Luca T. ha svolto lavoro giornalistico per il quotidiano La Nazione dal giugno 1993 al gennaio 2001 come addetto alla redazione di Carrara dapprima con contratti di collaborazione autonoma e successivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in numero di tre, con causale riferita alla sostituzione di personale assente per ferie e all'avvio di nuove iniziative editoriali. Il rapporto è cessato per decisione della datrice di lavoro Poligrafici Editoriali S.p.A. In seguito a ciò Luca T. ha chiesto al Tribunale di Firenze di accertare, per il periodo giugno 1993-gennaio 2001, l'esistenza di un rapporto di lavoro giornalistico, sostenendo di avere di fatto lavorato in condizioni di subordinazione come redattore; conseguentemente ha chiesto la condanna dell'azienda al pagamento delle differenze di retribuzione con riferimento alle tabelle del Contratto Nazionale di Lavoro Giornalistico e la dichiarazione di illegittimità del licenziamento, nonché la reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento del danno. Il Tribunale, rilevato che il lavoratore non era iscritto all'Albo dei giornalisti si è limitato a condannare l'azienda al pagamento delle differenze di retribuzione riducendo peraltro di un terzo l'importo richiesto sul rilievo che il ricorrente non aveva svolto tutte le tipiche attività di redazione. Entrambe le parti hanno proposto appello. La Corte di Firenze con sentenza dell'ottobre 2005 ha rigettato l'impugnazione proposta dalla società e in accoglimento dell'appello incidentale del lavoratore, ha condannato l'azienda alla corresponsione delle differenze retributive reclamate. La società editrice ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte di Firenze per vizi di motivazione e violazione di legge per quanto concerne sia l'accertamento della subordinazione sia il riconoscimento del diritto alle differenze di retribuzione. La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 18899 del 31 agosto 2010, Pres. Sciarelli, Rel. Zappia) ha rigettato il ricorso. Con riferimento all'attività giornalistica caratterizzata dalla natura squisitamente intellettuale, creativa ed autonoma della prestazione lavorativa, - ha affermato la Corte - ai fini della individuazione del vincolo della subordinazione assume fondamentale rilievo l'inserimento continuativo ed organico delle prestazioni stesse nell'organizzazione dell'impresa, i giudici del merito hanno pertanto correttamente posto in evidenza gli elementi che caratterizzavano il requisito della subordinazione in relazione al lavoro giornalistico, e cioè l'inserimento nell'organizzazione dell'impresa, la continuità delle prestazioni, e quindi la disponibilità ad eseguire le prestazioni stesse. In particolare la Corte territoriale - ha rilevato la Cassazione - facendo esplicito riferimento al contenuto delle deposizioni testimoniali assunte nel corso della compiuta istruttoria, ha posto in rilievo la costante e quotidiana presenza di Luca T. nei locali della redazione per ricevere dal capo redattore le indicazioni sul lavoro da svolgere; la cura da parte del ricorrente in via esclusiva della cronaca sindacale, oltre quella politica e cittadina; la permanenza in redazione sino alla chiusura e la disponibilità a svolgere la propria attività in relazione alle eventuali sopravvenute esigenze rispetto all'attività redazionale programmata; la circostanza che il capo redattore "contava sulla sua presenza"; la esclusività della collaborazione per il quotidiano "La Nazione" avendo il ricorrente interrotto la breve collaborazione, ritenuta non opportuna dalla direzione del quotidiano, con altra testata giornalistica; la richiesta di autorizzazione ad assentarsi per brevi periodi, in tre o quattro occasioni all'anno, per occuparsi dell'ufficio stampa di manifestazioni diverse (fiere). La Suprema Corte ha ritenuto prive di fondamento le censure della ricorrente secondo cui la Corte d'Appello non avrebbe dovuto riconoscere al lavoratore le retribuzioni corrispondenti alla qualifica di redattore in quanto la sua mancata iscrizione all'Albo professionale comportava la nullità del contratto per illiceità della causa. Il richiamo operato dalla ricorrente all'art. 45 della legge n. 69/1963 che prevede la punibilità ai sensi degli artt. 348 e 498 c.p. dell'esercizio della professione di giornalista in assenza di iscrizione all'albo, - ha osservato la Cassazione - si appalesa in realtà non conducente al fine di ritenere l'illiceità della causa in considerazione della finalità pubblicistica della norma che prevede siffatta iscrizione; devesi in proposito evidenziare che l'illiceità giuridica della causa è data propriamente dal fatto che la determinazione causale di chi compie il negozio è rivolta ad un risultato pratico oggettivamente contrario alle norme contemplate dal legislatore che costituiscono espressione dei principi della convivenza e dell'ordine pubblico costituito; l'illiceità dello scopo pratico perseguito si comunica al negozio trasformandolo in uno strumento di fini antisociali, la cui attuazione è riprovata e combattuta dall'ordine giuridico, di talché l'illiceità della causa ha dei connotati ben più gravi della semplice violazione di legge, concretandosi in una contrarietà e violazione dei principi giuridici ed etici fondamentali dell'ordinamento. Siffatta evenienza non si verifica nel caso di violazione della disposizione di cui all'art. 45 della legge 3.2.1963 n. 69 allorché il soggetto svolga attività di natura subordinata senza essere iscritto all'albo; tale condotta, ancorché sanzionata penalmente, non rende illecito l'oggetto del contratto.
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