Tiziana D. dipendente della S.p.A. Poste Italiane ha chiesto e ottenuto il rimborso spese per alcune trasferte da Genova a Chiavari. Successivamente è stata sottoposta a procedimento disciplinare con l'addebito di avere allegato alle richieste di rimborso biglietti ferroviari per il percorso Genova-Celle Ligure, anziché per la tratta Genova-Chiavari, dimostrando, secondo l'azienda di avere in realtà fruito di passaggi di cortesia e quindi di non avere effettivamente sostenuto le spese di trasporto. La lavoratrice si è difesa sostenendo di avere realmente effettuato le trasferte e di avere presentato con le richieste di rimborso i biglietti relativi alla tratta Genova-Chiavari, dovendo attribuirsi ad altri la allegazione dei biglietti Genova-Celle Ligure alle note spese. L'azienda non ha creduto alle sue giustificazioni e l'ha licenziata in tronco. Ella ha chiesto al Tribunale di Genova di annullare il licenziamento. Il Tribunale ha escluso, per mancanza di prova, che l'allegazione di biglietti Genova-Celle Ligure abbia potuto essere effettuata da terzi per errore o con l'intento di nuocere alla lavoratrice. Conseguentemente ha rigettato la domanda. Tiziana D. ha proposto appello, rilevando che non era verosimile e comunque non era stato provato che ella avesse fruito di passaggi di cortesia anziché utilizzare il treno e avesse fatto ricorso a un artificio agevolmente accertabile per conseguire un utile ben modesto. La Corte di Genova ha respinto l'impugnazione affermando che doveva escludersi la responsabilità di altri per la condotta attribuita alla lavoratrice. Tiziana D. ha proposto ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata per omessa motivazione su fatti decisivi: l) passaggio nella totale disponibilità dell'azienda datrice di lavoro della documentazione allegata alla richiesta di rimborso delle spese di viaggio per la trasferta dopo la relativa consegna da parte dell'interessata al proprio Capo-Servizio; 2) avvenuto superamento positivo di tre livelli di controllo dell'anzidetta documentazione con corresponsione di quanto richiesto e con rilevamento solo retrospettivo e tardivo delle contestate irregolarità. La lavoratrice ha rilevato che l'azienda non aveva assolto adeguatamente all'onere probatorio in ordine alla sicura allegazione, da parte sua, di documentazione incoerente rispetto alle richieste di rimborso. Fra gli elementi trascurati dalla Corte d'Appello la lavoratrice ha indicato: 1) l'identità del costo del biglietto nelle tratte Genova-Chiavari e Genova-Celle Ligure; 2) le risultanze della prova testimoniale da cui è emersa la regolare effettuazione di tutte le trasferte in oggetto (diversamente da quanto originariamente contestato dall'azienda); 3) l'assenza di rilievi disciplinare nei confronti di Tiziana D. durante 23 anni di servizio; 4) la minima entità della somma che la lavoratrice avrebbe indebitamente riscosso, dopo che la stessa, nella primavera del 2005, aveva sua sponte provveduto a restituire all'azienda la ben più elevata somma di 504,90 euro, per errore accreditatale nella busta paga. La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 25203 dell'8 novembre 2013, Pres. Stile, Rel. Tria) ha accolto il ricorso. La motivazione in base alla quale la Corte genovese ha ritenuto il comportamento addebitato alla lavoratrice idoneo ad incrinare in modo definitivo il rapporto fiduciario tra le parti - ha osservato la Corte - non appare plausibile perché risulta fondata su una serie di presupposti erronei, il primo dei quali emerge ictu oculi dalla lettura delle ultime due righe della terza pagina della sentenza, che testualmente recitano: "non resta quindi che riconoscere che è stata la stessa Tiziana D. a presentare - intenzionalmente - quei biglietti che risultano allegati alle sue richieste di rimborso delle spese di viaggio". Queste poche espressioni - ha affermato la Corte - rivelano che l'intera impostazione della motivazione si fonda su una cattiva conoscenza delle regole del riparto dell'onere probatorio nelle controversie in materia di licenziamento disciplinare nonché del tipo di prova che si deve raccogliere prima di poter affermare che sussistano tutti gli elementi propri della suddetta fattispecie. La Corte ha ricordato i principi della giurisprudenza di legittimità secondo cui l'onere della prova della sussistenza della giusta causa gravante sul datore di lavoro riguarda tutti gli elementi costitutivi della fattispecie posta a base del recesso; tali principi, oltre che un portato della stessa impostazione generale della disciplina in tema di licenziamenti individuali dettata dalla legge n. 604 del 1966, ove il licenziamento è considerato come una sanzione estremamente afflittiva cui ricorrere solo in casi estremi, trovano riscontro anche nella nostra Costituzione che, proclamando solennemente, al primo comma dell'art 1, che "l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro", lo fa - come risulta dai relativi lavori preparatori - nella ottica di considerare il lavoro dei singoli consociati non solo come il mezzo con cui mettere a frutto i propri talenti e procurarsi un reddito, ma soprattutto nel senso di considerare il lavoro come lo strumento principale per dare un contenuto concreto alla partecipazione del singolo alla comunità, e quindi, per tutelarne la dignità (come, del resto, risulta confermato dai successivi artt. 3,4, 36 e 41 Cost.). In questo quadro - ha affermato la Corte - ben si comprende come la giurisprudenza della Suprema Corte non solo abbia sempre affermato che l'onere probatorio della giusta causa sia a carico del datore di lavoro, ma abbia anche richiesto che la prova da questi offerta debba essere completa con riguardo a tutti gli elementi della fattispecie e debba anche essere certa, non avendo cittadinanza nel nostro ordinamento un licenziamento fondato esclusivamente su prove indiziarie non adeguatamente verificate, cioè con l'applicazione di un metodo che non sarebbe applicabile neppure in sede di procedimento penale; la Corte genovese si è discostata dai suddetti principi in quanto:
La Corte ha rinviato la causa, per nuovo esame, alla Corte d'Appello di Torino, enunciando i seguenti principi di diritto. 1) "In tema di licenziamento per giusta causa l'onere probatorio della giusta causa, posto a carico del datore di lavoro, comporta che questi fornisca la prova completa di tutti gli elementi della fattispecie e richiede, altresì, che tale prova sia certa, non essendo previsto nel nostro ordinamento un licenziamento fondato esclusivamente su prove indiziarie non adeguatamente verificate"; 2) "in caso di licenziamento per giusta causa, nella valutazione della congruità della sanzione espulsiva al fatto addebitato, il giudice del merito, dovendo considerare ogni aspetto concreto della vicenda processuale sottoposta alla sua attenzione, non può non tenere conto anche delle modalità di svolgimento del rapporto antecedente la mancanza che ha dato luogo al licenziamento e, in tale ambito, non può non considerare la durata del rapporto stesso e l'assenza di precedenti sanzioni a carico del lavoratore".
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