Legge e giustizia: giovedì 25 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

E' NULLO IL PATTO DI RINUNCIA PREVENTIVA ALL'INDENNITA' SOSTITUTIVA DELLE FERIE NON GODUTE - In quanto contrasta con il principio di effettività (Cassazione Sezione Lavoro n. 28428 del 19 dicembre 2013, Pres. Stile, Rel. Marotta).

Il giornalista Lanfranco V. dopo aver lavorato alle dipendenze della R.C.S. Quotidiani come inviato speciale, alla cessazione del rapporto, avvenuta nell'ottobre 2004,  ha chiesto all'azienda il pagamento, con le spettanze finali, di un'indennità sostitutiva per 119 giorni di ferie maturate e non godute. La società editrice ha rifiutato facendo presente che il suo contratto di assunzione prevedeva un superminimo destinato a remunerare forfetariamente anche giornate di ferie non godute. Ne è seguito un giudizio davanti al Tribunale di Milano che ha riconosciuto il diritto del giornalista alla richiesta indennità ed ha condannato l'azienda a pagare per tale titolo la somma di euro 75.584,00 oltre accessori. Questa decisione è stata confermata, in grado di appello, dalla Corte di Milano che ha ritenuto nulla la clausola contrattuale con la quale, secondo l'azienda, il giornalista aveva rinunciato preventivamente all'indennità per ferie non godute a fronte di una superminimo avente natura di compenso forfettario. L'azienda ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte milanese per vizi di motivazione e violazione di legge.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 28428 del 19 dicembre 2013, Pres. Stile, Rel. Marotta) ha rigettato il ricorso. La presente vicenda - ha rilevato la Corte - si è svolta in parte in epoca antecedente all'entrata in vigore del d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66 (di attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/14/CE) - il cui art. 10, modificato dal d.lgs. 19 luglio 2004, n. 213 prevede una disciplina delle ferie annuali, complementare rispetto a quella di cui all'art. 2109 cod. civ. - ed all'emanazione della direttiva 4 novembre 2003, n. 2003/88/CE - il cui art. 7, si occupa ugualmente del diritto del lavoratore alle ferie annuali -, in parte in epoca successiva. Fatta questa premessa, la Corte ha precisato che, in base a consolidati e condivisi orientamenti della giurisprudenza di legittimità, il diritto alle ferie nel nostro ordinamento gode di una tutela rigorosa, di rilievo costituzionale, visto che l'art. 36 Cost., comma 3, prevede testualmente che "il lavoratore ha diritto a riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi". All'interno della più ampia categoria dei riposi lavorativi (pause intermedie, riposo giornaliero, settimanale ed annuale) quello feriale riveste una più accentuata dimensione personalistica ed esistenziale in quanto rivolto - più delle altre tipologie di riposo - non solo al recupero delle energie psicofisiche spese dal lavoratore per l'esecuzione della prestazione, ma anche a consentire alla persona di poter coltivare interessi morali e materiali, personali e sociali di natura extralavorativa, fruendo di un periodo di tempo libero retribuito. Le ferie rappresentano, perciò, un diritto che va correlato alla persona più che al lavoratore e vanno riguardate più in funzione della qualità della vita che del rispetto di equilibri contrattuali. La duplicità delle funzioni rivestite dal periodo feriale è stata riaffermata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 543/1990 secondo la quale: "Non v'è dubbio che la disposizione contenuta nel terzo comma dell'art. 36 Cost. garantisce la soddisfazione di primarie esigenze del lavoratore, dalla reintegrazione delle sue energie psico-fisiche allo svolgimento di attività ricreative e culturali, che una società evoluta apprezza come meritevoli di considerazione".

In base all'art. 2109, comma 2, cod. civ. l'esatta determinazione del periodo feriale, presupponendo una valutazione comparativa di diverse esigenze - ha affermato la Corte - spetta unicamente all'imprenditore quale estrinsecazione del generale potere organizzativo e direttivo dell'impresa; al lavoratore compete soltanto la mera facoltà di indicare il periodo entro il quale intende fruire del riposo annuale, anche nell'ipotesi in cui un accordo sindacale o una prassi aziendale stabilisca - al solo fine di una corretta distribuzione dei periodi feriali - i tempi e le modalità di godimento delle ferie tra il personale di una determinata azienda. Peraltro, allorché il lavoratore non goda delle ferie nel periodo stabilito dal turno aziendale e non chieda di goderne in altro periodo dell'anno non può desumersi alcuna rinuncia - che, comunque, sarebbe nulla per contrasto con norme imperative (art. 36 Cost. e art. 2109 cod. civ.) - e quindi il datore di lavoro è tenuto a corrispondergli la relativa indennità sostitutiva delle ferie non godute. La mancata fruizione delle ferie per causa non imputabile al lavoratore - ha rilevato la Corte - non può escludere il diritto di quest'ultimo all'indennità sostitutiva delle ferie, in considerazione della irrinunciabilità del diritto stesso, costituzionalmente garantito e della sussistenza, in capo al datore di lavoro, di un vero e proprio obbligo di far effettuare ai propri dipendenti il periodo di ferie, anche al fine di tutelarne l'integrità psico-fisica. Del resto, la necessaria ricollegabilità dell'indennità in questione al mancato godimento delle ferie (come, nella specie sussistente in ragione della chiara previsione di cui all'art. 23 del c.c.n.l. giornalisti) non può che condurre ad escludere la legittimità di una rinuncia preventiva all'indennità in questione (si ricorda che, come da questa Corte già più volte affermato, nei confronti di diritti ancora non sorti o maturati la preventiva disposizione può comportare la nullità dell'atto (id est della clausola), poiché esso è diretto a regolamentare gli effetti del rapporto di lavoro in maniera diversa da quella fissata dalle norme di legge o di contratto collettivo - così ex multis Cass. 26 maggio 2006, n. 12561; id. 8 novembre 2011, n. 13824). Deve, allora, essere affermato che una rinuncia contrattuale preventiva al diritto alle ferie, anche ove formulata tacitamente attraverso una maggiore precostituita retribuzione che oltre all'ordinario lavoro compensi anche il danno determinato dal mancato godimento delle ferie è nulla. Va, infatti, garantito il rispetto del principio di effettività delle ferie e, rispetto a questo, la possibilità di sostituire a priori, in via risarcitoria ovvero diversamente compensativa, le ferie con l'indennità potrebbe costituire un incentivo a rinunciare alle ferie come periodo di riposo, soluzione, questa, incompatibile con il sopra ricordato carattere del relativo diritto, garantito anche dall'art. 36 Cost., con la ratio della previsione di cui all'art. 2109 cod. civ. e con quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza n. 543/1990 in termini di effettivo godimento ai fini della soddisfazione dei primarie esigenze del lavoratore e della reintegrazione delle sue energie psico-fisiche. Non giova all'azienda la ritenuta conferma del carattere irrinunciabile delle ferie ad opera del d.lgs. n. 66/2003. L'art. 10 del d.lgs. 66/2003 (come modificato dal d.lgs. n. 213/2004) contempla il diritto del lavoratore ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane; il diritto alla fruizione (che deve essere continuativa a richiesta del lavoratore) di almeno due settimane di ferie nell'anno di maturazione; la possibilità di fruire del restante periodo di due settimane di ferie nei diciotto mesi successivi al termine dell'anno di maturazione. La disposizione prevede, poi, la salvaguardia di quanto previsto in materia dall'art. 2109 del codice civile e dalla contrattazione collettiva. Stabilisce, inoltre, il divieto di monetizzazione delle quattro settimane di ferie garantite dalla legge, salvo il caso di risoluzione del rapporto. La nuova normativa rappresenta, come è noto, l'attuazione alle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE, i cui concetti fondamentali sono stati poi trasposti nella direttiva n. 2003/88/CE, e costituisce pertanto l'immediata e diretta derivazione dei principi nazionali in materia rispetto a quelli comunitari. Giova sottolineare - ha affermato la Corte - che, in ambito comunitario, il diritto alle ferie annuali retribuite costituisce "principio particolarmente importante del diritto sociale comunitario, al quale non si può derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla direttiva stessa" e che il riposo annuale costituisce il diritto sociale fondamentale del lavoratore, sancito nella Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea, proclamata a Nizza nel dicembre 2000, che, all'articolo 21.2, nell'ambito del diritto a condizioni di lavoro giuste ed eque, ha affermato il diritto di "ogni lavoratore" a ferie annuali retribuite. In tale contesto, dunque, il d.lgs. n. 66/2003, lungi dall'introdurre modifiche o correttivi al carattere irrinunciabile delle ferie, si limita solo ad escludere la possibilità di monetizzazione alla scadenza del periodo entro il quale le ferie possono essere fruite. Non vi è, dunque, alcun dubbio sulla permanente operatività del principio secondo cui la mancata fruizione delle ferie annuali, nel periodo del minimo legale (pari a quattro settimane) ovvero in quello eventualmente maggiore contrattualmente previsto, vada sostituita dalla relativa indennità al momento della cessazione del rapporto.


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