Legge e giustizia: giovedì 18 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

AI FINI DELL'APPLICAZIONE DELLA LEGGE N. 223 DEL 1991 SULLE RIDUZIONI DI PERSONALE E' SUFFICIENTE CHE I LICENZIAMENTI PROGRAMMATI SIANO ALMENO CINQUE - Mentre è irrilevante il numero di quelli effettivamente attuati (Cassazione Sezione Lavoro n. 24566 del 22 novembre 2011, Pres. Vidiri, Rel. Meliadò).

La S.r.l. Etra ha aperto, all'inizio del 2004, una procedura per la riduzione di personale, con riferimento alla legge n. 233/91, dichiarando l'esistenza di sette esuberi da licenziare. In seguito a trattative con le organizzazioni sindacali, il numero dei licenziamenti si è ridotto a tre. Uno dei lavoratori licenziati, Lucio M., ha impugnato il licenziamento davanti al Tribunale di Milano per vizi procedurali, chiedendo la dichiarazione della sua inefficacia, con conseguente applicazione dell'art. 18 St. Lav.. L'azienda si è difesa sostenendo che il rispetto della procedura doveva ritenersi irrilevante, dal momento che il numero dei licenziamenti era stato inferiore a cinque (requisito previsto dalla legge n. 223/91 per la configurabilità della riduzione di personale) e che pertanto doveva ritenersi l'esistenza di licenziamenti individuali plurimi, per soppressione di posti di lavoro. Il Tribunale ha rigettato la domanda. Questa decisione è stata riformata, in appello, dalla Corte di Milano, che invece ha ritenuto applicabile la procedura prevista dalla legge n. 223/91 e ha dichiarato inefficace il licenziamento per  vizi procedurali nella comunicazione preventiva alle organizzazioni sindacali. L'azienda ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte milanese per vizi di motivazione e violazione di legge.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 24566 del 22 novembre 2011, Pres. Vidiri, Rel. Meliadò) ha rigettato il ricorso affermando che l'autonomia della fattispecie normativa del licenziamento collettivo, anche in punto di sanzioni (v. art. 24 comma primo, in relazione all'art. 5 comma tre), rende, da un lato, del tutto irrilevante il numero dei licenziamenti effettivamente posti in essere, in luogo di quelli programmati, laddove, anzi, è scopo precipuo della gestione collettiva della procedura la negoziazione degli esuberi ed il loro eventuale contenimento, nella logica, che ispira l'intervento legislativo, di un equilibrato contemperamento fra le esigenze delle ristrutturazioni aziendali e quelle dell'occupazione; dall'altro esclude, in presenza di vizi della procedura, ogni ipotesi di conversione dei licenziamenti collettivi in licenziamenti individuali.

La tesi della conversione, patrocinata dalla giurisprudenza prima dell'entrata in vigore della legge n. 223, allorché la fattispecie risultava priva di precisi riferimenti legali - ha osservato la Corte - appare nel mutato quadro normativo incoerente rispetto alla codificazione dell'istituto, ed alla previsione, in tal contesto, di specifiche sanzioni, e costituirebbe, in ogni caso, l'occasione per facili elusioni del filtro collettivo-procedurale, vanificando il preventivo controllo (sul procedimento e sui criteri di scelta) che il legislatore ha concepito, in considerazione della dimensione collettiva del fenomeno, in sostituzione di quello successivo sull'adeguatezza dei motivi, stabilito per i licenziamenti individuali, anche se plurimi.

A conferma di una nozione di licenziamento collettivo, che, per come si è detto, guarda al "progetto imprenditoriale da discutere e verificare nella procedura", ancor prima che agli atti di recesso che ne costituiscono la concretizzazione finale - ha affermato la Cassazione - merita di essere ricordata l'affermazione della Corte di giustizia europea (sent. 27.1.2005, C-188/03), secondo cui l'evento qualificabile come licenziamento va inteso con riferimento alla volontà del datore di lavoro di porre fine ai rapporti di lavoro, e ciò tanto per la rilevanza che assume la lettera della direttiva (che fa riferimento a licenziamenti soltanto "previsti"- art. 2 n. l- e alla notifica di "ogni progetto di licenziamento collettivo": art. 3 n. 1 e 4 n. l), che per la sua funzione (che è quella di limitare e ridurre la dismissione dei rapporti di lavoro: art. 2 n. 2). Va, quindi, affermato - ha concluso la Suprema Corte - che, ove il datore di lavoro, che occupi più di quindici dipendenti, intenda effettuare, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, almeno cinque licenziamenti nell'arco di centoventi giorni, ai sensi dell'art. 24 della legge n. 223 del 1991, è tenuto all'osservanza delle procedure previste dalla legge stessa, mentre resta irrilevante, ai fini della configurazione della fattispecie del licenziamento collettivo, che il numero dei licenziamenti attuati, a conclusione delle procedure medesime, sia eventualmente inferiore, né è ammissibile, ove non siano osservate le procedure previste, una conversione del licenziamento collettivo in licenziamento individuale plurimo.


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