Legge e giustizia: venerd́ 26 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

IN CASO DI LICENZIAMENTO PER INIDONEITA' FISICA, L'AZIENDA DEVE PROVARE DI NON AVERE LA POSSIBILITA' DI IMPIEGARE IL LAVORATORE CON MANSIONI DIVERSE - Per evitare l'annullamento (Cassazione Sezione Lavoro n. 21203 del 14 ottobre 2010, Pres. Sciarelli, Rel. Ianniello).

Antonio G. dipendente della Chimica Sud snc, dopo essere stato colpito da bronco-pneumopatia ostruttiva, è stato licenziato nel gennaio 1999 per "impossibilità di utilmente impiegarlo in mansioni inesistenti nella nostra organizzazione aziendale che possano salvaguardarlo dalla inalazione di una qualsiasi sostanza volatile". Egli ha chiesto al Tribunale di Catania di condannare l'azienda al risarcimento del danno in quanto (come era stato accertato nei confronti dell'INAIL) la malattia da lui contratta aveva origine lavorativa e doveva ritenersi riferibile a colpa del datore di lavoro, nonché di dichiarare illegittimo il licenziamento. Il Tribunale, dopo avere disposto una consulenza tecnica e sentito alcuni testimoni, ha rigettato la domanda di risarcimento del danno, ma ha dichiarato illegittimo il licenziamento. Questa decisione è stata confermata, in grado di appello, dalla Corte di Catania, che ha escluso la responsabilità dell'azienda per la malattia del lavoratore, mentre ha ritenuto illegittimo il licenziamento osservando che la datrice di lavoro non aveva dimostrato di non potere adibire il dipendente ad altre mansioni. Sia il lavoratore che l'azienda hanno proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte di Catania per vizi di motivazione e violazione di legge.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 21203 del 14 ottobre 2010, Pres. Sciarelli, Rel. Ianniello) ha rigettato entrambi i ricorsi. La Corte territoriale - ha osservato la Cassazione - contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente principale, non ha negato l'origine lavorativa della malattia denunciata dal ricorrente, ma unicamente la responsabilità per dolo e colpa del datore di lavoro in ordine alla causazione della stessa; in proposito i giudici di merito hanno accertato, alla stregua dell'analisi compiuta dal consulente d'ufficio in materia tecnico ambientale e della prova testimoniale assunta in giudizio, che i mezzi generali e individuali di protezione adottati dall'impresa nel periodo indicato erano adeguati, in rapporto alle conoscenze scientifiche allora esistenti, al fine di evitare danni alla salute dei dipendenti addetti alle relative lavorazioni e che tali mezzi venivano effettivamente utilizzati nel corso delle lavorazioni medesime, correttamente concludendo pertanto nel senso dell'acquisizione della prova sufficiente a vincere la presunzione di colpa dal datore di lavoro. Per quanto attiene al licenziamento, la Cassazione ha richiamato il suo prevalente orientamento secondo cui in caso di  sopravvenuta infermità permanente del lavoratore non si realizza una impossibilità della prestazione lavorativa costituente giustificato motivo oggettivo di licenziamento qualora il lavoratore possa essere adibito a mansioni diverse. Nel caso in esame - ha osservato la Corte - la società ha omesso di dedurre e provare l'impossibilità di adibire il dipendente ad altre diverse mansioni.


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