Legge e giustizia: venerd́ 19 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

L'INTERVENTO DEL LEGISLATORE CON NORME INTERPRETATIVE NELLE CONTROVERSIE IN CORSO PONE UNA QUESTIONE DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE - Per contrasto con l'art. 6 Cedu (Cassazione Sezione Lavoro, ordinanza n. 1040 del 20 gennaio 2014, Pres. Roselli, Rel. D'Antonio).

Francesco C. ed altri dipendenti del Ministero della Giustizia hanno ottenuto dal Tribunale di Viterbo, nei confronti dell'Amministrazione loro datrice di lavoro, decreti ingiuntivi per il pagamento del compenso previsto dall'art. 5 L. n. 260/1949 relativo a festività coincise con la domenica. Il Tribunale ha emesso i decreti, contro i quali il Ministero ha proposto opposizione invocando la legge n. 266/2005 che, con norma di interpretazione autentica (art. 1, comma 224) ha dichiarato inapplicabile al pubblico impiego l'art. 5 L. n. 260/1949 essendo stati stipulati i contratti collettivi per il quadriennio 1998/2001. Il Tribunale di Viterbo ha accolto l'opposizione rilevando che l'entrata in vigore della legge n. 266/2005 comportava, inevitabilmente, il rigetto delle domande dei lavoratori, stante la natura interpretativa della norma o comunque il suo contenuto innovativo ma con efficacia retroattiva. Questa decisione è stata confermata, in grado di appello, dalla Corte di Roma. I lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione sollevando la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 comma 224 della legge n. 266/2005, sostenendo che la retroattività di tale norma comportava violazione del divieto di ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia ossia influisce sulla definizione della controversia in corso (art. 117, comma 1, Cost. e art. 6 Cedu) lede l'autonomia e l'indipendenza della magistratura (art. 104 Cost.) ed il principio di imparzialità dell'amministrazione (art. 97 Cost.).

La Suprema Corte (Sezione Lavoro, ordinanza n. 1040 del 20 gennaio 2014, Pres. Roselli, Rel. D'Antonio) ha ritenuto la questione non manifestamente infondata. La giurisprudenza della Corte Costituzionale - ha osservato la Cassazione - a partire dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 (da ultimo sentenze n. 236, n. 113 e n. 1 del 2011), è costante nel ritenere che le norme della CEDU - nel significato ad esse attribuito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, specificamente istituita per darne interpretazione ed applicazione (art. 32, par. 1, della Convenzione) - integrano, quali norme interposte, il parametro costituzionale espresso dall'art. 117 Cost., comma 1, nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali.

Circa il contrasto tra il comma 224 cit. e l'art. 6 CEDU, dall'esame delle sentenze CEDU relative a norma di interpretazione autentica possono desumersi i seguenti principi:

a) benché non sia precluso al legislatore disciplinare, mediante nuove disposizioni retroattive, diritti derivanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo equo contenuti nell'art. 6 precludono, tranne che per impellenti motivi di interesse generale, i quali non possono consistere in mere esigenze finanziarie, l'interferenza del legislatore nell'amministrazione della giustizia con il proposito di influenzare la determinazione giudiziaria di una controversia azionata contro lo Stato (causa Maggio ed altri c. Italia del 31/05/2011; causa Anna De Rosa ed altri c. Italia dell'11/12/2012; causa Agrati ed altri c. Italia del 7/06/2011, le ultime due relative al personale ATA; cfr., inoltre, tra molti altri precedenti, Stran Greek Refineries e Stratis Andreadis c. Grecia, 9 dicembre 1994, National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society e Yorkshire Building Society c. Regno Unito, 23 ottobre 1997, Zielinski e Pradal e Gonzalez e altri c. Francia);

b) la Corte europea affermò ancora, con riferimento alla legge di interpretazione n. 296/2006 nella causa Maggio citata, che la promulgazione di detta legge, mentre i procedimenti erano pendenti, in realtà era ricaduta sul merito delle controversie, e la sua applicazione da parte dei vari Tribunali ordinari aveva privato di rilievo, per un'intera categoria di persone che si trovavano nella posizione dei ricorrenti, la prosecuzione del giudizio, perciò, la legge aveva avuto l'effetto di modificare definitivamente l'esito del giudizio pendente, nel quale lo Stato era parte, approvando la posizione dello Stato a svantaggio dei ricorrenti. Mancavano peraltro i suddetti motivi imperativi di interesse generale;

c) conclusioni analoghe sono state assunte nella causa citata relativa al personale ATA in cui la Corte di Strasburgo, dopo aver ribadito il principio più volte affermato che, se in linea di principio nulla vieta al potere legislativo di regolamentare mediante nuove disposizioni, a carattere retroattivo, diritti risultanti da leggi in vigore, la preminenza del diritto e la nozione del processo equo sanciti dall'art. 6 CEDU ostano, salvo che per imperative ragione di interesse generale, all'ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia al fine di influenzare l'esito giudiziario di una controversia. La Corte ha rammentato, inoltre, che l'esigenza della parità delle armi implica l'obbligo di offrire a ciascuna parte una ragionevole possibilità di presentare la propria causa senza trovarsi in una situazione di netto svantaggio rispetto alla controparte. Analoghi principi sono stati affermati, altresì, nella sentenza del 25 novembre 2010, Lilly c. Francia, e nella sentenza dell'11 febbraio, Javaugue c. Francia;

d) al fine di determinare se vi sia stato un motivo impellente di interesse generale in grado di giustificare tale misura, il rispetto della preminenza del diritto e delle regole del processo equo, secondo la Corte di Strasburgo, impone che le ragioni addotte per giustificare tale misura siano valutate con il massimo grado di cautela possibile. Considerazioni di carattere finanziario non possono da sole giustificare che il legislatore si sostituisca al giudice al fine di risolvere le controversie (causa Maggio ed altri citata);

e) la Corte europea ha osservato (causa Arras citata) che "Il problema sollevato nel caso di specie è fondamentalmente quello del giusto processo, e, secondo la Corte, ciò coinvolge la responsabilità dello Stato sia nella sua funzione legislativa, se vizia il processo o influenza l'esito giudiziario della controversia, sia nella sua funzione di autorità giudiziaria se è violato il diritto a un giusto processo, compreso in questioni private tra soggetti privati".

Nella citata pronuncia n. 264 del 2012 - ha ricordato la Cassazione - la Corte Costituzionale ha rilevato che l'impostazione della giurisprudenza CEDU risulta sostanzialmente coincidente con i principi enunciati dalla stessa Corte con riguardo al divieto di retroattività della legge, che, pur costituendo valore fondamentale di civiltà giuridica, non riceve nell'ordinamento la tutela privilegiata di cui all'art. 25 Cost. (sentenza n. 15 del 2012, n.236 del 2011 e n. 393 del 2006). Il legislatore, nel rispetto di tale previsione, può emanare - come rilevato nelle citate sentenze - disposizioni retroattive, anche di interpretazione autentica, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nella esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti "motivi imperativi di interesse generale" ai sensi della giurisprudenza della Corte EDU. La richiamata disposizione convenzionale, come applicata dalla Corte europea, integra, quindi, pianamente il parametro dell'articolo 117, primo comma, della Costituzione.

Alla luce dei citati principi elaborati dalla giurisprudenza CEDU in riferimento all'interpretazione dell'art. 6 della Convenzione citata - ha affermato la Cassazione - ritiene questo Collegio che si prospetti il dubbio di legittimità costituzionale della L. n. 266/2005 art. 1, comma 224, non essendo possibile adottare un'interpretazione della disposizione citata conforme alla Convenzione. La norma in questione è intervenuta nel corso del giudizio, determinando la modifica dell'esito del giudizio favorevole ai ricorrenti secondo la giurisprudenza consolidata che riconosceva ai dipendenti pubblici il diritto ad un compenso aggiuntivo in caso di coincidenza della festività con la domenica. Le argomentazioni svolte dal Ministero non sembrano poter rappresentare gli "impellenti motivi di interesse generale" di cui sopra. L'applicazione della legge in questione si traduce nel privare i ricorrenti di un emolumento che essi avrebbero potuto pretendere e si riverbera sull'esito dei processi in corso. Le finalità indicate dal Ministero secondo cui la legge retroattiva tende a "razionalizzare" o "omogeneizzare" il trattamento del pubblico impiego costituiscono espressioni del tutto generiche mentre lo stesso Ministero non nega l'intento di sola compressione della spesa pubblica.

Pertanto la Suprema Corte visti l'art. 134 Cost. e la L. 11 marzo 1953 n. 87, art. 23, ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 117 Cost., comma 1, in relazione all'art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU), sottoscritta dall'Italia il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848, la questione di legittimità costituzionale della L. 23 dicembre 2005 n. 266, art. 1, comma 224, (legge finanziaria 2006); ha pertanto disposto la sospensione del procedimento n. 30358/2010.


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