Legge e giustizia: venerd́ 26 aprile 2024

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DIBATTITO SUL PUBBLICO IMPIEGO ORGANIZZATO DALL'UFFICIO DEI REFERENTI PER LA FORMAZIONE DECENTRATA - Norme, principi, questioni.

Un dibattito sul pubblico impiego si è svolto il 16 febbraio 2012 presso la Corte Suprema di Cassazione a cura dell'Ufficio dei Referenti per la formazione decentrata.

I lavori sono stati introdotti da Michele De Luca, Presidente titolare della Sezione Lavoro. Due le relazioni: "Evoluzione normativa e orientamenti giurisprudenziali" del prof. Antonio Viscomi, Università di Catanzaro; "Le questioni più rilevanti sulle quali la Cassazione dovrà esprimersi" di Filippo Curcuruto, Presidente della Sezione Lavoro della Corte d'Appello di Roma.

Ne riportiamo il resoconto diffuso dalla Suprema Corte.

L'introduzione del Presidente De Luca

Il Presidente De Luca sottolinea la tempestività del seminario, che interviene in un momento cruciale nel processo di privatizzazione del pubblico impiego, trattandosi di verificare quale incidenza la c.d. riforma Brunetta del 2009 eserciterà sul corpus normativo stratificatosi negli ultimi vent'anni.

Nota il Relatore come, in ordine alle numerose questioni aperte dalla transizione privatistica del lavoro pubblico, dottrina e giurisprudenza abbiano tentato di definire soluzioni relativamente stabili, che, tuttavia, interventi privi di carattere sistematico hanno rimesso in discussione, facendo sorgere ulteriori rilevanti problemi.

In tal senso, il Presidente De Luca segnala alcune decisioni della Corte di giustizia dell'Unione europea e della Corte di Strasburgo, ritenendo che esse siano fonte di disorientamento interpretativo e che occorrerebbe un intervento politico finalizzato a reintegrare la certezza giuridica.

Per quanto riguarda la Corte di giustizia, il Presidente De Luca ne rammenta la giurisprudenza sul lavoro a termine, che, affermata la legittimità di una disciplina interna la quale non preveda la conversione in rapporto a tempo indeterminato, non indica una sanzione idonea a garantire effettività di tutela contro gli abusi.

Il Relatore evidenzia, altresì, lo sconcerto provocato dall'overruling della giurisprudenza comunitaria sulla nozione di trasferimento d'impresa, con ricadute nella giurisprudenza interna sul c.d. personale ATA.

Per quanto riguarda la Corte europea dei Diritti umani, il Presidente De Luca osserva come diverga dagli indirizzi della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale la recente sentenza dei giudici di Strasburgo che ha dichiarato illegittima per contrasto con l'art. 6 della Convenzione la disciplina interpretativa sul trattamento pensionistico degli ex dipendenti del Banco di Napoli.

Segnala il Relatore la questione interpretativa posta dall'art. 7 cod. proc. amm. circa l'estensione delle regole giurisdizionali valevoli per le pubbliche amministrazioni alle società da queste partecipate, problema emerso per i rapporti di lavoro in RAI e definito da due recenti pronunce delle Sezioni Unite.

Va ancora stabilito, continua il Presidente De Luca, se la c.d. riforma Brunetta si ponga in relazione di continuità o discontinuità rispetto al quadro normativo precedente, evidenziandosi modifiche rilevanti su fonti e disciplina dei rapporti, con indicazione di obiettivi (ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico, efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni) che potrebbe avere valenza ermeneutica.

Intanto, quella riforma ha aperto presso la giurisprudenza di merito un diffuso contrasto sul regime transitorio, di fronte al quale non si è atteso l'intervento della Corte di Cassazione, ma si è, ancora una volta, seguita la via dell'interpretazione autentica, con il rischio, paventa il Presidente De Luca, che si abbatta anche qui la "mannaia" dei giudici di Strasburgo.

Relazione del Prof. Viscomi

Vengono esposte alcune considerazioni di metodo, orientate a disattendere nel settore del pubblico impiego, caratterizzato da ipertrofica produzione legislativa, l'impostazione sistematica di taglio generale, preferendole un'analisi per microsistemi e moduli normativi.

Si evidenzia la specialità dei poteri privatistici ex art. 5, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001, diretti ad integrare la prestazione individuale in una organizzazione complessa esercente funzioni di rilievo pubblicistico, notandosi altresì come il carattere differenziato della normativa sul lavoro pubblico sia stato in più occasioni legittimato dalla giurisprudenza costituzionale.

Del ventennale processo riformatore sono marcate la natura «alluvionale» e «multilivello», la stratificazione delle fonti, la «continuità» degli obiettivi ultimi e la «discontinuità» dei paradigmi operativi, la «variazione diacronica» dei modelli di politica del diritto e la «coesistenza sincronica» di segmenti normativi differentemente ispirati.

Il senso originario della riforma viene posto nella riscoperta della dimensione contrattuale, delle logiche e delle tecniche proprie dell'autonomia negoziale, in funzione dell'incremento di efficienza del sistema o, almeno, della riduzione degli effetti di rigidità (professionale, gestionale e organizzativa) provocati da un contesto eteronomo di leggi e leggine, tutte annidate nell'alveo della riserva ex art. 97 Cost..

Si rammenta che, per la giurisprudenza costituzionale, la flessibilità indotta dall'esaltazione della dimensione contrattuale è un mezzo attuativo del principio di buon andamento.

La Relazione documenta come, tuttavia, nel passaggio dalle prime due deleghe (l. n. 421 del 1992, l. n. 59 del 1997) alla c.d. terza riforma (l. n. 15 del 2009), la contrattazione collettiva sia stata ricondotta in argini molto stretti, se non negata o colonizzata, a beneficio delle scelte eteronome e unilaterali dell'amministrazione.

Ampie riflessioni dedica il Prof. Viscomi all'intervento riformatore sull'assetto della dirigenza pubblica, caratterizzato da una forma innovativa di responsabilità disciplinare.

Gli incerti tratti della fattispecie parrebbero mettere in crisi l'orientamento di legittimità che distingue responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare su base soggettiva. Il Relatore propone una chiave di lettura orientata all'irrilevanza discretiva della colpevolezza e alla valorizzazione dell'ambito oggettivo di riferimento, attenendo la responsabilità dirigenziale agli obiettivi generali e la responsabilità disciplinare a specifiche mancanze.

Si aggiunge che la determinazione unilaterale degli obiettivi potrebbe rilevare, oltre che ai fini del licenziamento per insufficiente rendimento ex art. 55-quater, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001, anche nell'identificazione del debitum lavorativo e, quindi, nel giudizio di esatto adempimento.

Insiste il Prof. Viscomi sull'importanza del ruolo della giurisprudenza ordinaria nel promuovere all'interno degli apparati amministrativi il radicamento culturale della logica paritaria del diritto soggettivo, in luogo della logica asimmetrica dell'interesse legittimo.

Nell'emblematico conflitto fra Cassazione e Consiglio di Stato in ordine alla retribuzione delle mansioni superiori, negata dai giudici amministrativi posponendo l'art. 36 Cost. agli artt. 97 e 98 Cost., il Relatore aderisce all'indirizzo della Cassazione, poiché la diretta applicabilità dell'art. 36 Cost. consolida la qualificazione del rapporto di lavoro pubblico come autentico rapporto di scambio.

Essenziale appare al prof. Viscomi il disposto dell'art. 63, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001, che, investendo il giudice ordinario del potere di adottare «nei confronti delle pubbliche amministrazioni» tutti i provvedimenti richiesti dalla «natura dei diritti tutelati», dovrebbe costituire la chiave di volta per adeguare il ruolo della giurisprudenza comune quale attore del processo di riforma.

Lungo questo cammino sono indicati due ostacoli: la «asincronicità» della decisione nomofilattica rispetto alla norma interpretata; l'eccessiva sensibilità ai flussi informativi della google generation ormai presente negli organi giurisdizionali di merito.

Diffusa analisi la Relazione indirizza alla giurisprudenza regolatrice sulle progressioni verticali: si afferma che, ribadendo la natura concorsuale delle procedure selettive per inquadramento superiore e negandola unicamente a quelle di mera progressione orizzontale, le Sezioni Unite intendano presidiare, in grado elevato, i valori di pari opportunità.

Viene richiamata l'attenzione sui vincoli di trasparenza e imparzialità nel reclutamento del personale delle società private a partecipazione pubblica ex art. 18 d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. in L. 6 agosto 2008, n. 133, vincoli che, come segnalato nell'Introduzione del Presidente De Luca, pongono questioni di riparto giurisdizionale ex art. 7 cod. proc. amm..

Il Porf. Viscomi esamina, altresì, l'indirizzo della Corte di Cassazione che esclude dallo schema concorsuale le procedure selettive per conferimento di incarichi su base fiduciaria, culminanti in atti di diritto privato ex art. 5, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001, soggetti a giurisdizione ordinaria; sottolinea come questo orientamento radichi nel diritto privato il circolo virtuoso istituito dalla sequenza conferimento dell'incarico/assegnazione degli obiettivi/valutazione del risultato, con l'effetto di attivare le clausole generali di correttezza e buona fede secondo il diritto comune.

Infine, il Relatore si sofferma sulla consolidata giurisprudenza in tema di fonti dell'inquadramento professionale e di atti presupposti dalla gestione del singolo rapporto.

Circa gli inquadramenti, si rammenta che la Corte di Cassazione mantiene la primazia della contrattazione collettiva, negando al datore di lavoro pubblico poteri di deroga e riconoscendogli soltanto facoltà di adattamento dei profili professionali.

Circa gli atti presupposti, si osserva come la Corte di Cassazione riservi al giudice amministrativo la cognizione degli atti macro-organizzativi, rispetto ai quali il singolo lavoratore pubblico vanta una posizione di mero interesse legittimo, devolvendosi viceversa alla giurisdizione ordinaria l'atto di gestione in relazione al quale l'atto organizzativo costituisca semplice presupposto, in tal modo accettando la Corte che l'atto macro-organizzativo, privo di effetti per l'atto di gestione impugnato, rimanga valido in linea generale.

Le conclusioni della Relazione investono tre profili.

In primo luogo, viene posto in luce il carattere stratificato, «alluvionale» e «multilivello», del processo riformatore, connotato da fattori di discontinuità che aumentano l'incertezza ricostruttiva.

In secondo luogo, si rimarca l'opportunità di un approccio metodologico flessibile, non rigidamente sistematico, capace di rappresentare la pluralità degli interessi sottesi ai microsistemi normativi.

In ultimo, si esalta la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, deputata ad assicurare la stabilità delle aspettative e dei comportamenti degli attori sociali, in un contesto segnato da elevata complessità organizzativa, regolativa e gestionale.

Relazione  del Presidente Curcuruto

Le vaste dimensioni e la complessità tecnica del contenzioso in materia di pubblico impiego rendono verosimile, a parere del Relatore, che la Cassazione dovrà pronunziarsi su un'elevata quantità di problemi, destinati a transitare dalle Corti di appello alla Corte di legittimità.

Il Presidente Curcuruto sceglie di esaminare quattro tematiche correlate ovvero, meglio, una sola tematica complessiva, osservata da quattro angolature specifiche:

  • 1) incarichi dirigenziali a personale interno;
  • 2) recesso per massima anzianità contributiva;
  • 3) aspettativa senza assegno ex art. 18 l. n. 183 del 2010;
  • 4) procedure selettive per superiore inquadramento.

Il filo conduttore viene rinvenuto nella diffusa incidenza dei parametri di cui all'art. 97 Cost., quale elemento dialettico rispetto all'indirizzo riformistico nel senso della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego.

1. Incarichi dirigenziali a personale interno.

Le modifiche apportate all'art. 19 d.lgs. n. 165 del 2001 inducono a riflettere sulle conseguenze dell'inosservanza degli oneri procedimentali nella selezione per il conferimento degli incarichi dirigenziali a personale interno.

L'introduzione di forme paraconcorsuali potrebbe avere ricadute sul versante del riparto giurisdizionale, ma, a parere del Relatore, dovrebbe rimane pacifica la cognizione ordinaria, attesa la natura privatistica della procedura di conferimento, caratterizzata dalla mancanza di valutazioni comparative e dall'essenza fiduciaria dell'incarico, con sindacato limitato al controllo di buona fede e correttezza.

Tuttavia, l'odierna necessità di esternare i criteri di valutazione, criteri di notevole ricchezza (natura e caratteristiche dei programmi da realizzare, attitudini e capacità professionale del singolo dirigente, risultati conseguiti in precedenza), implica, secondo il Presidente Curcuruto, che l'ente non possa limitarsi a reiterare l'indicazione normativa, ma debba specificare preventivamente il peso di ciascun parametro in rapporto agli altri, solo così potendosi effettuare il controllo di trasparenza, giacché, altrimenti, potrebbe scegliersi ex post il criterio più favorevole al candidato gradito; occorre, insomma, la preventiva «pesatura» dei criteri, secondo il modello delle procedure selettive di erogazione delle retribuzioni accessorie.

Altra delicata questione riguarda le conseguenze dell'inosservanza dei criteri, pur esternati con «pesatura».

Per opinione comune, ci si trova di fronte ad una violazione dei canoni di buona fede e correttezza, che non invalida l'atto di scelta, ma produce effetti meramente risarcitori, nel senso che il candidato escluso potrebbe ambire unicamente al risarcimento del danno da perdita di chance, purché di tale pregiudizio ipotetico egli fornisca la prova specifica.

Viceversa, il Relatore ipotizza che, nel nuovo quadro normativo, delineandosi la violazione di una regola imperativa, l'atto di scelta sia nullo e l'obbligo risarcitorio dell'amministrazione sia da adempiere in forma specifica: l'ente sarebbe tenuto, cioè, non a conferire l'incarico al candidato pretermesso, essendo violate unicamente norme procedurali, ma a reiterare il procedimento nelle forme dovute; né si avrebbe perdita di chance, appunto in ragione della ripetizione della procedura.

Aggiunge il Presidente Curcuruto che in taluni casi, quando sia prevista una graduatoria con punteggi determinati, la violazione delle regole potrebbe essere sanzionata direttamente coll'attribuzione dell'incarico, anziché con la mera reiterazione della procedura selettiva.

2. Recesso per massima anzianità contributiva.

La Relazione evidenzia la necessità di un intervento chiarificatore della Corte di Cassazione in ordine ad una normativa la cui applicazione è di grande impatto sull'assetto organizzativo pubblico e determina indirizzi contrastanti nella giurisprudenza di merito.

Il Presidente Curcuruto segnala che punto critico della disciplina del licenziamento per massima anzianità contributiva è il testuale inquadramento del recesso «nell'esercizio dei poteri di cui all'art. 5 d.lgs. n. 165 del 2001».

Sottolinea il Relatore che sono praticabili, invero, due opposte letture.

Per una tesi, il rammentato inquadramento colloca il recesso nel diritto privato, escludendo ogni funzionalizzazione del potere di risoluzione, l'esercizio del quale sarebbe esposto unicamente al controllo interno di buona fede e correttezza, senza alcuna incidenza sulla validità dell'atto e con effetti meramente risarcitori, giammai ripristinatori, anche perché l'esplicitazione dei criteri di esercizio è tassativamente limitata ai comparti sicurezza, difesa ed esteri.

Per la tesi opposta, il recesso non può mai essere un atto acausale, in quanto il relativo potere discrezionale deve conformarsi all'interesse pubblico ex art. 97 Cost., sempre occorrendo, quindi, l'esplicitazione dei criteri di esercizio, richiesta in via esemplificativa per i comparti sicurezza, difesa ed esteri, ma necessaria anche negli altri settori per evitare arbitrio, discriminazioni e inadeguata ponderazione, sicché, in ogni caso, va ammesso il controllo ex post, non soltanto a fini risarcitori, ma anche a fini ripristinatori.

3. Aspettativa senza assegno ex art. 18 l. n. 183 del 2010.

Il Relatore si sofferma sull'istituto dell'aspettativa senza assegno ex art. 18 l. n. 183 del 2010, per verificare gli aspetti critici della disciplina, alla luce dei parametri di cui all'art. 97 Cost..

Viene escluso che il dipendente pubblico, interessato ad avviare attività professionali o imprenditoriali, abbia un vero e proprio diritto soggettivo all'aspettativa, in quanto essa, come recita la norma, «è concessa dall'amministrazione, tenuto conto delle esigenze organizzative».

Resta dubbio, invece, se l'amministrazione abbia il dovere di motivare il provvedimento di rigetto dell'istanza di aspettativa, proprio con riguardo alle «esigenze organizzative» che ne costituiscono il sostrato valutativo.

4. Procedure selettive per superiore inquadramento.

Il Presidente Curcuruto riferisce intorno alla questione delle selezioni professionali correlate a bandi di concorso interno per superiore inquadramento, questione che ha specificamente interessato il personale del Ministero della Giustizia, registrando una decisa influenza del precetto ex art. 97 Cost..

Il Relatore segnala che un'ampia giurisprudenza di merito ha accolto l'impugnativa dei bandi, soprattutto per l'eccessiva rilevanza che vi si attribuiva al parametro dell'anzianità di servizio, e ha riattivato le procedure selettive.

Si rammenta che i giudici territoriali, divisi sul risarcimento del danno da perdita di chance - talora concesso, talora negato per difetto di prova -, hanno invece largamente convenuto sul richiamo dell'art. 97 Cost. a tutela dell'affidamento dei candidati, procedendo verso una funzionalizzazione dell'attività negoziale del datore di lavoro pubblico, che sempre più emargina i modelli del diritto privato.

Intervento del Prof. Barbieri

Pur aderendo a molte soluzioni ipotizzate dal Prof. Viscomi, il Prof. Barbieri mette in guardia dalla rinunzia a praticare il metodo sistematico.

Alla mancanza di un'impostazione ricostruttiva di taglio generale il Prof. Barbieri imputa la frammentazione del discorso interpretativo, nell'ambito della quale la funzionalizzazione ex art. 97 Cost., segnalata dal prof. Viscomi e dal Presidente Curcuruto riemerge, più o meno abusivamente.

Il criterio sistematico che, a parere del Prof. Barbieri, deve guidare la prassi indica che il rapporto di lavoro pubblico è, ad ogni effetto, un rapporto contrattuale, mentre i parametri di cui all'art. 97 Cost. riguardano l'organizzazione amministrativa, non anche il rapporto di lavoro che vi si innesta.

Quindi, il disposto dell'art. 97 Cost. non potrebbe giustificare un andamento divergente tra lavoro pubblico e lavoro privato, del tutto opposto alla convergenza che rappresenta la linea-guida delle tre deleghe.

Circa la rilevanza della determinazione unilaterale degli obiettivi, all'interrogativo sollevato dal Prof. Viscomi, in ordine al potenziale impatto sull'entità del debitum lavorativo e sulla correlata valutazione di adempimento, il Prof. Barbieri risponde stigmatizzando l'assoluta incompatibilità fra il carattere unilaterale dell'indicazione di risultato e il fondamento contrattuale del rapporto.

Secondo il Prof. Barbieri, anche l'interpretazione del disposto ex art. 55-quater d.lgs. n. 165 del 2001, introdotto dall'art. 69 d.lgs. n. 150 del 2009, sul licenziamento disciplinare dei c.d. fannulloni, esige un criterio sistematico, giacché, affermando che la sanzione viene irrogata quando l'amministrazione formula una valutazione di insufficiente rendimento «e» questo è dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione, la norma mostra di non accontentarsi di una sfavorevole valutazione comparativa ai fini dell'erogazione delle retribuzioni accessorie, ma postula una valutazione assoluta di inadempimento contrattuale.

Intervento del Prof. Viscomi

In effetti, secondo il Prof. Viscomi, la disposizione dell'art. 55-quater d.lgs. n. 165 del 2001 è destinata a trovare scarsa applicazione, occorrendo, ai fini dell'irrogazione del licenziamento disciplinare, una violazione specifica, cosicché, paradossalmente, la misura è divenuta oggi meno agevole che in passato.

Per quanto concerne l'unilaterale determinazione degli obiettivi da parte dell'amministrazione e la relativa incidenza sull'obbligazione di lavoro, afferma il Prof. Viscomi che, ove non si riuscisse a distinguere nettamente tra responsabilità per inadempimento e responsabilità dirigenziale, potrebbe risultarne radicalmente trasformato lo stesso debitum lavorativo del pubblico dirigente.

Quanto ai parametri dell'art. 97 Cost., la loro esclusiva attinenza all'organizzazione non ha impedito, secondo il Prof. Viscomi, che una parte della giurisprudenza di merito ne propiziasse il surrettizio rientro nei singoli rapporti di lavoro, attraverso i canoni di buona fede e correttezza: la categoria sociologica della google generation spiega l'enfasi che i giudici di merito pongono sulla c.d. decisione dell'ultimo minuto, rendendo indeclinabile la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione.

Intervento del Prof. Carabelli

Sul problema teorico-generale, il Prof. Carabelli osserva che la defunzionalizzazione indotta dalla riforma non può essere totale, atteso che, nella micro-organizzazione e negli atti gestionali, la privatizzazione ha come limite naturale l'interesse pubblico ex art. 97 Cost.; può tentarsi di rendere compatibili privatizzazione e funzionalizzazione, ma la privatizzazione necessariamente esalta l'orizzonte pubblicistico.

Sul problema metodologico, a parere del Prof. Carabelli, occorre fermezza sistematica per assicurare coerenza dottrinale e giurisprudenziale; tuttavia, bisogna riflettere sulle nuove forme di esternazione dell'agire pubblico, rimettendo in discussione le certezze del passato, come fa coraggiosamente la scienza amministrativistica.

Quanto alla c.d. riforma Brunetta, il Prof. Carabelli segnala la divaricazione fra la logica individuale del diritto soggettivo e la logica generale del management organizzativo, paventando che il contatto tra i due piani generi irrazionalità operative ed intralci l'azione amministrativa nel momento decisionale: il rischio è che la giuridicizzazione delle istanze organizzative determini un profluvio giurisprudenziale.


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