Legge e giustizia: giovedì 25 aprile 2024

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DICHIARAZIONI LESIVE DELL'ALTRUI REPUTAZIONE, ANCHE SE FATTE AD UNA SOLA PERSONA, POSSONO PRODURRE UN DANNO NON PATRIMONIALE RISARCIBILE - Non è necessario che si configuri il reato di diffamazione (Cassazione Sezione Terza Civile n. 5677 del 16 marzo 2005, Pres. Nicastro, Rel. Trifone).

Il dott. Angelo S., sostituto procuratore della Repubblica, ha chiesto al Tribunale civile di Napoli di condannare il generale dei Carabinieri Carlo A. al risarcimento del danno per apprezzamenti lesivi della sua reputazione espressi dall'ufficiale durante un colloquio con il procuratore capo  della Repubblica dell'ufficio cui egli era addetto,  in merito ad una indagine in corso.
            Il Tribunale ha rigettato la domanda rilevando che le dichiarazioni lesive erano state fatte nel corso di un colloquio riservato, cui non avevano assistito altre persone, onde non era configurabile il reato di diffamazione, che si verifica allorché le dichiarazioni offensive vengano comunicate a più persone. Questa decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Napoli, che pur riconoscendo la portata offensiva delle dichiarazioni rese dal generale (che aveva attribuito al magistrato Angelo S. comportamenti viziati da dipendenza e parzialità) ha escluso la possibilità di una condanna al risarcimento del danno non patrimoniale, in mancanza di un reato. Angelo S. ha proposto ricorso per cassazione censurando la sentenza della Corte di Appello per vizi di motivazione e violazione di legge. 
            La Suprema Corte (Sezione Terza Civile n. 5677 del 16 marzo 2005, Pres. Nicastro, Rel. Trifone) ha accolto il ricorso, richiamando l'orientamento espresso nelle sue sentenze n. 8827 e 8828 del 2003 secondo cui il danno non patrimoniale, conseguente alla ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona costituzionalmente garantito, non è soggetto, ai fini della risarcibilità, al limite derivante dalla  riserva di legge correlata all'art. 185 cod. pen. e non presuppone pertanto la qualificabilità del fatto illecito come reato.
            Anche la Corte costituzionale - ha osservato la Cassazione - con la sentenza n. 233 del 2003, ha segnalato l'indubbio pregio del suddetto indirizzo, che riconduce a razionalità e coerenza il tormentato capitolo della tutela risarcitoria del danno alla persona e che, nel superamento della tradizionale affermazione per cui il danno non patrimoniale riguardato dall'art. 2059 cod. civ. si identificherebbe con il cosiddetto danno  morale soggettivo, prospetta del medesimo art. 2059 l'interpretazione costituzionale orientata, tesa a ricomprendere nell'ambito di operatività della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante dalla lesione di valori inerenti alla persona e, dunque, anche il danno morale soggettivo.
            L'attribuzione ad un magistrato di determinati comportamenti di dipendenza e di parzialità, implicando la radicale negazione dello stesso ruolo istituzionale del giudice - ha affermato la Corte - esprime di per sé una valenza lesiva della sua dimensione morale e professionale, anche quando il discredito, trattandosi di magistrato del pubblico ministero, sia stato manifestato soltanto al capo dell'ufficio requirente.
            La Corte ha cassato la decisione impugnata e ha rinviato la causa, per nuovo esame, alla Corte d'Appello di Roma, cui ha prescritto di applicare - ai fini dell'accertamento dell'esistenza di un danno non patrimoniale - i principi affermati nelle sue sentenze n. 827 e 828 del 2003.


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