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QUESTIONI DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE DELL'ART. 2495 COD. CIV. - Nell'interpretazione datane dalle Sezioni Unite.

Roma, 2 marzo 2010 - La sentenza delle Sezioni Unite n. 4061/2010, che ha interpretato l'art. 2495 cod. civ. nel senso che la cancellazione della società dal registro delle imprese comporta la sua effettiva estinzione anche se permangono in capo ad essa debiti o crediti potrà dar luogo a questioni di legittimità costituzionale.

Infatti l'art. 2495, 2° comma c.c.,  nell'interpretazione datane dalle Sezioni Unite appare in contrasto  con gli artt. 2, 3, 24, 101, 104 e 117 Cost. Rep., nonché con l'art. 6 CEDU. Con riferimento agli artt. 2 e 3 Cost. deve rilevarsi che l'estinzione definitiva della società per effetto della cancellazione dal registro delle imprese attribuisce a tale formalità amministrativa la natura di causa di estinzione delle obbligazioni facenti capo alla società cancellata. Ciò comporta l'introduzione nel nostro ordinamento di un'arbitraria ed irrazionale  disparità di trattamento fra il titolare di un credito verso un imprenditore persona fisica e il titolare di un credito verso un imprenditore costituito in forma societaria. Per il primo il credito non si estingue né per la cancellazione del debitore dal registro delle imprese né per l'estinzione del debitore stesso. Per il secondo il credito si estingue per la cancellazione del debitore dal registro delle imprese. Non sembra aver pregio l'argomento secondo cui il titolare di un credito verso la società estinta sarebbe tutelato per effetto della possibilità di agire contro i soci, fino a concorrenza delle somme da loro riscosse ovvero contro il liquidatore in caso di sua colpa. Infatti questa tutela sussiste solo per chi  sia titolare di un credito accertato prima della cancellazione. Se tale accertamento non vi sia stato esso, tenuto conto della durata del processo civile nel nostro paese, sarà impedito dalla cancellazione.

In secondo luogo il creditore dell'imprenditore persona fisica può esercitare un'azione revocatoria o surrogatoria o azione esecutiva presso terzi. Questa possibilità è invece preclusa al titolare di un credito verso i soci o il liquidatore. Inoltre per il creditore della società cancellata vi sono limiti costituiti dall'importo riscosso dai soci ovvero dalla necessità di accertare una responsabilità del liquidatore. Vi è poi da osservare che il credito verso i soci o il liquidatore non è lo stesso che esisteva verso il soggetto estinto. Si tratta di un'azione meramente sussidiaria. Altra disparità di trattamento si verifica tra i debitori di un imprenditore societario e quelli di un imprenditore persona fisica. I primi vengono liberati dalla cancellazione della società, i secondi restano obbligati e possono subire azioni revocatorie o surrogatorie.

Una ulteriore diseguaglianza si determina fra i debitori della società estinta che vengono a beneficiare di una sorta di remissione e i creditori della medesima che si vedono preclusa la possibilità di realizzare il loro diritto "utendo juribus"  ex art. 2900 cod. civ. ovvero mediante l'azione esecutiva presso terzi.

Per il creditore della società estinta viene altresì meno la possibilità dell'azione revocatoria, ex art. 2809 cod. civ. essendo nel relativo giudizio litisconsorte necessario il debitore alienante. Ne consegue anche in tale ipotesi un ingiustificato vantaggio per il soggetto beneficiario del negozio revocabile.

Nell'interpretazione datane dalle Sezioni Unite, l'art. 2495, 2° comma c.c. comporta anche una grave disparità di trattamento tra i soggetti titolari di crediti iscritti nel bilancio di liquidazione  e quelli che siano titolari di crediti non accertati. I primi infatti potrebbero, dopo l'estinzione, chiedere, nel termine annuale previsto dalla legge, la dichiarazione di fallimento della società. I secondi invece si vedrebbero precluso anche tale rimedio, tenuto conto del tempo occorrente per l'accertamento definitivo di un credito in sede giudiziaria.

Parrebbe superfluo rilevare che l'estinzione definitiva, mediante cancellazione, della società legata ad altre da un rapporto di gruppo, offrirebbe un comodo strumento per l'elusione di obblighi verso terzi. La capogruppo esercente il controllo sulla società posta in liquidazione potrebbe, con un'affrettata liquidazione, estinguere i crediti della controllata verso altra società del gruppo.

Sotto altro profilo deve rilevarsi che nel nostro ordinamento vige il principio secondo cui l'estinzione dell'obbligazione, quando non avviene per adempimento, richiede sempre il concorso della volontà del creditore. L'introduzione della possibilità per il debitore di sottrarsi unilateralmente all'adempimento mediante il compimento di una formalità amministrativa è priva di qualsiasi razionale giustificazione ed altera l'equilibrio dei rapporti contrattuali in danno di una delle parti. Si istituisce cioè una nuova causa di estinzione delle obbligazioni non omogenea con le altre. La possibilità di far valere i crediti nei confronti dei soci e dei liquidatori introduce, in luogo del precedente rapporto obbligatorio, un nuovo rapporto.

La nuova norma risulta pertanto viziata anche da manifesta irragionevolezza e da contrasto con la finalità di tutela dell'affidamento che è principio connaturato allo Stato di diritto, anche a termini dell'art. 2 Cost. Rep. (Corte Cost. 156/07: "Esistono fondamentali valori di civiltà giuridica posti a tutela dei destinatari delle norme e dello stesso ordinamento, tra  i quali vanno compresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza e di eguaglianza, la tutela dell'affidamento legittimamente posto nei soggetti quale principio connaturato dello Stato di diritto e il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario"; v. anche Corte Cost. 264/05 che fa riferimento all'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica e Corte Cost. 421/91 che fa riferimento al "principio di razionalità che implica l'esigenza di conformità dell'ordinamento a valori di giustizia e di equità").

Deve ricordarsi anche la sentenza della Suprema Corte n. 22925/2008  secondo cui il regime delle obbligazioni è improntato anche a un dovere di solidarietà che trova esplicazione nel principio di correttezza e buona fede.

Con riferimento agli artt. 24, 101, 104 e 117 Cost. Rep. deve rilevarsi che l'art. 2495 c.c. ove interpretato nel senso voluto dalle Sezioni Unite, introdurrebbe un ingiustificato ostacolo all'esercizio del diritto di difesa e delle funzioni giurisdizionali. Un atto di natura amministrativa farebbe venir meno i diritti verso il soggetto estinto, assumendo la portata di un accertamento negativo, riservato alla funzione giurisdizionale. Tale atto inoltre impedirebbe la tutela dei diritti verso la società estinta, imponendo al giudice una pronuncia di inammissibilità, in contrasto con gli art. 101 e 104 Cost..

In base all'art. 117 Cost. Rep. la potestà legislativa deve essere esercitata nel rispetto degli obblighi internazionali inclusi quelli derivanti dall'art. 6 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo: "Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata imparzialmente, pubblicamente e in un tempo ragionevole, da parte di un Tribunale indipendente ed imparziale, costituito dalle legge, che deciderà sia in ordine alle controversie sui suoi diritti ed obbligazioni di natura civile sia sul fondamento di ogni accusa in materia penale elevata contro di lui".

In ordine all'applicabilità dell'art. 6 CEDU deve ricordarsi la recente ordinanza della Suprema Corte, Sezione Lavoro, n. 22260 del 4 settembre 2008, che ha sollevato una questione di legittimità costituzionale con riferimento a tale norma, nonché l'ordinanza della Corte d'Appello di Milano in data 28.10.2008, RG n. 274/2004. Nello stesso senso anche Cassazione Sezioni Unite Civili n. 19595/08 secondo cui il giudice deve interpretare la legge conformemente ai principi della CEDU tra cui l'art. 6.

L'introduzione da parte del legislatore di una norma che impone al giudice di dichiarare l'inammissibilità di una domanda nel caso di cancellazione del soggetto passivamente legittimato, costituisce inoltre un'indebita interferenza nell'attività giurisdizionale ed un'illegittima restrizione dell'autonomia del giudice.

Un altro profilo di irragionevolezza  e violazione dell'art. 24 Cost. si deve ravvisare nella perdita della capacità processuale della società estinta nel corso di un giudizio di cui essa sia parte. Tale perdita comporta l'impossibilità di tutela dei diritti sia dell'altra parte che della stessa società cancellata. (D. d'A.)


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