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Legge e giustizia: venerdì 29 marzo 2024
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HANNO RADICI NEL PASSATO LE CRITICHE DI MARCHIONNE ALLA DECISIONE CHE HA ACCOLTO IL RICORSO DELLA FIOM CGIL - Pinkerton e la tessera del pane (Tribunale di Roma 21 giugno 2012, Est. Baroncini).
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Dichiarando in Cina che la condanna inflitta dal Tribunale di Roma al gruppo Fiat per discriminazione illecita nelle assunzioni è frutto di una legislazione folkloristica, l'amministratore del gruppo Marchionne ha confermato che i suoi punti di riferimento, in materia di relazioni industriali sono, a giudicare anche dalle dichiarazioni da lui rese nei giorni scorsi in Cina, l'Agenzia Pinkerton utilizzata all'inizio del secolo scorso negli Stati Uniti per la repressione dell'attività sindacale, la "tessera del pane" di mussoliniana memoria, le indagini condotte dalla Fiat negli anni 60, per escludere dalle assunzioni i comunisti. Arnesi tuttora all'opera in nazioni come la Cina, ove le assunzioni vengono decise dal partito, ma che nei paesi civili sono finiti nella pattumiera della storia, sin dal New Deal di Roosevelt (1936), alla cui normativa contro la discriminazione antisindacale si è ispirato lo Statuto dei Lavoratori. Questa nostra legge, è bene non dimenticarlo, non contiene soltanto l'articolo 18, ma altre norme fondamentali di tutela dei diritti civili: dal diritto alla libera manifestazione del pensiero nei luoghi di lavoro (articolo 1), alla proibizione di controlli occulti con impianti audiovisivi (articolo 4), al divieto di indagini sulle opinioni (articolo 8). In materia di parità di trattamento vi è poi l'articolo 15 dello Statuto, che vieta gli atti discriminatori ed è stato recentemente rafforzato da altre norme, anche di origine comunitaria, tali da ampliare le possibilità di tutela del lavoratore contro le discriminazioni.
Il Tribunale di Roma, con la sentenza del 21 giugno 2012 (Est. Baroncini) ha dato applicazione in particolare all'articolo 28, del decreto legislativo 1° settembre 2011 n. 150 che specifica nuove modalità di tutela contro le discriminazioni, anche quelle che colpiscono i lavoratori per le loro convinzioni. Nel caso in esame la Fabbrica Italia Pomigliano ha escluso dalle assunzioni gli iscritti alla FIOM CGIL che ha reagito chiedendo al Tribunale di Roma di accertare la natura discriminatoria di questo comportamento e di farlo cessare, ponendovi rimedio. La Fiat si è difesa sostenendo tra l'altro che i lavoratori della FIOM avevano protestato contro i nuovi metodi voluti dall'Azienda dimostrando così di non condividerne gli orientamenti.
Il Tribunale, con sentenza del 21 giugno 2012 (Est. Baroncini) ha così pronunciato: "Dichiara la natura di discriminazione collettiva dell'esclusione dalle assunzioni dei lavoratori dello stabilimento di Pomigliano iscritti alla Fiom e ordina a Fabbrica Italia di Polimigliano S.p.A. di cessare dal comportamento discriminatorio e di rimuoverne gli effetti; a tal fine ordina a Fabbrica Italia Poligliano S.p.A. di assumere 145 lavoratori iscritti alla Fiom e di mantenere nel prosieguo delle operazioni di riassorbimento del personale dello stabilimento di Pomigliano la percentuale dell'8,75% di tutti gli assunti in favore di Fiom. Condanna altresì la società convenuta al risarcimento del danno non patrimoniale che liquida in complessivi euro 3.000,00 per ciascuno del 19 lavoratori nominativamente rappresentati da Fiom nel presente ricorso, oltre accessori di legge dall'attualità al saldo. Condanna la convenuta alla rifusione delle spese di lite che liquida in euro 5.000,00 oltre accessori come per legge."
Nella motivazione il Tribunale ha escluso tra l'altro l'applicabilità, sostenuta dall'azienda, della deroga di cui all'art. 3, comma 3 del decreto legislativo 216/03, a norma del quale "nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, nell'ambito del rapporto di lavoro o dell'esercizio dell'attività d'impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'art. 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all'handicap, all'età o all'orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima. Parimenti, non costituisce atto di discriminazione la valutazione delle caratteristiche suddette ove esse assumano rilevanza ai fini dell'idoneità allo svolgimento delle funzioni che le forze armate e i servizi di polizia, penitenziari o di soccorso possono essere chiamati ad esercitare". Secondo l'azienda il pregiudiziale e fermissimo rifiuto da parte della Fiom della trattativa e poi del contenuto del contratto specifico di primo livello - ha osservato il Tribunale - appare assolutamente incompatibile con lo svolgimento dell'attività lavorativa "che deve collocarsi in un contesto aggregato, coordinato e retto da regole accettate sindacalmente e necessariamente uguali per tutti: con il che viene meno quel requisito essenziale e determinante per lo svolgimento di tale attività". Lungi dall'integrare la fattispecie di cui all'art. 3 comma 3 d.lgs. 216/03 - ha osservato il Tribunale - tale argomentazione pare introdurre una teorizzazione della legittimità della discriminazione per motivi sindacali. I lavoratori sono tenuti ad uniformarsi alle regole applicabili nell'ambito dell'azienda per cui lavorano, ma non può pretendersi ovviamente che le condividano, se non si accetta di pregiudicare le loro convinzioni personali e sindacali. Per contro la fattispecie di deroga al principio di parità di trattamento ha carattere eccezionale come dimostrano le specificazioni di cui ai commi 5 e 6 dello stesso art. 3 d.lgs. 216/03 a norma dei quali "non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 le differenze di trattamento basate sulla professione di una determinata religione o di determinate convinzioni personali che siano praticate nell'ambito di enti religiosi o altre organizzazioni pubbliche o private, qualora tale religione o tali convinzioni personali, per la natura delle attività professionali svolte da detti enti o organizzazioni o per il contesto in cui esse sono espletate, costituiscano requisito essenziale, legittimo e giustificato ai fini dello svolgimento delle medesime attività; non costituiscono, comunque, atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di trattamento che, pur risultando indirettamente discriminatorie, siano giustificate oggettivamente da finalità legittime perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari. In particolare, resta ferma la legittimità di atti diretti all'esclusione dallo svolgimento di attività lavorativa che riguardi la cura, l'assistenza, l'istruzione e l'educazione di soggetti minorenni nei confronti di coloro che siano stati condannati in via definitiva per reati che concernono la libertà sessuale dei minori e la pornografia minorile". Si tratta all'evidenza - ha rilevato il Tribunale - di ipotesi estreme, quali l'assunzione di un appartenente a diversa professione religiosa quale insegnante di una determinata religione, l'assunzione di un medico abortista in una casa di cura di proprietà ed ispirazione religiosa e l'assunzione di un pedofilo quale educatore, ipotesi in cui è lo stesso buon senso ad escludere che possa praticarsi la parità di trattamento ed opportunità e ad imporre, più che legittimare, la differenziazione. Si tratta all'evidenza di fattispecie che niente hanno in comune con la mancata adesione ideologica ad una determinata organizzazione del lavoro in ambito aziendale, peraltro non da parte di dirigenti o quadri, bensì di "semplici" operai, ossia maestranze con compiti meramente esecutivi.
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