Legge e giustizia: venerd́ 19 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

E' ILLEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DI UN LAVORATORE CHE, DURANTE UN'ASSENZA PER MALATTIA, SI SIA DEDICATO AD ATTIVITA' NON GRAVOSE - In base all'art. 2110 cod. civ. (Cassazione Sezione Lavoro n. 15476 del 14 settembre 2012, Pres. Lamorgese, Rel. D'Antonio).

Antonio S. dipendente della Telecom Italia con mansioni di tecnico giuntista si è assentato il 2 novembre 2004 a seguito di un trauma discorsivo alla caviglia subito durante l'attività lavorativa. Egli ha giustificato l'assenza con certificazione medica. Investigatori incaricati dall'azienda hanno accertato che il 9 novembre 2004 egli si trovava presso un bar chiosco gestito da sua moglie e aveva servito i clienti dietro il bancone fino alle 20 oltre a riordinare tavoli e svolgere altre incombenze per poi allontanarsi a bordo della sua vettura; inoltre il 10 novembre è stato visto arrivare al chiosco verso le 17 (nella fascia di reperibilità) e rimanervi fino alle 20 servendo i clienti. L'azienda, dopo averlo sottoposto a procedimento disciplinare, lo ha licenziato. Il lavoratore ha chiesto al Tribunale di Larino di annullare il licenziamento. La Telecom si è difesa sostenendo che i comportamenti tenuti dal lavoratore inducevano a ritenere che l'infortunio da lui subito non fosse tale da impedirgli di svolgere l'attività lavorativa e, comunque, era idoneo a pregiudicare la guarigione e quindi a ritardarne il rientro in servizio. Il Tribunale ha accolto il ricorso annullando il licenziamento, in quanto ha ritenuto che il lavoratore si sia comportato correttamente. In grado di appello, la Corte di Campobasso ha confermato questa decisione osservando che la non compatibilità con l'attività lavorativa (di tipo tecnico su condutture e apparecchiature pure esterne) dell'infermità riportata dal lavoratore a seguito dell'infortunio sul lavoro risultava accertata dalle certificazioni mediche le quali apparivano congrue e senza possibilità per Antonio S. di disattenderle; che, comunque, la prescrizione di astensione dal lavoro e di riposo data al ricorrente non determinava l'inibizione di qualsiasi attività personale; che i comportamenti di Antonio S. non rivelavano senz'altro una compatibilità dell'infermità con l'attività di giuntista poiché quest'ultima si prolungava per molte ore e per la maggior parte dei giorni della settimana, comportava il salire e scendere da scale per l'operatività sulle linee telefoniche o in trincea ovvero accovacciamenti; che, invece, l'attività svolta da Antonio S. presso il chiosco della moglie lo aveva impegnato per un periodo orario ben inferiore e per un paio di giorni con un impegno per la caviglia meno gravoso, risolvendosi in condotte parificabili a quelle tenute di norma e ripetutamente nella propria casa ed, inoltre, utili a scongiurare i problemi derivanti da una lunga immobilità. La Corte ha rilevato, altresì, che i comportamenti tenuti dallo stesso, non gravosi, accertati dagli investigatori una settimana dopo l'infortunio, non apparivano aver creato alcun nocumento al ristabilimento della caviglia come riscontrato dall'accertamento medico del 16 novembre 2004 e dal rientro al lavoro allo scadere del periodo di riposo, anteriore alla contestazione disciplinare. La Telecom ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte molisana per vizi di motivazione e violazione di legge.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 15476 del 14 settembre 2012, Pres. Lamorgese, Rel. D'Antonio) ha rigettato il ricorso. La mancata prestazione lavorativa di Antonio S. - ha affermato la Corte - trova tutela nell'art. 2110 e nessuna ulteriore prova il lavoratore era tenuto a fornire a conferma della certificazione medica e della perdurante inabilità rispetto all'attività lavorativa. La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che "Lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia può giustificare il recesso del datore di lavoro, in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, oltre che nell'ipotesi in cui tale attività esterna sia per sé sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, dimostrando, quindi, una fraudolenta simulazione, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio". Analoghe osservazioni - ha rilevato la Corte - devono svolgersi con riferimento alla violazione dell'art. 2110 cod. civ. denunciata dalla ricorrente considerato che l'infortunio e la conseguente inabilità temporanea assoluta emergono dall'esame della documentazione prodotta e non contestata. La Corte d'Appello ha congruamente motivato che le prestazioni rese da Antonio S. nel chiosco della moglie addebitate ad Antonio S. non rivelano senz'altro una compatibilità della malattia conseguente all'infortunio sul lavoro con le mansioni svolte presso la Telecom. La pretesa della ricorrente, in contrasto con quanto risultante dai documenti sanitari, di desumere l'idoneità del lavoratore a prestare l'attività lavorativa dallo svolgimento da parte di Antonio S. di alcune prestazioni nel chiosco della moglie non può trovare accoglimento. La Corte territoriale ha evidenziato che l'attività di giuntista di Antonio S. comportava continui spostamenti (a causa degli abbonati, presso le centraline o con interventi sulle linee aeree), salire o scendere da scale alte mt. 10 per operare sulle linee telefoniche aeree ed anche in trincee o su linee telefoniche in sottosuolo o posizione bassa e che le attività che Antonio S. era stato visto svolgere presso il chiosco della moglie, per un periodo orario ben inferiore a quello di lavoro presso la Telecom e per un paio di giorni, avevano comportato un impegno per la caviglia meno gravoso di quello caratterizzante il lavoro presso la società Telecom risolvendosi in condotte parificabili a quelle tenute di norma nella propria abitazione. In tema di licenziamenti per giusta causa, la condotta del lavoratore, che, in ottemperanza delle prescrizioni del medico curante, si sia allontanato dalla propria abitazione e abbia ripreso a compiere attività della vita privata - la cui gravosità non è comparabile a quella di un'attività lavorativa piena - senza svolgere una ulteriore attività lavorativa - ha affermato la Corte - non è idonea a configurare un inadempimento ai danni dell'interesse del datore di lavoro, dovendosi escludere che il lavoratore sia onerato a provare, a ulteriore conferma della certificazione medica, la perdurante inabilità temporanea rispetto all'attività lavorativa, laddove è a carico del datore di lavoro la dimostrazione che, in relazione alla natura degli impegni lavorativi attribuiti al dipendente, il suddetto comportamento contrasti con gli obblighi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del rapporto di lavoro. La valutazione delle risultanze testimoniali effettuata dalla Corte d'Appello con riferimento alle caratteristiche dell'attività svolta da Antonio S. - ha concluso la Corte - risulta adeguatamente motivata.


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