Legge e giustizia: venerd́ 19 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

ANCHE IL LICENZIAMENTO RITORSIVO DEVE RITENERSI DISCRIMINATORIO - Conseguentemente va dichiarato nullo (Cassazione Sezione Lavoro n. 16155 del 9 luglio 2009, Pres. Ianniruberto, Rel. Napoletano).

Il divieto di licenziamento discriminatorio - sancito dall'art. 4 della legge n. 604 del 1966, dall'art. 15 della legge n. 300 del 1970 e dall'art. 3 della legge n. 108 del 1990 - è suscettibile di interpretazione estensiva, sicché l'area dei singoli motivi vietati comprende anche il licenziamento per ritorsione, ossia intimato a seguito di comportamenti risultati sgraditi al datore di lavoro. Tale interpretazione estensiva si fonda, per un verso, sul rilievo che le indicazioni delle varie ipotesi di licenziamento discriminatorio, contenute nelle citate disposizioni, costituiscono specificazione della più ampia fattispecie del licenziamento viziato da motivo illecito, riconducibile alla generale previsione codicistica dell'atto unilaterale nullo ai sensi dell'art. 1345 (in relazione all'art. 1324) cod. civ., dall'altro, sulla considerazione che in tale generale ed ampia previsione è certamente da comprendere il licenziamento intimato per ritorsione e rappresaglia, pur esso in qualche modo implicante una illecita discriminazione, intesa in senso lato, del lavoratore licenziato rispetto agli altri dipendenti.

Conseguentemente l'area di tutela del licenziamento discriminatorio, nella sua accezione più ampia - rectius estensiva - attiene a quei motivi che integrano il perseguimento di finalità contrarie all'ordine pubblico, al buon costume o attinenti ad altri scopi espressamente proibiti dalla legge e non quando rivelino altri fini che in sé non siano configgenti con tali divieti.


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