L'ing. Pierfrancesco L. dipendente della Rai Radiotelevisione italiana s.p.a. con la qualifica di dirigente di seconda fascia, ha svolto, a far tempo dal 1979, il ruolo di direttore alla struttura aziendale "Edilizia e impianti ausiliari" provvedendo al coordinamento e al controllo di tutta l'attività edilizia ed impiantistica sul territorio nazionale. Dal 1988 egli ha svolto, in aggiunta a tale incarico, quello di responsabile della progettazione e della costruzione del Centro tecnico di telecomunicazioni di Saxa Rubra, comprendente dieci edifici. Nello svolgimento di questo ulteriore incarico, che ha comportato un aumento delle ore giornaliere di lavoro, egli è stato affiancato da un dirigente in pensione, l'ing. M. con contratto di lavoro autonomo. L'attività per il Centro di Saxa Rubra si è protratta per cinque anni senza che per essa sia stato corrisposto all'ing. L. alcun compenso aggiuntivo. Egli ha promosso nei confronti dell'azienda un giudizio diretto ad ottenere il riconoscimento del suo diritto all'adeguamento della retribuzione a fronte delle prestazioni relative al Centro di Saxa Rubra, invocando l'art. 36 della Costituzione secondo cui la retribuzione del lavoratore deve essere adeguata alla quantità e qualità del lavoro svolto. In grado di appello la Corte di Roma ha accolto la domanda condannando la Rai al pagamento della somma di euro 232.000,00 a titolo di compenso per prestazioni aggiuntive. Le attività svolte dall'ing. L. in relazione alla realizzazione del Centro di Saxa Rubra, protrattesi fino alla cessazione del rapporto - ha osservato la Corte - hanno ecceduto le mansioni di inquadramento, aggiungendosi ad esse e comportando un maggior impegno lavorativo; in casi del genere si pone, anche per i dirigenti, un problema di adeguatezza e proporzionalità della retribuzione e quindi di rispetto dell'art. 36 della Costituzione. La Corte ha utilizzato come parametro per la determinazione dell'emolumento aggiuntivo, il compenso corrisposto al collaboratore ing. M. pari a una media di 90 milioni di lire l'anno. La Rai ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte di Roma per vizi di motivazione e violazione di legge. La Corte Suprema (Sezione Lavoro n. 28728 del 23 dicembre 2011, Pres. Lamorgese, Rel. Tria) ha rigettato il ricorso, affermando che: a) in base al consolidato e costante orientamento della Corte costituzionale il principio, enunciato nel primo comma dell'art. 36 Cost., della proporzionalità della retribuzione alle funzioni di fatto svolte, ha carattere generale e si applica ad ogni categoria di lavoratori (del settore pubblico e di quello privato), ivi compresi i dirigenti (vedi, per tutte, sentenze n. 101 del 1975; n. 101 del 3995; n. 273 dei 1997; n. 115 del 2003); b) naturalmente si deve tenere presente che i dirigenti sono una "categoria a sè stante, per caratteristiche peculiari a cui corrispondono situazioni di fatto e di diritto diverse da quelle comuni agli impiegati ed operai, con un conseguente trattamento differenziato sotto il profilo normativo ed economico", ma tale specialità - che comporta la mancanza di un orario quotidiano o settimanale, e quindi di un compenso speciale per lavoro straordinario - "non impedisce che i dirigenti e impiegati con funzioni direttive debbano ugualmente ricevere una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro compiuto, in conformità al principio enunciato dall'art. 36 della Costituzione; proprio per essi, infatti, la quantità del lavoro è elemento non valutabile in base ad un mero criterio temporale, risultando soprattutto dalla intensità e tempestività dell'impegno, spesso discontinuo e variamente concentrato in rapporto alle più diverse esigenze" (sentenza n. 101 del 1975 cit.); c) d'altra parte, contemporaneamente e parallelamente alla suddetta giurisprudenza costituzionale, anche nella giurisprudenza di questa Corte è stato costantemente affermato il medesimo principio dell'applicazione generale del canone di proporzionalità della retribuzione al lavoro in concreto svolto, per tutte le categorie di lavoratori, salve restando le differenti modalità di incidenza derivanti da particolari caratteristiche del rapporto di lavoro, quali sono quelle che si riscontrano per i dirigenti; d) nella sentenza 5 marzo 1987, n. 2350 (cui la Corte d'Appello ha fatto espresso riferimento) tale situazione è stata presa esplicitamente in considerazione, con riguardo ad una vicenda analoga a quella oggetto del presente giudizio, ed è stato affermato, attraverso il richiamo della sentenza della Corte costituzionale n. 101 del 1975 cit, che: "il fatto che le mansioni di un dirigente comportino una maggiore dedizione, anche temporale, non esclude che, nell'ipotesi di un particolare ulteriore impegno, il quale (pur riconducibile nello ambito del rapporto di lavoro) richieda -continuativamente o per un determinato periodo di tempo - un'abnegazione di particolare intensità e l'assunzione di particolari responsabilità, tale ulteriore impegno del dirigente debba essere compensato mediante un adeguamento della prefissata retribuzione ai sensi dell'art. 36, primo comma, Cost., che è norma applicabile ad ogni categoria di lavoratori, ferma, comunque, la possibilità del giudice del merito di ricorrere, in mancanza di più idonei elementi, ad una valutazione equitativa ex art. 432 cod. proc. civ."; e) la suddetta sentenza non è però rimasta isolata, in quanto anche la successiva giurisprudenza si è sempre conformata al principio in essa affermato, in riferimento a diverse situazioni afferenti lo svolgimento di mansioni aggiuntive anche in concomitanza con le mansioni dirigenziali di appartenenza, salve restando «la allegazione e la prova delle mansioni assegnate, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, in relazione alle concrete attività svolte e alle responsabilità attribuite» (vedi, per tutte: Cass. 12 aprile 2006, n. 8529; Cass. 27 aprile 2007, n. 10027; Cass. 26 luglio 2007, n. 16469; Cass. 11 giugno 2009, n. 13597; Cass. 30 dicembre 2009, n. 27887). Con riguardo al criterio adottato per la quantificazione del suddetto compenso aggiuntivo, in base a consolidati e condivisi orientamenti della giurisprudenza di legittimità: a) il ricorso alla valutazione equitativa ex art. 432 cod. proc. civ. è consentito al fine di determinare la "giusta retribuzione" ex art. 36 cost. dovuta al lavoratore e a tal fine è consentito al giudice utilizzare, come parametri di riferimento, i contratti collettivi di diritto comune, sebbene non applicabili direttamente al rapporto di lavoro, adattandoli secondo equità al caso di specie, ovvero avvalersi di qualsiasi altro elemento utile, senza che le relative valutazioni, se sorrette da adeguata motivazione, siano censurabili in sede di legittimità, neanche sotto il profilo del mancato ricorso a parametri diversi da quelli in concreto utilizzati (vedi, per tutte: Cass. 5 aprile 1990, n. 2846; Cass. 28 agosto 2000, n. 11285); b) quando è certo il diritto alla prestazione spettante al lavoratore, ma non sia possibile determinare la somma dovuta, sicché il giudice la liquida equitativamente ai sensi dell'art. 432 cod. proc. civ., l'esercizio di tale potere discrezionale non è suscettibile dì sindacato in sede di legittimità, purché la motivazione della decisione dia adeguatamente conto del processo logico attraverso il quale si è pervenuti alla liquidazione, indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo (ex plurimis: Cass. 7 gennaio 2009, n. 5; Cass. 14 gennaio 2003, n. 458; Cass. 23 luglio 2004, n. 13887; Cass. 18 agosto 2005, n. 16992).
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