Legge e giustizia: giovedì 25 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

LA DENIGRAZIONE DI UN ISTITUTO SCOLASTICO DA PARTE DI UN'INSEGNANTE PUO' GIUSTIFICARE IL SUO LICENZIAMENTO - Per violazione dei doveri fondamentali di fedeltà e correttezza (Cassazione Sezione Lavoro n. 24989 del 6 novembre 2013, Pres. Lamorgese, Rel. Bronzini).

Marianna O., insegnante di scuola materna, dipendente dell'IPAB M.T. di San Severo è stata sottoposta a procedimento disciplinare e licenziata con l'addebito di avere, parlando con i genitori di alcuni alunni, pesantemente criticato la gestione della scuola e consigliato di iscrivere altrove i loro figli. Ella si è rivolta al Tribunale di Foggia che ha annullato il licenziamento per mancata previa affissione del codice disciplinare. Questa decisione è stata integralmente riformata dalla Corte d'Appello di Bari che ha ritenuto non fondato il profilo di illegittimità del licenziamento ravvisato dal Tribunale, in quanto il recesso era stato intimato per violazione dei doveri elementari del lavoratore e quindi doveva ritenersi irrilevante la circostanza della mancata affissione del codice. La lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della corte barese per vizi di motivazione e violazione di legge. Ella ha tra l'altro fatto presente che le frasi attribuitele non erano dirette a ledere la reputazione del datore di lavoro e non violavano l'obbligo di fedeltà verso l'istituto scolastico.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 24989 del 6 novembre 2013, Pres. Lamorgese, Rel. Bronzini) ha rigettato il ricorso. Dagli accertamenti svolti - ha osservato la Corte - è emerso che la ricorrente ha affermato parlando con alcuni genitori che l'Istituto presso il quale lavorava era notevolmente inadeguato e che le insegnanti erano didatticamente impreparate sotto ogni profilo, suggerendo anche di iscrivere gli alunni altrove; inoltre è stato addebitato alla Orlando di avere dichiarato, al cospetto di terzi, che il Commissario straordinario (dell'I.P.A.B.) non era in grado di gestire alcunché e che, con una telefonata (a persone altolocate), lo si poteva mettere a tacere. Tali comportamenti - ha osservato la Corte - in piena evidenza gravemente lesivi del decoro e della reputazione di un Istituto scolastico nel suo complesso e direttamente del suo Commissario straordinario che ne aveva la gestione da parte di un insegnante, sono stati correttamente qualificati come integranti una violazione dei doveri fondamentali (ed elementari) di fedeltà e correttezza che gravano su un lavoratore in quanto in alcun modo possono essere ricondotti a una legittima critica anche dell'operato del datore di lavoro per la loro offensività e per i termini utilizzati, tanto da culminare nel suggerimento ad alcuni genitori di iscrivere altrove i loro figli, con potenziale gravissimo pregiudizio per l'Istituto scolastico. Si tratta di inadempienze così plateali, gravi e radicalmente lesive di obblighi alla base del rapporto di lavoro e della correlata fiducia tra le parti da non necessitare di alcuna pubblicità disciplinare essendo intuitivo il dovere di evitare simili comportamenti, derivante direttamente dalla legge alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità.


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