Legge e giustizia: giovedì 25 aprile 2024

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IL "COLLEGATO LAVORO" MINACCIA DI STRAGE I DIRITTI DEI PRECARI - Il 23 gennaio 2011 termine di decadenza per impugnare i contratti già scaduti - Mentre il Governatore della Banca d'Italia afferma la necessità di stabilizzare i rapporti di lavoro, nell'interesse della competitività delle imprese.

Roma, 9 novembre 2010 - Parlando all'Università di Ancona il 5 novembre scorso, il Governatore della Banca d'Italia Draghi ha detto, tra l'altro, che "senza una prospettiva di una pura e graduale stabilizzazione dei rapporti di lavoro precari si indebolisce l'accumulazione di capitale umano specifico, con effetti alla lunga negativi su produttività e profittabilità." Lo stesso concetto era stato espresso nel "Rapporto sulle tendenze del sistema produttivo italiano" pubblicato dalla Banca d'Italia nell'aprile 2009, nonché, 60 anni fa, nelle relazioni delle Commissioni Giustizia e Lavoro del Parlamento sul disegno di legge governativo che diede vita alla legge n. 230/62, limitatrice del ricorso ai contratti a termine: "Non è chi non veda che la durata indeterminata del rapporto realizza da una parte l'interesse del lavoratore, che anela ad avere una stabilità e sicurezza della propria occupazione e dall'altra soddisfa l'esigenza dell'imprenditore di farsi dei dipendenti particolarmente attaccati all'impresa e particolarmente idonei al genere di prestazioni che l'impresa richiede ..... E' naturale che l'imprenditore tenda ad eludere una qualsivoglia disciplina legislativa per realizzare un proprio tornaconto, per fare cioè delle economie a danno dei lavoratori dipendenti, anche se le esigenze della organizzazione aziendale non lo richiedono". Nello stesso senso la sentenza della Corte Costituzionale n. 80/94, secondo cui la previsione, nell'art. 1 L. n. 230/62, del rapporto di lavoro a tempo indeterminato come tipo legale, realizza una misura "idonea a soddisfare l'interesse del lavoratore alla conservazione del posto, non disgiunto da quello del datore di lavoro a fruire di una attività che si esplica con maggiore (e proficua) inerenza all'azienda".

Il fatto che Draghi confermi oggi l'attualità dell'esigenza di stabilizzazione dei lavoratori precari può essere posto in relazione con le preoccupazioni suscitate dall'imminente entrata in vigore della legge c.d. "collegato lavoro", pubblicata oggi sulla Gazzetta Ufficiale, che minaccia di una vera e propria strage i diritti dei lavoratori precari. Di questa legge si è sinora parlato soprattutto per le norme che favoriscono il ricorso alla giustizia arbitrale e che sono state bocciate dal Presidente della Repubblica per la loro portata restrittiva dell'autonomia dei lavoratori. A questo tentativo di prevaricazione il Parlamento ha in qualche misura posto rimedio seguendo le indicazioni del Quirinale in materia di arbitrato. Ma è rimasto in piedi il meccanismo che, per compiacere la Confindustria, il Ministro Sacconi ha istituito al fine di privare i precari dei diritti acquisiti.

Questi lavoratori si dividono in due categorie: quelli che non ancora si sono rivolti al Giudice, nella speranza di vedere riconosciuto, per accordi sindacali, il loro diritto ad accedere a un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, dopo anni di contratti temporanei irregolari subiti per necessità e quelli che hanno già chiesto l'intervento della magistratura per conseguire questo obiettivo. La massa è quella dei lavoratori che non hanno ancora trovato la forza di far valere i loro diritti in sede giudiziaria, ben sapendo che qualsiasi iniziativa di questo tipo, anche se solo preannunciata, ha come primo effetto quello di essere esclusi da future assunzioni a termine, in attesa che il Magistrato si pronunci: il che, con esclusione di alcuni centri come Torino, comporta abitualmente processi pluriennali. A questi lavoratori, che, per non mettere a repentaglio la loro precaria occupazione, hanno sinora taciuto, la nuova legge pone una drastica alternativa: entro 60 giorni dalla sua entrata in vigore (ossia dal 24 novembre 2010) essi dovranno comunicare all'azienda, in forma scritta, l'impugnazione di tutti i contratti irregolari sino ad oggi subiti; se non lo faranno, i loro diritti saranno colpiti da decadenza.

Inoltre, nel caso che abbiano comunicato all'azienda l'impugnazione, questa diventerà inefficace se non sarà seguita, entro il successivo termine di 270 giorni, dal deposito del ricorso davanti al giudice del lavoro. Sino ad oggi la legge ha consentito di far valere in sede giudiziaria, senza limiti di tempo e senza necessità di preventiva impugnazione scritta, la nullità dell'apposizione del termine al rapporto di lavoro. Per questo i precari hanno potuto rivolgersi ai giudici anche dopo aver subito in silenzio anni di assunzioni irregolari. D'ora in avanti per chi manterrà il silenzio, dopo 60 giorni scatterà la decadenza, che potrà travolgere i diritti maturati nel corso di anni di tacita soggezione dovuta al bisogno di lavorare. Anche se vi sono ragioni per dubitare della costituzionalità di questa norma, è bene che coloro che sinora hanno taciuto escano dal silenzio e comunichino per iscritto al datore di lavoro, entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge, la volontà di far valere i loro diritti. Altro colpo alle tutele dei precari viene dato dal "collegato lavoro" con un'altra norma, quella che limita a un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione il risarcimento del danno subito dal precario per essere rimasto disoccupato in attesa della decisione del giudice. Sinora la giurisprudenza ha commisurato il risarcimento all'intero importo delle retribuzioni maturate, detratti eventuali guadagni ottenuti mediante altri impieghi. Ciò ha comportato che, in caso di processi di lunga durata, i lavoratori hanno potuto recuperare l'intera retribuzione perduta nel periodo precedente alla pronuncia della sentenza. D'ora in avanti, anche se la disoccupazione, in attesa della decisione giudiziaria, durasse alcuni anni (caso non infrequente in numerosi Tribunali) il lavoratore, in caso di vittoria, vedrà drasticamente limitato il suo diritto al risarcimento.

Anche questa norma, che addossa ai lavoratori gli oneri della durata irragionevole del processo, appare viziata da illegittimità costituzionale. Ma, prima che la Consulta possa pronunciarsi, passerà un notevole lasso di tempo. Le storture del "collegato lavoro", che bastona una categoria già duramente provata, devono essere eliminate immediatamente in sede legislativa, anche perché la normativa dell'Unione Europea vieta di peggiorare le condizioni dei precari.


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