Legge e giustizia: sabato 20 aprile 2024

Pubblicato in : Informazione e comunicazione

LA CRITICA PUO' ANCHE CONSISTERE IN COMMENTI NON OBIETTIVI, PURCHE' SIA FONDATA SULL'ATTRIBUZIONE DI FATTI VERI - Con esclusione delle contumelie (Cassazione Sezioni Unite Civili n. 28813 del 27 dicembre 2011, Pres. Vittoria, Rel. Segreto).

I presupposti per il legittimo esercizio del diritto di critica, quale scriminante della responsabilità penale, civile e disciplinare, allo stesso modo del diritto di cronaca, rispetto al quale consente l'uso di un linguaggio più pungente ed incisivo, sono: a) l'interesse al racconto, ravvisabile quando anche non si tratti di interesse della generalità dei cittadini, ma di quello generale della categoria di soggetti ai quali, in particolare, si indirizza la comunicazione; b) la correttezza formale e sostanziale dell'esposizione dei fatti, nel che propriamente si sostanzia la c.d. continenza, nel senso che l'informazione non deve assumere contenuto lesivo dell'immagine e del decoro; c) la corrispondenza tra la narrazione ed i fatti realmente accaduti. Diverso è poi il punto per cui la critica, cioè la valutazione, l'interpretazione e le considerazioni in merito a tali fatti veri,  possa non essere obiettiva né esatta, ma anzi presentare connotazioni soggettive opinabili o non condivisibili. La critica (anche relativa alla gestione della cosa pubblica) può anche tradursi in valutazioni e commenti tipicamente "di parte", cioè non obiettivi, purché fondata sull'attribuzione di fatti veri, posto che nessuna interpretazione soggettiva, che sia fonte di discredito per la persona che ne sia investita, può ritenersi rapportabile al lecito esercizio del diritto di critica, quando tragga le sue premesse da una prospettazione dei fatti opposta alla verità. Sennonché proprio per il bilanciamento di interessi su cui tale scriminante si fonda, occorre che le espressioni di critica usate non costituiscano  un attacco offensivo della persona, trasmodando in "argumenta ad nomine" e, quindi in pura contumelia. E' vero che l'esigenza di ricorrere al diritto di critica come scriminante, anziché come criterio per l'accertamento della stessa esistenza di un'offesa, si pone nei casi in cui l'espressione della critica comporti valutazioni negative circa le qualità morali o intellettuali o psichiche del destinatario. In questi casi, l'inevitabilità del collegamento alla critica scrimina l'offesa soltanto quando essa sia indispensabile per l'esercizio del diritto costituzionalmente garantito, mentre restano punibili le espressioni "gratuite", cioè non necessarie all'esercizio del diritto, in quanto inutilmente volgari o umilianti o dileggianti. Il limite all'esercizio del diritto deve, pertanto, intendersi superato quando l'agente "trascenda ad attacchi personali, diretti a colpire, su un piano individuale, senza alcuna finalità di pubblico interesse, la figura morale del soggetto criticato, posto che, in tal caso, l'esercizio del diritto, lungi dal rimanere nell'ambito di una critica misurata ed obiettiva, trascende nel campo dell'aggressione alla sfera morale altrui, penalmente protetta".


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