Legge e giustizia: giovedì 25 aprile 2024

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ESCLUSA LA POSSIBILITÀ DI CONVERSIONE DEL LICENZIAMENTO COLLETTIVO IN LICENZIAMENTO INDIVIDUALE PLURIMO - Il lavoratore ha interesse all'applicazione del sistema di garanzie previsto dalla legge n. 223 del 1991 in materia di riduzione del personale (Cassazione Sezione Lavoro n. 4970 del 21 maggio 1999, Pres. De Tommaso, Rel. Picone).

In seguito all’entrata in vigore della legge 23 luglio 1991 n. 223 si deve escludere la possibilità della cosiddetta "conversione" del licenziamento collettivo in licenziamento individuale plurimo, al fine di consentire all’imprenditore di sottrarsi al sistema di controlli voluto dal legislatore in presenza di licenziamenti che abbiano una forte rilevanza sociale. Le innovazioni introdotte dalla legge n. 223/91 sono state radicali, in quanto obbligano l’imprenditore, in caso di riduzione del personale, al rispetto di un articolato procedimento, la cui inosservanza è sanzionata con l’inefficacia dei licenziamenti; lo obbligano altresì a scegliere i lavoratori da licenziare nel rispetto dei criteri di selezione stabiliti dalla legge o dai contratti collettivi, sanzionando la violazione del diritto del lavoratore ad una scelta imparziale con l’annullabilità del recesso; estendono la tutela dell’art. 18 St. Lav. ai licenziamenti collettivi inefficaci o annullabili.

Dal nuovo assetto normativo emerge con evidenza, da una parte, il superamento della diversità "ontologica" tra licenziamenti collettivi e licenziamenti individuali per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore; dall'altra, l'autonomia concettuale e di disciplina della materia della riduzione di personale assoggettata alla disciplina della L. 223/91, quale operazione imprenditoriale con effetti socialmente rilevanti e perciò sottoposta al controllo procedurale preventivo sindacale e pubblico, rispetto alla materia dei licenziamenti individuali per motivi oggettivi, assoggettati al controllo successivo sulla giustificazione dei motivi del singolo recesso. Dalla nuova regolamentazione deriva l'inversione delle "convenienze" delle parti contrapposte rispetto all'una o all'altra qualificazione del licenziamento. Nel regime della L. 223/91, il lavoratore ha un forte interesse alla qualificazione del licenziamento come licenziamento per riduzione di personale, mentre il datore di lavoro ha un interesse opposto e non meno forte a sfuggirla.

Infatti, non vi è più dislivello di tecniche di tutela, ed anzi il licenziamento per riduzione di personale ha il filtro della procedura che apre la via al controllo giudiziale sulla regolarità formale e sulla buona fede sostanziale del comportamento dell'imprenditore nelle trattative. Mentre, da parte sua, l'impresa deve affrontare un costo non trascurabile per "mettere in mobilità" (ossia licenziare per riduzione di personale) i propri dipendenti, costo che eviterebbe se i licenziamenti plurimi riuscissero a "passare" per licenziamenti individuali per motivi oggettivi ex art. 3 L. 604/66. Senza contare che dalla qualificazione in un senso o nell'altro del licenziamento dipende il grado di tutela del lavoratore nel mercato del lavoro, perché l'indennità di mobilità è dovuta solo nel caso di licenziamento per riduzione di personale (ai sensi dell’art. 4 o dell'art. 24 della L. 223/91). La conclusione è, quindi, che in presenza di una fattispecie di licenziamento collettivo, i requisiti di efficacia e di validità sono quelli previsti dalla L. 223/1991, non essendo ammissibile consentire all'imprenditore di sottrarsi al controllo, sindacale e pubblico, riconoscendogli il potere di licenziare ai sensi dell'art. 3 della L. n. 604 del 1966.


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