Legge e giustizia: sabato 20 aprile 2024

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L'ARTICOLO 18 E' L'UNICA EFFETTIVA REMORA AI LICENZIAMENTI INGIUSTIFICATI - Le rassicurazioni del ministro del Lavoro - Il caso di Conegliano Veneto.

2 novembre 2011 - La proposta italiana all'Unione Europea di modificare le regole in materia di licenziamenti per ragioni economiche, abrogando in tutto o in parte l'art. 18 St. Lav. è stata presentata come un'iniziativa diretta a consentire alle imprese di far fronte a situazioni critiche.
Non è così. La possibilità di ristrutturare le aziende mediante licenziamenti è già ampiamente prevista dalle leggi in vigore, che consentono di procedere sia a licenziamenti individuali per ragioni organizzative (legge n. 604 del 1966) sia a operazioni di riduzione del personale ovvero di licenziamento collettivo (legge n. 223 del 1991). E' sufficiente che un'azienda abbia l'effettiva necessità di sopprimere uno o più posti di lavoro, perché possa legittimamente farlo. L'art. 18 St. Lav. non lo impedisce minimamente. Questa norma entra un funzione soltanto se un'azienda con più di 15 dipendenti nell'effettuare uno o più licenziamenti non rispetta le regole del sistema ovvero adduce motivazioni non veritiere. La reintegrazione è una sanzione, che è stata introdotta per le aziende di una certa dimensione in considerazione del fatto che per esse il pagamento di un indennizzo in caso di licenziamento illegittimo non è un problema.
Abolire l'art. 18 significa sostanzialmente dare mano libera in materia di licenziamenti. Nessuna sanzione economica potrà scoraggiarli, anche perché i lavoratori espulsi, quelli più costosi, per la loro età, potranno essere sostituiti da giovani alle prime armi più docili e meno retribuiti. In questo modo si favoriscono gli imprenditori abituati a realizzare i profitti torchiando i dipendenti e non coloro che vogliono investire nell'innovazione. Inutile dire che la libertà di licenziare può essere utilizzata come strumento nel confronto politico e come mezzo di pressione. Nel nostro Paese dove, per carenza di capacità imprenditoriali, le possibilità di lavoro scarseggiano, perdere il posto significa essere emarginati dalla società. Con buona pace dell'art. 1 della nostra Costituzione che pone il lavoro a fondamento della Repubblica.
Il ministro del Lavoro, intervistato dal Corriere della Sera, ha cercato di rassicurare i lavoratori sulla sorte dell'art.18. Egli ha detto che questa norma, pur se non potrà più applicarsi ai licenziamenti per ragioni economiche, continuerà a sanzionare i licenziamenti discriminatori. Chi sarà licenziato per la sua fede politica, sindacale o religiosa, avrà come oggi il diritto di essere reintegrato nel posto di lavoro. Sacconi però sorvola sul fatto che, ovviamente, nessuna azienda farà mai espresso riferimento, nella motivazione del licenziamento, alle convinzioni del licenziato o alla sua militanza in un partito o in un sindacato. Tutti i licenziamenti saranno infatti motivati con ragioni organizzative o economiche, allo scopo di eludere l'articolo 18. Toccherà al lavoratore provare, davanti al giudice, che il licenziamento formalmente motivato con ragioni economiche, sia invece dettato da un intento di illecita discriminazione. E la prova sarà più difficile quando i colleghi del licenziato, chiamati a testimoniare davanti al giudice del lavoro, non avranno la tutela dell'articolo 18 e dovranno considerare la possibilità di essere inclusi tra le vittime della prossima ristrutturazione. Per questo la tutela reintegratoria contro i licenziamenti discriminatori, seppure verrà formalmente mantenuta, rischierà di rimanere sulla carta.
Il ministro Sacconi ha anche detto che sarà limitato il ricorso agli usuali contratti di collaborazione a vario titolo utilizzati per occultare l'esistenza di effettivi rapporti di lavoro subordinato. Ma anche questo dichiarato intento non potrà, in concreto, realizzarsi se verrà meno la tutela contro i licenziamenti garantita dall'articolo 18 dello Statuto. Per fare accertare l'esistenza del rapporto di lavoro subordinato, l'interessato dovrà rivolgersi al giudice, correndo, insieme ai suoi testimoni, i rischi di cui sopra. Per questo l'articolo 18 è l'architrave dell'effettiva realizzazione di tutti i diritti dei lavoratori.
In un'altra intervista rilasciata all'emittente televisiva La7 il Ministro Sacconi ha inopinatamente riconosciuto che in effetti nel nostro Paese le leggi del secolo scorso danno agli imprenditori la possibilità di licenziare agevolmente per ragioni economiche.
A Conegliano Veneto, ha ricordato il Ministro, i sindacati hanno concluso con una grande azienda un accordo per la chiusura di uno stabilimento produttivo di buoni profitti, con il conseguente licenziamento di 100 dipendenti altamente specializzati: una delle tante delocalizzazioni attuate per lucrare sui bassi salari pagati in altri Paesi.
Io non l'avrei consentito, ha detto Sacconi, ma la leggi e i sindacati lo hanno permesso.
Un'evidente contraddizione con la tesi portata avanti per ottenere l'abrogazione dell'articolo 18, della necessità di agevolare le riduzioni di personale per ragioni economiche. Incorrendo in questo infortunio polemico il ministro Sacconi, trattandosi del suo collegio elettorale, ha messo il dito sulla piaga che i licenziamenti attuati per accrescere i profitti mediante lo sfruttamento delle masse che si affacciano sul mercato globale.
Ripugna alla coscienza di tutti i cittadini tra cui lo stesso ministro Sacconi, che posti di lavoro in aziende italiane produttive di profitti vengano soppressi da cacciatori di ventura. Chi si è arricchito in Italia, spesso senza pagare le tasse, non dovrebbe essere lasciato libero di sopprimere una valida azienda nazionale per accrescere i suoi profitti sfruttando la mano d'opera straniera a basso prezzo e scaricando sui connazionali i costi dell'assistenza ai nuovi disoccupati e il grave disagio sociale così prodotto.
Altro che agevolare i licenziamenti per ragioni economiche. Vanno invece aumentati i controlli perché il caso di Conegliano Veneto e di altri centri italiani non si ripeta più. Nel contempo devono essere incoraggiati gli imprenditori che dimostrano di voler fare il loro dovere, che è quello di dare lavoro.                                Domenico d'Amati

 


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