di riqualificazione, essendo in possesso di professionalità adeguata ai piani aziendali ed ha rilevato che la formula adottata per l'individuazione dei lavoratori da sospendere, facente riferimento ai dipendenti "più esposti ai rischi di obsolescenza", risultava troppo generica per consentire un controllo delle scelte operate in merito dalla società. La lavoratrice ha rilevato altresì che in realtà non sussisteva alcun nesso causale fra le sospensione in cigs e la volontà di riqualificazione del personale, atteso che l'azienda aveva utilizzato, al solo scopo di risolvere i problemi dell'occupazione, corsi di formazione assolutamente pretestuosi, che non comportavano alcun arricchimento del bagaglio professionale acquisito, di talché i criteri adottati nella scelta dei lavoratori da sospendere non solo non erano conformi all'accordo ma neanche improntati a criteri di buona fede e correttezza.

Il Tribunale ha rigettato la domanda. La Corte di Napoli, accogliendo l'appello della lavoratrice, ha invece dichiarato l'illegittimità del provvedimento di collocazione in cigs ed ha condannato l'azienda al pagamento delle differenze retributive richieste dalla dipendente. La società ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte di Napoli per vizi di motivazione e violazione di legge. Essa ha rilevato, tra l'altro, che nel caso in esame le organizzazioni sindacali avevano dato atto dell'avvenuto svolgimento della procedura di consultazione.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 15694 del 3 luglio 2009, Pres. Sciarelli, Rel. Zappia) ha rigettato il ricorso. In tema di scelta dei lavoratori da porre in cigs - ha affermato la Corte - incombe al datore di lavoro l'onere di specificare i meccanismi, diversi da quello della rotazione, che egli intende seguire, di indicare altresì le motivazioni di tale scelta, e di comunicare alle organizzazioni sindacali gli specifici criteri cui intende adeguarsi; mentre incombe al lavoratore, che eccepisca la violazione da parte del datore di lavoro dei principi di correttezza e di buona fede nell'applicazione dei suddetti criteri, l'onere di fornire la prova di siffatta violazione; pertanto nel caso di specie la società ricorrente, a fronte della affermata genericità dei suddetti criteri di scelta, aveva lo specifico onere di affermarne e dimostrarne la specificità; in realtà non ha fatto né l'una né l'altra cosa. La specificità dei criteri di scelta - ha osservato la Corte - esprime la necessità che essi siano effettivamente in grado di operare da soli la selezione dei soggetti da porre in cassa integrazione e, nel contempo, siano idonei a consentire la verifica della corrispondenza della scelta a tali criteri. Pertanto - ha affermato la Cassazione - correttamente nel caso di specie la Corte territoriale, posto che il criterio indicato dal datore di lavoro per l'individuazione dei lavoratori da sospendere era quello del rischio di obsolescenza, ha rilevato che i criteri oggetto di comunicazione alle organizzazioni sindacali, ai fini dell'esame congiunto, non rivestivano il carattere della specificità e non consentivano la necessaria imparziale scelta fra i vari interessati e la verifica della corrispondenza di tale scelta ai parametri posti; siccome d'altronde nel caso di specie rilevato dalla stessa r.s.u. che aveva chiesto di conoscere per iscritto i criteri utilizzati per definire la professionalità ritenute obsolete.

La normativa in tema di comunicazioni posta al settimo comma dell'art. 1 legge 223/91 - ha osservato la Corte - è finalizzata ad assolvere ad una duplice funzione, essendo diretta, per un verso, a porre le organizzazioni sindacali in grado di concordare la scelta dei lavoratori da sospendere e, per un altro verso, ad assicurare "la tutela degli interessi dei lavoratori in relazione alla crisi dell'impresa" (secondo quanto già prevedeva l'art. 5, quinto comma, della legge n. 164 del 1975); pertanto, avuto riguardo alla duplice funzione, esiste un doppio piano di tutela, quello delle prerogative sindacali (che vengono ad essere violate da una inesistente o non esauriente informativa in sede di apertura della procedura di cigs), e quello delle garanzie individuali (che vengono ad essere violate dalla esistenza di vizi procedimentali che si risolvono nella non corretta individuazione dei lavoratori da porre in cassa integrazione). Deve di conseguenza ritenersi - ha affermato la Corte - che una violazione delle regole del procedimento, a prescindere dalla ottemperanza all'obbligo di comunicazione nei confronti della organizzazione sindacale, incida direttamente sulla legittimità del provvedimento amministrativo di autorizzazione dell'intervento straordinario di integrazione salariale che non può essere assentito in una situazione in cui il criterio indicato per l'individuazione dei lavoratori da sospendere sia privo del necessario carattere della specificità e non fornisca alcuna garanzia in ordine alla individuazione dei lavoratori da porre in cassa integrazione e di verificare la corrispondenza della scelta dei criteri suddetti. Pertanto - ha concluso la Cassazione - correttamente la Corte territoriale ha rilevato che l'inosservanza della garanzia procedimentale, implicando la mancata attuazione del principio di trasparenza, incideva altresì sul provvedimento di collocazione in cassa integrazione del singolo lavoratore, determinandone l'illegittimità poiché impediva il perseguimento dello scopo previsto dalla legge e precludeva la verifica del corretto esercizio del potere del datore di lavoro.


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