Legge e giustizia: venerd́ 26 aprile 2024

Pubblicato in : Giudici avvocati e processi

IL RESPONSABILE DI LITE TEMERARIA PUO' ESSERE CONDANNATO ANCHE AL RISARCIMENTO DEL DANNO NON PATRIMONIALE - Per lesione dell'equilibrio psico-fisico della controparte (Cassazione Sezione Terza Civile n. 10606 del 30 aprile 2010, Pres. Preden, Rel. Frasca).

In base all'art. 96 cod. proc. civ. "se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida anche d'ufficio, nella sentenza."

Elena S. è stata convenuta in giudizio davanti al Tribunale di Catanzaro da Gaspare A. che ha chiesto la sua condanna alla restituzione di un immobile dato in comodato per lo svolgimento di un'attività di torrefazione del caffè. Ella ha resistito chiedendo altresì la condanna dell'attore al risarcimento del danno per lite temeraria, a termini dell'art. 96 cod. proc. civ.. Sia il Tribunale che la Corte d'Appello di Catanzaro hanno ritenuto infondata la domanda ed hanno riconosciuto la natura temeraria dell'azione giudiziaria proposta nei confronti di Elena S., ma hanno rigettato la domanda di risarcimento ex art. 96 cod. proc. civ.. In particolare la Corte d'Appello ha rilevato che Elena S. non aveva fornito gli elementi necessari per la liquidazione del danno. Elena S. ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte di Catanzaro per vizi di motivazione e violazione di legge.

La Suprema Corte (Sezione Terza Civile n. 10606 del 30 aprile 2010, Pres. Preden, Rel. Frasca), ha accolto il ricorso ricordando che recentemente le Sezioni Unite hanno affermato che ai fini del riconoscimento del danno da responsabilità aggravata il giudice "può fare riferimento a nozioni di comune esperienza, tra cui il pregiudizio che la controparte subisce per il solo fatto di essere stata costretta a contrastare un'ingiustificata iniziativa dell'avversario, non compensata, sul piano strettamente economico, dal rimborso delle spese e degli onorari del procedimento stesso, liquidabili secondo tariffe che non concernono il rapporto tra parte e cliente" (Cass. Sez. Un. n.3057 del 2009).

Non si tratta di riconoscere un danno in re ipsa - ha affermato la Corte - il che sarebbe contrario alla logica della necessaria individuazione del danno come danno-conseguenza, bensì di prendere atto, secondo nozioni di comune esperienza, che il subire iniziative giudiziarie temerarie o resistenze temerarie a pretesa giudiziali, comporta, per il fisiologico "scarto" fra la liquidazione delle spese giudiziali - che obbedisce a tariffe predeterminate e, per gli onorari, contempla una discrezionalità del giudice nella liquidazione, sia pure sulla base di elementi del caso concreto - e quanto normalmente riconosciuto nel rapporto fra cliente e difensore, la sicura verificazione a carico della parte vittoriosa, che pure si veda liquidare le spese giudiziali, di una perdita economica per il dippiù che avrà riconosciuto al difensore.

In quest'ottica, una volta riconosciuta la temerarietà della lite, in mancanza di dimostrazione di concreti e specifici danni patrimoniali conseguiti al suo svolgimento, è giustificabile - ha aggiunto la Corte - che il giudice, avuto riguardo a tutti gli elementi della controversia ed anche alle spese giudiziali che concretamente comporterebbero alla parte vittoriosa, attribuisca alla parte vittoriosa il riconoscimento di un danno patrimoniale procedendo alla sua liquidazione in via equitativa.

Va, poi, considerato - ha osservato la Corte - che l'art. 96 cod. proc. civ. prevede che debba essere riconosciuto il risarcimento non del danno, bensì dei danni; l'ampiezza della formulazione, volta che si consideri che nel tessuto del Codice Civile, nella disciplina dell'illecito aquiliano, è presente la distinzione fra il danno patrimoniale e quello non patrimoniale, siccome ora definita dalle Sezioni Unite nella nota sentenza n. 26972 del 2008, giustifica che il legislatore processuale del Codice del 1940 abbia inteso consentire anche la liquidazione del danno non patrimoniale, il che, alla luce degli insegnamenti delle Sezioni Unite, appare giustificato anche perché si tratta di un diritto costituzionale fondamentale, qual'è il diritto di azione e di difesa in giudizio.

Risulta, dunque, possibile ritenere - ha affermato la Cassazione - che, riconosciuta la temerarietà della lite, un danno di natura non patrimoniale sofferto dalla parte vittoriosa si verifichi sotto il profilo di una lesione dell'equilibrio psico-fisico, come ha ritenuto un precedente della Suprema Corte, affermando che il danno rilevante si sensi dell'art. 96 cod. proc. civ. può desumersi in base a "nozioni di comune esperienza anche alla stregua del principio, ora costituzionalizzato, della ragionevole durata del processo (art. 111, comma 2, Cost.) e della legge n. 89 del 2001 (c.d. legge Pinto), secondo cui, nella normalità dei casi e secondo l'id quod plerumque accidit, ingiustificate condotte processuali, oltre a danni patrimoniali (quali quelli di essere costretti a contrastare una ingiustificata iniziativa dell'avversario sovente in una sede diversa da quella voluta dal legislatore e per di più non compensata sul piano strettamente economico dal rimborso delle spese ed onorari liquidabili secondo tariffe che non concernono il rapporto tra parte e cliente), causano ex se anche danni di natura psicologica, che per non essere agevolmente quantificabili, vanno liquidati equitativamente sulla base degli elementi in concreto desumibili dagli atti di causa" (Cass. n. 24645 del 2007).


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