Legge e giustizia: venerd́ 26 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

L'ENTE PREVIDENZIALE NON PUO' RIDURRE L'IMPORTO DELLA PENSIONE CONCESSA - Perché ciò lederebbe l'affidamento del pensionato (Cassazione Sezione Lavoro n. 25030 del 27 novembre 2009, Pres. Roselli, Rel. Zappia).

Giuseppe P., titolare dal giugno 2000 di una pensione di vecchiaia a carico della Cassa Nazionale di Previdenza dei dottori commercialisti, ha subito una decurtazione dell'assegno mensile a far tempo dal gennaio 2004 quando la Cassa ha cominciato ad applicargli una trattenuta a titolo di "contributo di solidarietà" in base all'art. 22 del suo regolamento. Egli ha chiesto al Tribunale di Monza di dichiarare l'illegittimità di tale trattenuta, in quanto lesiva del suo diritto a percepire l'intera pensione a suo tempo accordatagli. La Cassa si è difesa invocando l'art. 3, comma 12, della legge n. 335/95, che ha attribuito alla Cassa professionale il potere di adottare qualsiasi "criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata". Il Tribunale, con sentenza del maggio 2006, ha accolto la domanda in quanto ha escluso che la ritenuta potesse essere giustificata dalla legge n. 335/95. Questa decisione è stata riformata dalla Corte d'Appello di Milano che, con sentenza del febbraio 2007, ha rigettato la domanda proposta dal pensionato. Questi ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte di Milano per violazione di legge.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 25030 del 27 novembre 2009, Pres. Roselli, Rel. Zappia) ha accolto il ricorso. L'istituzione di una ritenuta - ha osservato la Corte - non è consentita dall'art. 3 della legge n. 335/95 in quanto non rientra nei "provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento e di ogni alto criterio di determinazione del trattamento pensionistico", né può ritenersi che l'esigenza generale di contenimento della spesa previdenziale ovvero di salvaguardia dell'equilibrio di bilancio sia sufficiente a legittimare atti unilaterali di riduzione delle previsioni già maturate, dovendosi escludere che l'equilibrio delle pensioni previdenziali, finalizzato allo scopo istituzionale di corrispondere le prestazioni, possa essere perseguito in tutto o in parte riducendo proprio le prestazioni che le gestioni dovevano invece garantire. Deve pertanto affermarsi - ha concluso la Corte - che, una volta maturato il diritto alla pensione d'anzianità, l'ente previdenziale debitore non può con atto unilaterale, regolamentare o negoziale, ridurne l'importo, tanto meno adducendo generiche ragioni finanziarie, poiché ciò lederebbe l'affidamento del pensionato, tutelato dal capoverso dell'art. 3 Cost., nella consistenza economica del proprio diritto soggettivo.


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