Legge e giustizia: sabato 20 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

UN ACCORDO PER ESODO INCENTIVATO NON COMPORTA PER IL LAVORATORE L'OBBLIGO DI SOTTOSCRIVERE UN VERBALE DI CONCILIAZIONE CON RINUNCIA AD OGNI SUO DIRITTO - Si tratta di una transazione "speciale" (Cassazione Sezione Lavoro n. 12211 del 6 giugno 2011, Pres. Foglia, Rel. Arienzo).

Franco G. dipendente della S.p.A. Denso Thermal System ha concordato con l'azienda un esodo incentivato sottoscrivendo una lettera di dimissioni in data 6.3.2003 a fronte della quale ha ricevuto una dichiarazione scritta del responsabile del personale recante l'impegno aziendale a corrispondergli, a titolo di incentivazione all'esodo, la somma netta di euro 20.658,00 da erogare previa sottoscrizione di un verbale di transazione davanti all'Ufficio del Lavoro di Torino. Successivamente l'azienda ha predisposto un verbale nel quale, premesso che il lavoratore aveva avanzato rivendicazioni economiche a vario titolo e dato atto delle sue dimissioni venivano offerte due somme: una di euro 5.165,00 netti a titolo di transazione per differenze retributive di qualsiasi genere e natura derivanti dal cessato rapporto di lavoro e una di euro 15.493,00 netti a titolo di incentivazione all'esodo, con dichiarazione che le parti null'altro avevano a pretendere per qualunque titolo ragione o causa connesse al rapporto di lavoro e che Franco G. accettando la somma  complessiva di euro 20.658,00 era completamente soddisfatto e tacitato di ogni suo avere o pretesa e rinunciava ad ogni altra azione giudiziale o stragiudiziale comunque derivante dall'intercorso e cessato rapporto di lavoro. Franco G. ha rifiutato di sottoscrivere il verbale rilevando che l'intesa originariamente intercorsa non prevedeva alcuna rinuncia o transazione per titoli diversi dalla cessazione del rapporto di lavoro. L'azienda non gli ha versato alcuna somma. Franco G. si è rivolto al Tribunale di Torino che, dopo aver sentito alcuni testi, ha condannato l'azienda al pagamento della somma di euro 20.658,00 oltre accessori, quale incentivo alle dimissioni da lui rassegnate. Questa decisione è stata confermata in grado di appello dalla Corte di Torino la quale ha rilevato che il lavoratore non era tenuto a firmare il verbale di conciliazione predisposto dall'azienda in quanto il contenuto di tale atto era evidentemente diverso da quello dell'originario accordo. La società ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte torinese per vizi di motivazione e violazione di legge ed in particolare per avere erroneamente interpretato le risultanze della prova testimoniale.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 12211 del 6 giugno 2011, Pres. Foglia, Rel. Arienzo) ha rigettato il ricorso. La ricorrente assume - ha osservato la Cassazione - che la Corte territoriale non avrebbe attribuito rilievo alcuno alle deposizioni rese dai testi escussi, interpretando in modo parziale il contenuto delle loro deposizioni, più per valorizzarne la parte dello stesso conforme al contenuto della dichiarazione scritta del 6.3.2003, che per ricavarne elementi oggettivi idonei ad evidenziare la reale volontà delle parti, che sarebbe stata nel senso di una formalizzazione successiva, definitiva e complessiva delle posizioni economiche delle parti riferite all'intercorso rapporto di lavoro. Tali censure mirano nella sostanza ad individuare una progressiva formazione della volontà delle parti tesa a definire in termini ultimativi ogni pendenza economica connessa alla risoluzione del rapporto di lavoro all'atto della sottoscrizione del verbale dinanzi all'UPLMO, sminuendo il valore attribuito alla dichiarazione scritta del 6.3.2003, già sufficientemente esaustiva ed idonea a realizzare l'esodo anticipato del dipendente con previsione dell'erogazione da parte della società di una somma quale contropartita di tale uscita dalla società di Franco G., importo non imputabile anche ad ulteriori eventuali pretese connesse al pregresso rapporto lavorativo.

Alla dichiarazione del 6.3.2003 sottoscritta da Franco G., con la quale il predetto dichiara di rassegnare le dimissioni con decorrenza 31.3.2003 - ha osservato la Cassazione - fa  riscontro la contestuale dichiarazione del responsabile del personale della società, Roberto F., con la quale si imputa la somma di euro 20.658,00 netti ad incentivazione all'uscita, rilevandone la funzione di definire economicamente tale specifica questione economica, in funzione integrativa delle competenze di fine rapporto e con previsione di erogazione dell'importo a tale titolo convenuto alla data, da stabilire, della sottoscrizione del verbale di transazione presso l'UPLMO di Torino; in tale duplice manifestazione di volontà delle parti contrapposte la Corte territoriale ha nella sostanza individuato una transazione "speciale", intendendosi per tale quella con la quale le parti addivengono ad un accordo che ha ad oggetto un affare determinato e che produce l'effetto preclusivo della lite solo limitatamente all'affare transatto (cfr. Cass. n. 5139/2003).

L'oggetto del negozio transattivo - ha osservato la Cassazione - va identificato non in relazione alle espressioni letterali usate dalle parti, bensì in rapporto all'oggettiva situazione di contrasto che le parti stesse hanno iniziato a comporre attraverso reciproche concessioni in relazione alle posizioni assunte dalle stesse non solo nella lite in atto ma anche in vista di una controversia che possa insorgere tra loro e che esse intendono prevenire e il giudice del merito, al fine di indagare sulla portata e sul contenuto transattivo di una scrittura negoziale, può attingere ad ogni elemento idoneo a chiarire i termini dell'accordo, ancorché non richiamati dai documenti, senza che ciò comporti violazione del principio in base al quale la transazione deve essere provata per iscritto (cfr. Cass. 729/2003). In tema di interpretazione dei contratti, poi, qualora le espressioni letterali utilizzate non siano sufficienti per ricostruire la comune volontà delle stesse, occorre avere riguardo all'intento comune che esse hanno perseguito. In riferimento, in particolare, alla interpretazione del contratto di transazione, per verificare se sia configurabile tale negozio, occorre indagare innanzi tutto se le parti, mediante l'accordo, abbiano perseguito la finalità di porre fine all'incertus litis eventus, senza tuttavia che sia perciò necessario che esse esteriorizzino il dissenso sulle contrapposte pretese, né che siano usate espressioni direttamente rivelatrici del negozio transattivo, la cui esistenza può essere anche desunta da una corresponsione di somma di denaro da parte del debitore, accettata dal creditore dichiarando di essere stato pienamente soddisfatto e di null'altro avere a pretendere, se possa ritenersi che essa esprima la volontà di porre fine ad ogni ulteriore contesa. Quanto, poi, ai requisiti dell'aliquid datum e dell'aliquid retentum, essi non sono da rapportare agli effettivi diritti delle parti, bensì alle rispettive pretese e contestazioni e, pertanto, non è necessaria l'esistenza di un equilibrio economico tra le reciproche concessioni ( cfr. Cass. n. 7548/2003).

Non costituisce, tuttavia, ostacolo al riconoscimento di una transazione vincolante il fatto che le parti abbiano definito transattivamente solo una parte del contenzioso, riservandosi un successivo accordo sulla residua materia controversa, salvo che alla definizione globale dei rapporti pendenti, sia esplicitamente condizionata l'efficacia dell'accordo parziale, ovvero sussista una intima e indissolubile connessione tra i rapporti provvisoriamente definiti e quelli ancora aperti (Cass. 29 marzo 1985 n. 2207).

Alla stregua di tali principi - ha affermato la Corte - deve essere valutato il contenuto dell'accordo transattivo, ulteriormente evidenziandosi che in tema di transazione stipulata dal lavoratore e dal datore di lavoro non è ammissibile la prova testimoniale relativa al diverso contenuto del rapporto transattivo risultante dal documento sottoscritto dalle parti, sia nel caso di patti aggiunti o contrari al contenuto del documento, ostandovi il principio di cui all'art. 2725 cod. civ., sia nel caso si intenda provare un contenuto diverso dell'atto rispetto a quello sottoscritto, ostandovi l'art. 1967 cod. civ. (cfr., al riguardo Cass. 2 agosto 2007 n. 17015). L'onere di provare per iscritto la transazione riguarda l'esistenza ed il contenuto del rapporto transattivo e non si estende, pertanto, a fatti attinenti alle modalità di esecuzione o attuazione della transazione medesima, dimostrabili anche per testi e presunzioni ed anche nel processo interpretativo relativo all'atto transattivo, il giudice ben può attingere da elementi pure non espressamente richiamati nella scrittura, fatti e circostanze idonee a convalidare il contenuto stesso dell'atto transattivo ed a precisarne i termini, senza con ciò violare l'art. 1967 cod. civ. (Cass. 4 settembre 1990 n. 9114). Infine, sempre con riguardo ai mezzi probatori utilizzabili, le limitazioni stabilite dalla legge in materia di prova testimoniale sull'esistenza di un negozio giuridico per il quale è richiesta la prova scritta ad probationem operano solo quando il negozio è invocato come fonte di diritti ed obblighi dei quali si chieda l'adempimento, non quando è invocato come mero fatto storico influente sulla decisione della controversia.

Questo essendo il quadro giurisprudenziale di riferimento - ha affermato la Cassazione - deve osservarsi che il giudice del merito, con valutazione non sindacabile se non sotto il profilo dei vizi oggetto del giudizio di legittimità, ha fornito una interpretazione delle dichiarazioni scritte intercorse tra le parti in data 6.3.2003 conforme ai principi enunciati.

Correttamente è stato ritenuto dal giudice del merito che l'efficacia dell'intero accordo parziale non fosse stata condizionata dalle parti al successivo accordo sulla residua materia controversa, essendo il tenore della dichiarazione del 6.3.2003 tale per cui nella stessa si prevedeva, come in maniera puntuale riportato nella sentenza impugnata, che solo l'erogazione dell'importo, statuito unicamente quale incentivazione all'uscita per effetto delle rassegnate dimissioni - operative dal 31.3.2003 - era prevista in concomitanza con la sottoscrizione del verbale di transazione presso l'UPLMO, avendo la Corte territoriale,  con interpretazione conforme ai principi richiamati, escluso che l'accordo in tali termini concluso fosse condizionato nella sua totalità alla definizione più ampia di tutti i rapporti fra le parti, con contenuto novativo anche dei precedente accordo o previsto in modo tale da condizionarne la stessa validità ed efficacia.

La pronunzia impugnata - ha concluso la Cassazione - non è, in conclusione, incorsa in alcuna violazione della disposizione dell'art. 1967 cod. civ., nei termini esposti dalla società ricorrente, avendo il giudice del merito valutato la prova orale solo nella misura in cui la stessa valesse a chiarire e a convalidare il contenuto nel negozio transattivo, e non potendo, al contrario, ritenersi che la prova per testi o per presunzioni potesse essere idonea a superare il contenuto dell'accordo intercorso tra le parti. Ugualmente, non si configura omessa insufficiente o contraddittoria motivazione della stessa nella parte in cui, nell'interpretare il contenuto dell'accordo, la Corte territoriale ha valutato che la transazione era funzionale alla prevenzione dell'insorgenza di una possibile lite tra le parti ed alla volontà in tal senso espressa nell'accordo, ben configurabile ed ipotizzabile con riguardo a somme da riscuotere, in dipendenza di una transazione, finalizzate a reintegrare il percepiente dei mancati redditi provenienti dalla sua attività all'interno di una società a causa della cessazione anticipata del rapporto intercorso con questa.


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