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Legge e giustizia: giovedì 28 marzo 2024
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LE DIMISSIONI POSSONO ESSERE CONSENSUALMENTE ANNULLATE - Con conseguente protrazione del rapporto di lavoro (Cassazione Sezione Lavoro n. 16649 del 1 ottobre 2012, Pres. Roselli, Rel. Tria).
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Le dimissioni del lavoratore costituiscono un atto unilaterale recettizio idoneo a determinare la risoluzione del rapporto nel momento in cui pervengono a conoscenza del datore di lavoro, indipendentemente dalla volontà di quest'ultimo, con la conseguenza che la successiva revoca delle stesse non è idonea ad eliminare l'effetto risolutivo che si è già prodotto, restando limitata la prosecuzione del rapporto al solo periodo di preavviso. Tuttavia, in applicazione del principio generale di libertà negoziale, le parti possono consensualmente stabilire di porre nel nulla le dimissioni con conseguente prosecuzione a tempo indeterminato del rapporto stesso e, in tal caso, l'onere di fornire la dimostrazione del raggiungimento del contrario accordo (con la stipulazione di un nuovo contratto di lavoro), il quale, come le dimissioni, non richiede la forma scritta, salva una diversa espressa previsione contrattuale, è a carico del lavoratore. Inoltre, il licenziamento e le dimissioni sono fatti giuridici diversi e contrapposti, sicché allegare in giudizio che il recesso è avvenuto ad iniziativa del datore di lavoro o del lavoratore orienta il giudizio verso due indagini diverse in fatto e connotate da diverse regole di giudizio, funzionali alla distribuzione degli oneri probatori dei due casi. Qualora il lavoratore deduca di essere stato licenziato oralmente e faccia valere in giudizio la inefficacia o invalidità di tale licenziamento, chiedendo la condanna del datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni fino alla riammissione in servizio, mentre il datore di lavoro, proponendo un'eccezione in senso stretto, deduca la sussistenza invece di dimissioni del lavoratore, è il lavoratore che deve provare l'esistenza del rapporto di lavoro e la sua estromissione, mentre ricade sul datore di lavoro l'onere di provare i fatti su cui si fonda la sua eccezione.
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